Oramai dovremmo saperlo come le tabelline che il primo ciclo produttivo dello slasher statunitense e canadese finisce nel 1984, con Nightmare. Ma la fine di un ciclo produttivo non significa la fine di un genere. Lo slasher ha continuato a esistere, sempre meno sul grande schermo e sempre più nel mercato destinato alle videocassette, con budget via via inferiori, stanche ripetizioni dei cliché, seguiti delle saghe storiche proliferanti e dalla qualità che, a ogni film, si avvicinava all’infimo.
Se diamo un’occhiata alla produzione horror del 1986, ci accorgiamo che gli slasher sono diventati mosche bianche. Il 1986 è l’anno del grande body horror: escono La Mosca e From Beyond. Ma non solo, è anche l’anno in cui l’approccio cinematografico al tema del serial killer subisce una brusca sterzata, con due film importantissimi, Manhunter e Henry – Pioggia di Sangue. Che il secondo abbia dovuto aspettare il 1990 per avere una distribuzione la dice lunga su quanto il pubblico non fosse ancora pronto per un’attitudine così cupa.
Ma è comunque segno di un cambiamento, dove lo slasher, con la sua superficialità voluta e ostentata, trova davvero poco spazio.
Rappresenta una parziale eccezione April Fool’s Day, diretto da quel Fred Walton che, nel ’79, aveva già diretto un film con parecchi punti in comune con lo slasher classico: Quando Chiama uno Sconosciuto.
Ho detto parziale eccezione perché April Fool’s Day è uno slasher molto più intelligente e complesso di quanto possa sembrare leggendone la trama. Come per Sleepaway Camp, anche se per motivi diversissimi, la forza del film risiede nel suo finale ed è quindi impossibile parlare di April Fool’s Day senza farvi riferimento. Quindi vi avviso subito che saranno presenti SPOILER e che, se non avete visto il film, conoscere il finale potrebbe rovinarvi irrimediabilmente l’esperienza.
La situazione di partenza non potrebbe essere più tipica di così: Muffy, giovane studentessa di teatro e ricca ereditiera (Deborah Foreman), invita i compagni di università per un fine settimana nella sua villa sul mare, in occasione delle vacanze di primavera. Durante la tratta in traghetto (l’ultima, prima del weekend, durante il quale non ci sarà più modo di tornare sulla terraferma), i ragazzi causano involontariamente un incidente a un marinaio, che rimane ferito in modo grave. Il tutto avviene perché un pesce d’aprile va fuori controllo, come nella migliore delle tradizioni dello slasher da Terror Train in giù.
Abbastanza impermeabili alla faccenda, i nostri se ne vanno a gozzovigliare in villa, per cominciare a essere uccisi uno dopo l’altro, mentre la padrona di casa sembra andare fuori di testa.
Ora, se il film fosse tutto qui, difficilmente ne parlerei, persino in una rubrica come questa. Ci sono bizzeffe di slasher con uno scheletro simile ma meno banale. Ma, negli ultimi cinque minuti, si assiste a un ribaltamento di campo tra i più originali mai visti: tutto ci che abbiamo visto era una messa in scena, un gigantesco, complicatissimo e macchinoso scherzo ai danni degli invitati che, nel momento in cui vengono fatti fuori, smettono di essere vittime del pesce d’aprile e diventano partecipanti attivi, ai danni dei “sopravvissuti”. È talmente ben fatto, il trucco, che sorprende pur rimanendo, se si considera il film a posteriori, perfettamente plausibile. Il che rende anche divertenti delle visioni successive alla prima, per divertirsi a scoprire il meccanismo messo in atto da Muffy, ma senza cascarci più come dei deficienti.
Il titolo, oltre a essere (sempre a posteriori) un parziale spoiler, è anche un ammiccamento sardonico alla moda di intitolare gli slasher usando festività e date, a partire da Halloween, passando per Prom Night e lo stesso Venerdì XIII, transitando tra i vari Silent Night e Home for the Holidays (che però è del ’72) o Happy Birthday to me, far coincidere la mattanza con una data significativa, era una delle regole non scritte del manuale del buon slasher anni ’80. E un film del filone chiamato Pesce d’Aprile non poteva che risolversi tutto in una gigantesca burla ai danni dei protagonisti. E dello spettatore, convinto di star assistendo a un horror e destinato a ritrovarsi in una commedia sullo stile di Invito a Cena con Delitto.
