Regia – M. Night Shyamalan (2016)
Non ho mai avuto un ottimo rapporto con il cinema di Shyamalan, neanche con la sua opera più famosa e, per molti, più riuscita, Il Sesto Senso. Se devo indicare un favorito, all’interno della sua filmografia, faccio subito il nome di Ubreakable, che ritengo proponga un punto di vista originalissimo sul cinema supereroistico ancora prima che divenisse un genere in quanto tale ed è, tutt’oggi, uno dei film più interessanti in materia. Apprezzo inoltre, e a dismisura, The Village, che è stato abbastanza bistrattato all’epoca e non gode di gran fortuna neppure adesso. Ma tutti gli altri film diretti da Shyamalan mi hanno lasciato sempre un po’ freddina. Problema mio.
È innegabile che questo regista, partito a razzo e con la prospettiva di una splendida carriera davanti (lo chiamavano “il nuovo Spielberg”) si sia poi andato a infognare in progetti quantomeno discutibili. Alcuni hanno attribuito questo calo a un eccesso di prosopopea, al fatto che il buon Shyamalan si sia immediatamente sentito “artista” e sia andato a briglia sciolta, commettendo un errore dietro l’altro. Io non la vedo proprio così. Il suo è un percorso d’autore, fatto di film che, a prescindere dai gusti, hanno sempre avuto un’impronta molto personale e, quando ha fallito nel mondo più clamoroso, è sempre avvenuto in contesti commerciali e ad altissimo budget.
Il problema è che spesso, questi registi dalla creatività furiosa necessitano di una figura forte accanto, qualcuno che li obblighi a non strafare, che chiuda anche i rubinetti dei soldi a disposizione, ma che sia anche capace di riconoscere che sta lavorando con una mente pensante. In parole povere, un produttore con gli attributi.
Split è il secondo film che Shyamalan gira con Jason Blum e io non voglio ricominciare a tessere gli elogi di Blum: l’ho già fatto troppe volte, come troppe volte ho sottolineato i limiti del suo sistema produttivo. Il punto è che, facendola breve, quando Blum imbrocca il regista giusto, raramente sbaglia un film. E Split, pur rientrando appieno nei canoni, basati sull’economia, della Blumhouse, non fa eccezione.
La trama di Split ormai la conoscete tutti: Kevin (James McAvoy), un uomo in cui convivono ben 23 personalità differenti, rapisce tre ragazze e le tiene segregate nei sotterranei di un luogo imprecisato per motivi a noi sconosciuti (almeno fino a metà film). Non c’è molto altro da dire, se non si vogliono fare spoiler, perché, come quasi sempre accade nel cinema di Shyamalan, non è tanto lo scheletro della storia ad avere importanza, ma la maniera tortuosa e anomala con cui il regista la dipana, e quella obliqua attraverso cui le informazioni giungono allo spettatore. I famosi “colpi di scena” a cui Shyamalan ci ha abituato nel corso degli anni e che sembra non voler ancora abbandonare, non sono mai fini a loro stessi e messi lì con il solo intento di stupire; al contrario, sono lo sbocco naturale della volontà di raccontare storie tutto sommato lineari ma messe in scena in modo non lineare.
L’esperienza precedente di Shyamalan con la Blumhouse, il found footage The Visit, era la vicenda di due bambini che andavano a trovare i nonni, ma Shyamalan la sporcava, la riempiva di piccoli particolari che non tornavano e, alla fine, ce la rivoltava contro.
In Split l’operazione è meno gridata ed evidente, ma è simile.
Stiamo un’ora e mezza convinti di assistere a un thriller psicologico e poi veniamo catapultati nell’horror soprannaturale senza neanche avere il tempo di rendercene conto.
Che poi è sempre stata questa l’essenza del cosiddetto “twist alla Shyamalan”: non un vero e proprio twist, ma un cambio repentino di prospettiva o addirittura, come in questo caso, di genere, che però non pregiudica la coerenza narrativa. O almeno, non la pregiudica nei film più riusciti del regista.
Per questo Split, nonostante la successione degli eventi possa apparire scontata, non è mai un film prevedibile: ha una struttura da B movie e un’anima da film d’autore, per la cura dei personaggi (tutti, compresi gli alter ego di Kevin), per come vengono messi in relazione gli uni con gli altri, soprattutto il rapporto molto intenso che si viene a creare tra Kevin e una delle tre ragazze rapite, Casey (Anya Taylor-Joy), per una regia mai convenzionale, attentissima alle sfumature, con tutte le accortezze e le sinuosità tipiche del cinema di Shyamalan, che temevo fossero andate perdute, lavorando con un budget di appena 10 milioni di dollari e dopo la parentesi “filmato della prima comunione” di The Visit.
