Regia – Paul W. S. Anderson (2012)
Ovvero della fase Chan-wook Park di Paul W.
Siamo giunti quasi alla fine della nostra dotta dissertazione sulla saga di Resident Evil. Ora si aspetta solo l’uscita al cinema dell’ultimo film, per recensirlo con il rispetto e la deferenza adatti a simili pietre miliari e devo, subito, a proposito del quinto capitolo, porgere le mie scuse a Paul per averlo drammaticamente sottovalutato. Lo avevo visto una sola volta, in sala, ormai quasi cinque anni fa e mi aveva lasciato un po’ freddina. Sarà stato per colpa dell’inarrivabile Afterlife o della mia transitoria disposizione d’animo. Ma, sul momento, non lo avevo capito. Mi era parso un passo indietro, ecco.
E invece non era affatto così. Intendiamoci, Afterlife detiene ancora il primato di film più cafone della storia del cinema, ma Retribution ha dalla sua una regia più controllata, la totale assenza di scene di raccordo (ancora presenti negli altri film), una colonna sonora dei Tomandandy (già all’opera nel film precedente, ma meno incisivi) da spellarsi le mani a forza di applaudire e un incipit delirante e magnifico. Per tacere dell’avvenuta mutazione di Alice in Ripley, che scusate se è poco.
Partiamo proprio dalla sequenza iniziale, quella occupata dai titoli di testa e dalla battaglia sulla nave Arcadia, raccontata al contrario, partendo dalla fine. Non ha un minimo di senso, da un punto di vista narrativo, anche perché rivedremo la stessa scena poco dopo, ma nel “verso” giusto. È solo un mezzo per iniziare il film lasciando il pubblico a bocca aperta, per permettere di lasciar sfoggiare a Paul tutta la sua poetica della saturazione, del ralenty esasperato (che se lo fa Snyder, male, è un genio, se lo fa Anderson, infinitamente meglio, un coglione), dell’esaltazione maniacale del dettaglio fine a se stesso.
Il ralenty di Anderson non ha lo scopo di dare enfasi, non è quindi un espediente retorico, ma tecnico. Non serve a sottolineare, ma a rendere più chiari e definiti gesti, azioni, colpi che, a velocità normale, sarebbero incomprensibili, data la frenesia che da sempre caratterizza i RE.
Facciamo un piccolo esempio preso da un film recente: a cosa serve la prima scena di BvS, tutta a ralenty, se non a caricare emotivamente un episodio che già di per sé dovrebbe avere una certa potenza? A metterci, quindi, un doppio carico ridondante, quasi che il regista ti prendesse per la collottola, ti sbattesse con la faccia contro lo schermo e ti gridasse in un orecchio: “Guarda con attenzione perché è IMPORTANTE, cazzo!”
Il ralenty, quando lo usa Anderson, è di una leggerezza emotiva sorprendente, persino se occupa intere scene, come appunto l’incipit di Retribution o la lotta con i due Axemen di Alice e Ada Wong (Bingbing Li) nella finta New York ricreata nella base Umbrella.
Dato che Anderson è consapevolissimo di muoversi nell’ambito del cinema dell’ignoranza estrema, tutti gli accorgimenti stilistici usati nei suoi film tendono al medesimo risultato: far risaltare l’azione pura e gratuita. Non vi piace l’azione pura e gratuita? Capita, ce ne faremo una ragione.
Ma quando in un film di 90 minuti scarsi, titoli di coda compresi (e molto lunghi) non c’è un solo secondo in cui l’azione vada in pausa, non un calo di ritmo o un momento di pausa, quando a scandire il film c’è una trovata dietro l’altra, di solito accompagnata da un cambio radicale di scenografia, ambientazione e nemici da abbattere, c’è davvero poco per cui andare a fare le pulci al regista, se non le solite accuse di fare un cinema decerebrato, privo di contenuti, senza una trama, che è come se io andassi a criticare un horror perché muore la gente, e quindi, per sua stessa natura di film dell’orrore.

La simmetria
Anderson fa film d’azione, ma da sempre, anche quando era un giovane di belle speranze e tirava fuori dal cilindro una perla come Event Horizon. È stato costantemente interessato all’azione in quanto tale: niente sotto-testi, parti dialogate ridotte ai minimi termini, racconto lineare e scarnificato, giusto quel tanto di trama che basta a far procedere un personaggio dal punto A al punto B e mettere in mezzo al suo percorso tutta una serie di ostacoli.
Se Afterlife era il punto d’arrivo della sua cafonaggine, Retribution è l’essenza perfetta del cinema di Anderson, un film dove non esiste nulla se non l’azione. Tutto il resto non ha importanza, è un orpello, un fastidio, una specie di tassa da pagare per arrivare al sodo.
E Retribution le tasse non le paga proprio, ma infila una dietro l’altra sequenze action su sequenze action che, con la scusa della struttura Umbrella atta alla simulazione di epidemie in varie città del mondo, non sono mai ripetitive. E questa, signori, mi dispiace per voi, ma è una trovata di sceneggiatura e anche piuttosto genialoide, perché non solo ricalca la struttura a livelli di un videogioco, ma permette al regista di sbizzarrirsi creando ogni volta un qualcosa di nuovo, di più grosso, di più spettacolare, di più muscolare ed estremo.