April Fool’s Day è, sempre fino agli ultimi dieci minuti, uno slasher serissimo. Ha tutti i crismi, tutte le caratteristiche dei suoi omologhi di qualche anno prima. Fred Walton e lo sceneggiatore Danilo Bach (arrivato fresco fresco da Beverly Hills Cop) capiscono alla perfezione che il pubblico, affinché il film abbia l’effetto voluto su di esso, non deve stare al gioco, ma al contrario ne deve completamente ignorare le regole. Deve credere in quello che sta vedendo, dalla prima all’ultima scena, dal primo all’ultimo omicidio. E quindi si segue, anche a costo di apparire pedissequi, uno schema che sia il più consolidato possibile e lo si porta avanti come dei carri armati fino alla rivelazione. Si prendono i soliti caratteri stereotipati, la final girl designata (una delle migliori, Amy Steel), i buontempone un po’ scemotto (Thomas F. Wilson, il Biff di Ritorno al Futuro), la ragazza disinibita, quello fissato con il sesso, il bello e buono, giusto un tantino dannato, fidanzato con la final girl, e li si chiude tutti in un luogo da cui è impossibile andare via. Si fanno poi cadere tutti i sospetti sulla squilibrata di turno e, quando è chiaro che si è arrivati al confronto finale, si apre la porta e, tutti i personaggi che credevamo morti se ne stanno tranquilli e in salute, a gabbarci. E a ridere di noi e della nostra ingenuità, che ancora ci facciamo fregare da questi meccanismi così dozzinali.
Come nell’esordio di Walton la fonte di ispirazione principale era Hitchcock, qui abbiamo invece un altro antenato illustre, letterario soprattutto, ma con una sfera di influenza estesa a tutta la storia del cinema: Agatha Christie e tutto quello che da lei sarebbe scaturito nel corso degli anni. Whodunit, lo chiamano quelli bravi. Dieci piccoli indiani in una villa che vengono eliminati uno a uno. Il regista semina indizi, la final girl li segue con scrupolo, arriva alla soluzione. Ma la soluzione, in questo caso, non c’è. Perché è il delitto a non esserci e gli indizi sparsi ad arte in soffitta e in cantina erano, anche quelli, parte del gioco.
Dieci anni in anticipo rispetto a Scream, April Fool’s Day già si specchiava nella sua stessa struttura e rompeva la quarta parete in un modo elegantissimo. Un genere sul viale del tramonto può trarre nuova linfa solo dalla riflessione autoreferenziale. Senza fare uso della citazione, senza aprire il giocattolo per vedere com’è fatto e renderlo, quindi, inservibile, April Fool’s Day è il primo slasher a raggiungere un livello di sofisticazione molto più vicino all’astrazione pura di un Williamson che allo schematismo brutale dei primi anni ’80. Se è lecito cercarli da qualche parte, i prodromi del discorso metacinematografico di Scream si trovano proprio qui. Ed è strano che questo piccolo gioiello sia così poco conosciuto e apprezzato. Fateci un pensierino per Halloween.
la mia lista sta diventando infinita come i rotoli di carta igienica regina: appuntato anche questo! non ho letto tutto per evitare spoiler, ma le prime righe di trama mi hanno immediatamente ricordato dieci piccoli indiani, che adoro 🙂 tra l’altro la recente visione di fender bender (scoperto grazie alla tua recensione di qualche giorno fa) mi ha fatto rivalutare gli slasher, che conosco veramente poco. urge approfondimento 😉
Gli slasher, se si vedono i migliori, sono un diletto incredibile 😉 E sono perfetti per Halloween!
Ho cercato di leggere a pezzi e bocconi per non incappare negli spoiler e se riesco a rintracciarlo lo vedrò, perchè 1 lo consigli tu e 2 di fred walton, oltre a Quando chiama uno sconosciuto, ricordo anche un bel thriller, I delitti del rosario.
Da rintracciare dovrebbe essere facile: io ho addirittura il DVD italiano, trovato qualche anno fa su una bancarella.
Non vorrei dire castronerie, ma dovrebbe essere sul tubo.
Hai ragione, c’è, e quindi lo vedrò.
Era riuscito a prendermi ben bene per il culo quando lo vidi la prima volta, lo devo ammettere (per certi versi, lo trovo assimilabile anche a “La casa dalle lunghe ombre” di Pete Walker) 😉
Quel vecchio burlone di Walker. Un altro grandissimo.
Eh sì, anche il fantasma dello spoiler mi ha fatto subodorare lo scherzo rovinandomi un po’ la visione. Era meglio non sapere niente (ma d’altra parte, se non sapevo niente, non sapevo nemmeno che il film esisteva).
Eh, infatti io ho cercato di dire il meno possibile nell’introduzione. Però sì, anche sospettare qualcosa, rischia di pregiudicare in parte il film, che andrebbe visto nella più totale e beata ignoranza 😀