C’è un motivo per cui, alla fine degli anni ’90, Shyamalan era considerato l’erede di Spielberg: hanno una concezione molto simile dello story-telling per immagini e Shyamalan mutua da Spielberg un paio di vezzi stilistici, come il piano-sequenza invisibile o l’enfatizzazione del primo piano (nota ai più come Spielberg face).
Questo non vuol dire che Shyamalan sia un imitatore, non vorrei si creasse un equivoco: è un autore originale e con una sua idea di cinema. Anzi, per un certo periodo di tempo è stato, insieme a un signore di nome del Toro, l’unico vero autore di cinema fantastico disponibile al grande pubblico dotato di tematiche personali, di autonomia stilistica, di un’impronta personale che nessun’altro aveva.
Ed è un’ottima notizia vederlo tornare a fare il suo cinema, in formato ridotto per budget, ma non per ambizioni. Perché Split è Shyamalan all’ennesima potenza, in perfetta continuità con un discorso che pareva interrotto dai tempi di The Village.
Chi non ha mai apprezzato Shyamalan non apprezzerà neanche Split, ma i suoi estimatori hanno di che festeggiare. Io, che sono sempre stata nel mezzo della ballata di odio e amore per questo regista, sono convinta che la dimensione più contenuta in cui i meccanismi spietati della Blumhouse lo hanno costretto abbia fatto bene a Shyamalan, lo abbia aiutato a focalizzarsi sul nucleo del suo film, senza diventare inutilmente dispersivo.
L’intelligenza di Blum, noto per produrre film in serie, è stata però quella di non esercitare alcuna influenza a livello creativo sul “suo” regista, libero di agire a suo piacimento, ma sempre all’interno di alcuni limiti tecnici ben precisi: Split è quasi tutto girato in interni e quasi sempre in un solo ambiente (i sotterranei-prigione); esce all’aperto in un paio di flashback sull’infanzia di Casey, in quella meraviglia dell’incipit e nell’altra meraviglia del finale; ci si sposta dal centro dell’azione, ovvero il rapimento, solo per trasferirsi nell’appartamento della psichiatra di Kevin e ci si sta anche pochino; sono presenti, in tutto, cinque attori principali; non esistono scene di massa e, in estrema sintesi, è tutto molto contenuto e ristretto. Il che va benissimo, per una storia del genere. È il metodo Blumhouse, dopotutto, e si è dimostrato vincente, da ogni punto di vista, negli ultimi dieci anni. Una factory vera e propria che alterna filmacci dozzinali e fatti per capitalizzare il più rapidamente possibile a veri e propri gioielli del cinema recente. Shyamalan non poteva trovare una dimensione più adatta a lui.
E ora, se non avete visto il film, fermatevi pure qui, perché sto per mettermi a speculare sul finale. Insomma, SPOILER SPOILER SPOILER!
Abbiamo detto prima che Split comincia come un thriller psicologico e chiude come un horror soprannaturale: la ventiquattresima personalità di Kevin, la Bestia, esiste davvero ed è davvero indistruttibile come affermano gli alter ego che hanno preso il controllo. Se il film si fosse fermato qui, sarebbe stato comunque ottimo, ma Shyamalan inserisce un colpo di coda sbalorditivo, che fa rivalutare quanto visto fino a quel momento sotto un’ottica completamente diversa e trasforma Split in un altro genere ancora, quello supereroistico e, se vogliamo essere più specifici, nella origin story di un super cattivo. Il gancio finale a Unbreakable non è quindi un semplice ammiccamento ai fan del regista, è un qualcosa di più profondo e va considerato alla luce di una filmografia con una forte coerenza interna.
Si aprono quindi scenari futuri molto interessanti per un ritorno di Kevin in altri film di Shyamalan e per un suo probabile scontro con David Dunn.
Split ha sbancato i botteghini di mezzo mondo, a dimostrazione di quanto Jason Blum ci veda lungo. A questo punto, devo pensare che The Visit fosse solo una sorta di esercizio propedeutico e che il buon Shyamalan sia tornato se stesso. C’è bisogno di registi come lui, nel cinema fantastico, registi in grado di offrire un punto di vista unico sulle storie che raccontano, grandi narratori in primis e, proprio perché tali, esteti sopraffini. Autori popolari che non si abbassano al livello del pubblico di massa, ma lo costringono a fare più di uno sforzo di comprensione per star loro dietro e, quindi, lo rispettano molto di più in confronto a tanti colleghi che preferiscono un approccio elementare e a prova di idiota.
È importante riconoscere la presenza di un autore nel cinema di genere ed è giusto gioire, quando se ne scova uno. A maggior ragione, possiamo essere felici perché un autore che credevamo perso è tornato tra noi, possiamo finalmente aspettare con trepidazione il prossimo film di Shyamalan.