Viene citato persino Oldboy, nella super rissa di Alice contro la prima orda di zombie nel corridoio bianco, una scena dalla coreografia impressionante, per movimenti di macchina, stunt, uso del ralenty, montaggio, chiarezza espositiva e strafottenza.
In Retribution c’è di tutto e tutto quello che c’è funziona come una macchina perfetta: zombie dell’Armata Rossa, lickers che fanno il verso all’Aliens di Cameron, Michelle Rodriguez che spezza le ossa altrui a capocciate, armi di ogni tipo, forma e maniera, combattimenti corpo a corpo e all’arma bianca, sparatorie di massa, inseguimenti in limousine per le strade Mosca, scazzottate all’ultimo sangue sul ghiaccio. C’è una varietà di location e di situazioni che basterebbero per almeno dieci film, e Anderson le usa tutte quante in uno solo, come un bambino impazzito che gioca alla guerra.
Io non lo so cosa si può chiedere di più al cinema. A un certo tipo di cinema, se non altro.
Retribution è anche lo show personale dell’attrice che incarna la serie dal 2002, una Milla Jovovich per la quale il tempo sembra essere congelato e gli anni non passare mai. Ormai siamo arrivati all’identificazione completa dell’interprete con il personaggio, tanto che Alice non esiste senza Milla e viceversa, tanto che spesso mi chiedo cosa combineranno Milla e Paul W. ora che la saga è finita.
Non che nei film precedenti la Jovovich non fosse protagonista assoluta, solo che qui non condivide la scena con nessuno, qualunque altra presenza sullo schermo passa subito in secondo piano. Neppure la Rodriguez, con il suo tanto atteso ritorno, ha il carisma necessario per starle dietro e persino Bingbing Li non riesce a essere alla sua altezza. Per non parlare di Sienna Guillroy che, con tutto l’amore, ha la personalità di un blocco di tufo. Si sente un po’ la mancanza di Ali Larter (che torna in The Final Chapter, quindi non disperiamo), che era forse l’unica in grado di fare da spalla a Milla e uscirne a testa alta, ma Retribution, più di tutti gli altri, è il film di Milla e girato per Milla. Quasi una lettera d’amore in immagini.
Sappiamo tutti che le doti recitative di Milla Jovovich non sono poi così spiccate, ma Anderson è riuscito a fare di lei il prototipo dell’eroina d’azione contemporanea, costruendo il suo personaggio mattone per mattone, a partire da quel primo calcio volante in faccia al dobermann, fino ad arrivare a trasformarla in un essere dalle capacità sovrumane, un’astrazione, quasi una divinità.
E ora non ci resta che attendere: la settimana prossima calerà (forse) il sipario su una saga che, nel bene e nel male, ha definito l’action del nuovo secolo e un’estetica da cui gran parte del cinema commerciale ha preso spunto. La mia rassegna termina qui. Ci si risente per la recensione dell’ultimo capitolo, nella speranza che il mio Paul W. la spari ancora più grossa.
Lucidissima analisi di un film che, ammetto, ho trovato veramente orrendo. Della saga, che riesce comunque ad avere su di me un fascino irresistibile nella sua cafonaggine, il mio preferito rimane “Extinction”. Aspetto con ansia di leggere la tua recensione sul capitolo finale.
Sì, per chi è refrattario a un’estetica del genere, Retribution è un film orrendo, lo capisco.
E sì, il migliore, in assoluto, rimane Extinction.
Vediamo cosa combina Paul con l’ultimo film 🙂
Applausi 😀
Come detto altrove ho rifatto il tuo stesso percorso con le stesse impressioni. Questo film che visto in sala non mi aveva detto molto, rivisto dopo anni con il giusto spirito si è rivelato per quel che è, una frenetica, esagerata, divertente discesa sulle montagne russe dell’intrattenimento.
Sì, è davvero un otto volante.
Non ti annoi un secondo. Quello che non capisco è perché altri film, secondo me meno riusciti (son gusti) ma dello stesso tenore non attirano le critiche feroci che, puntualmente, si becca ogni capitolo di Resident Evil.
Qui i Tomandandy e nel prossimo nientemeno che Paul Haslinger 🙂
La base multi-ambientazione simulata della Umbrella in Kamčatka è davvero una trovata azzeccata -oltre ad essere perfettamente coerente con lo spiazzante risveglio di “Alice” a Raccoon City- così come è stata una buona idea anche quella di far riapparire Michelle Rodriguez in modalità sia amichevole che ostile nei confronti di una Milla qui, davvero, mattatrice principale come non mai. Per non parlare del tributo a Ripley, appunto (momento clou: “Tu sei la mia mamma, vero?” “Sì, ADESSO sì!”) 😉 E poi Jill Valentine, Leon Kennedy, Ada Wong, Barry Burton con contorno di rischi biologici (come li chiama la Regina Rossa) vari… un otto volante messo egregiamente in scena da chi sa il fatto suo. Anche se, trattandosi di Paul W.S. Anderson, ho come l’impressione che non pochi preferirebbero farsi appendere per le palle piuttosto di ammetterlo…
Piuttosto che ammettere che un film di Anderson è stato un’esperienza di gran divertimento, sarebbero disposti a subire tutte le torture della Santa Inquisizione 😀