Vado Mercoledì, poi le racconto 🙂
Rapido nella storia, efferato nei dettagli, psicologicamente infinito per i punti di vista messi in campo e volutamente folle nella parte conclusiva. SPLIT è un pugno allo stomaco, visto appena uscito e adorato, consigliato a varie persone con gusti differenti e seppur con difficoltà poi si sono ricreduto. Sul regista non posso dire molto, lo seguo da sempre e oltre a The Village ho apprezzato anche E Venne Il Giorno
Ps : ho commentato e sono subito andato a vedere tramite google ricerca se avevi recensito proprio E Venne Il Giorno e ho ritrovato una classifica di Film orribili giusto per caso😂😂😂 ( usciranno le faccine che ridono? !? ).
Io invece ho apprezzato la storia e l’idea di fondo, alcune sequenze come quella iniziale, il giro di pistole tra le persone nel traffico e quella dei suicidi dai tetti sono appetibili, riguardo il protagonista lasciamo stare e stendiamo cento veli pietosi…un’espressione congelata in tutto il film
Sì, sono uscite proprio le faccine che ridono fino alle lacrime 😀
Guarda, io da The Happening sono uscita delusissima proprio perché la premessa iniziale mi affascinava molto.
La scena che dici tu, quella del passaggio della pistola, è davvero bella, hai ragione, però poi il film deraglia, almeno secondo me.
The Village, invece, è un gioiello sottovalutato.
Da fan del “vecchio” Shyamalan (fino a “Lady im the Water” che ha un sacco di problemi ma mi piace comunque tanto) concordo in toto con la recensione, il film mi è piaciuto molto e quella cosa spoilerosissima l’ha fatto diventare una delle mie esperienze cinematografiche più belle, avevo il cuore in gola e, sono sincero, anche con le lacrime agli occhi.
Per quanto riguarda la sua filmografia, ho rivisto giusto ieri “The Happening” e me lo ricordavo meglio, mentre “The Village” è uno dei miei film preferiti in assoluto, felicissimo di leggere che è piaciuto anche a te!
Come al solito complimenti per l’articolo ed il sito più in generale, commento poco ma leggo sempre!
Ma anche io, alla fine stavo coi lucciconi agli occhi. Rivedere quel personaggio, quell’attore è stato davvero bellissimo, un regalo di Shyamalan a chi ha amato il suo film migliore.
Grazie, davvero.
🙂
Shyamalan mi sembrò davvero promettente ad inizio carriera (vedi appunto Il Sesto Senso il cui unico vero difetto, a mio parere, è quello di non essere invecchiato benissimo rispetto ad altri titoli) ma, dopo Unbreakable, mi sono trovato davanti a una serie di promesse non mantenute -tipo Signs, che mi convince sempre meno a ogni visione- con l’unica possibile, valida eccezione di The Village… The Happening? Premessa bomba, poi rivelatasi poco più che un mortaretto. Meglio non era andata manco con After Earth, giusto per citare un altro titolo che avrebbe forse potuto fungere da potenziale rilancio (se non si fosse ridotto ad essere un anonimo fanta-kolossal su commissione). Ma oggi, citandolo, possiamo dire “E venne il giorno… che, grazie a un calibro da 90 come Split; ritornò finalmente fra di noi” 😉
After Earth però è servito, perché lì Shyamalan ha proprio toccato il fondo. Un film peggiore di quello era impossibile da fare.
Si sarà reso conto e avrà abbandonato i blockbuster per tornare a una dimensione più indie.
Sì, ha dovuto sbatterci la testa di persona per capire che i blockbuster proprio non facevano per lui…
[…] Se siete interessati, vi lascio i pareri degli amici e compari Bloggher Lucia, Lucius e Benez, se vi possono […]
Scusate se mi intrometto, ma avrei una questione da sottoporvi. Per vedere Split e goderni il colpo di scena nei titoli di coda devo per forza di cose guardare prima Unbreakable per coglierne il senso? Ne approfitto inoltre per fare i complimenti alla recensora, veramente molto competente in materia.
Ciao e grazie.
Beh, sì, devi per forza aver visto Unbreakable per capire il sotto-finale di Split. Il film te lo puoi godere tranquillamente senza sapere nulla dei film precedenti del regista, però quei 30 secondi alla fine no.
Capito, grazie mille
Premetto che ho visto il film 2 volte per intero nel giro di 3 giorni e non riesco ancora a capire l’hype che si è creato attorno ad esso. Ottima la recitazione di McAvoy ma per il resto il mio encefalogramma è rimasto piatto. Un melting pot di vari generi completamente trascurabile. Il rossetto di lei ancora bello vivo stampato sulle labbra dopo non so quanti giorni di prigionia è una cosa che non si può guardare. Per non parlare del finale ridicolo e pacchiano. Mi taccio poi su una miriade di altre cosucce indigeribili che ho notato per amor di brevitá. Se questo è il ritorno in grande stile di Shyamalan siamo a posto gente. Sempre secondo me e con il massimo rispetto per chi non la pensa come me, sia chiaro.