
Regia – Stuart Ortiz (2025)
Scusate, mi sono resa conto di aver dimenticato di elencare i film su cui non sono riuscita a scrivere un articolo (anche perché c’erano già). Faccio un rapido recap e poi passiamo all’horror di oggi: per il day 18, in cui si parlava di cimiteri, la mia scelta è caduta su Phantasm, per il day 21, ovvero un horror del mio anno di nascita, mi sono gettata a capofitto su Terrore dallo Spazio Profondo, per il day 23, quello dei metallari, ho rivisto l’adorato Hellbender, film più metal del secolo, per il 26, tutto dedicato a bambole, pupazzi e orsacchiotti, è toccata allo sfortunato Dead Silence e, infine, per il day 28, nato per omaggiare la divina Barbara Crampton, che ho già omaggiato al day 1 di questa challenge, non potevo che celebrare la perfezione di Jakob’s Wife.
Sbrigate le formalità, passiamo al tema di oggi: l’orrore cosmico. Un filone vastissimo, e anche molto generico, che quindi permette un’ampia varietà di scelte.
A una prima occhiata, un film come Strange Harvest, primo lungometraggio in solitaria di Ortiz dei Vicious Brothers (Grave Encounters), c’entra poco con l’orrore cosmico, perché si presenta al pubblico come una perfetta simulazione di un documentario true crime.
Ma è un gioco truccato, perché quello del true crime è soltanto un travestimento: quando getta la maschera, Strange Harvest è uno dei più agghiaccianti horror cosmici dell’anno.
Strange Harvest è ambientato nella regione di Inland Empire, nella California del Sud, ed è la cronaca delle gesta di un serial killer, noto a stampa e polizia come Mr. Shiny. L’assassino ha ucciso la prima volta all’inizio degli anni ’90, tre vittime che però le indagini non hanno messo in relazione tra di loro se non quando era troppo tardi; poi è scomparso nel nulla, per riapparire nel 2010 e compiere una serie di efferati omicidi rituali. Il film racconta le indagini attraverso le interviste ai due agenti di polizia che hanno seguito il caso nel corso degli anni, le testimonianze dei pochi sopravvissuti, e tutto il materiale video, audio e fotografico raccolto durante la lunga investigazione.
Nella struttura, è davvero un documentario true crime come quelli che Netflix fa uscire a mucchi: ne coglie pienamente ogni singola caratteristica, dai toni sensazionalistici al finto pietismo nei confronti delle vittime, passando per la ricerca ossessiva del dettaglio macabro e pruriginoso, fino ad arrivare ai dettagli estetici più minuziosi, come i droni in timelapse sulla città, la luce piatta e invadente delle interviste, l’uso della musica. Se lo si guardasse senza sapere in anticipo che si tratta di un’opera di finzione, lo si potrebbe tranquillamente scambiare per uno di quei prodotti spazzatura che vanno tanto di moda oggi.
Infatti Ortiz lo ha anche dichiarato: l’ispirazione per il film gli è venuta guardando un documentario su Netflix, al quale ha aggiunto un bel po’ di riferimenti cinematografici più nobili, da Il Silenzio degli Innocenti a Zodiac. Ma quella che salta subito all’occhio è la presenza massiccia di Lovecraft, anzi, del corpus lovecraftiano nato dalle creazioni dello scrittore. Lo stesso nome del serial killer, Mr Shiny, viene da At Your Door, una campagna del gioco di ruolo Call of Cthulhu uscita nel 1990, dove compare un personaggio, Mr Shiny appunto, che è una sorta di shoggoth in forma umana.
Il Mr Shiny del film è, apparentemente, umano: ha un nome un cognome, un passato, una storia personale che culmina dentro una grotta dalla quale pare sia uscito cambiato, dopo aver avuto delle visioni, o almeno, questo dicono le testimonianze di chi lo conosceva. Resta tutto, com’è ovvio, nel vago, e i protagonisti del mockumentary, ovvero i due agenti che sono stati dietro al serial killer per più di vent’anni, quando viene chiesto loro se è possibile che ci sia qualcosa di soprannaturale dietro le azioni dell’assassino, scrollano le spalle e negano con veemenza, perché è così che funziona nel genere imitato da Strange Harvest.
Eppure, noi sappiamo che è soltanto una copertura, lo sappiamo dall’inizio, dalle primissime immagini.
Il film è eccellente nel muoversi su questo doppio binario, nel rispettare tutti gli appuntamenti prestabiliti di una formula nota a gran parte del pubblico e, nel frattempo, suggerire sussurrando che siamo stati turlupinati. In questo, ricorda moltissimo anche True Detective.
Mr Shiny non è spaventoso in quanto banale serial killer come ne abbiamo visti tanti, è spaventoso per le implicazioni che si porta dietro il suo viaggio indisturbato in varie parti del mondo, per quello che stava cercando e per come è stato fermato pochi secondi prima che riuscisse a trovarlo. È spaventoso perché è destinato a tornare, gli eventi orribili qui narrati sono destinati a ripetersi, in un ciclo infinito di terrore, violenza e morte.
Certo, gli omicidi, raccontati con dovizia di particolari, non sono solo feroci, hanno anche una qualità bizzarra che li rende particolarmente difficili da sopportare: Ortiz non può, per motivi legati al linguaggio scelto, metterli in scena tutti, ma non si fa scrupoli nel mostrarci le foto delle varie scene del crimine e di mostrarcene qualche sprazzo grazie all’uso di webcam o di telecamere di sicurezza; la maschera dell’assassino è efficacissima nella sua semplicità, perché evoca il tentativo di imitare la forma umana da parte di chi umano non è, uno shoggoth in incognito, insomma.
Non sto quindi dicendo che tutta la parte, per così dire, realistica del film non faccia paura, ma si tratta di immagini che siamo abituati a subire dalla mattina alla sera e in diverse forme spacciate per intrattenimento. Il true crime fa parte del tessuto della nostra vita quotidiana.
Strange Harvest si eleva al di sopra di questa spazzatura perché la tratta, appunto, come spazzatura, e perché la usa soltanto come mezzo per raccontare un orrore molto più ancestrale e profondo, un male che penetra nella realtà se noi gli diamo il permesso di farlo, che incombe dall’alto di distanze siderali e aspetta soltanto uno squarcio per arrivarci addosso.
Eliminando tutta la parte sentimentale legata alla storia della famiglia protagonista, Strange Harvest compie un’operazione molto simile a quella di Lake Mungo: usa il formato del falso documentario, rispettato alla lettera, per inserire tutta una serie di piccoli smottamenti che aumentano progressivamente il senso di disagio, fino a deflagrare nella sequenza finale, quella in cui il film si spoglia delle vestigia del realismo ed entra nella zona che qui preferiamo: quella dell’orrore insensato, gigantesco, paralizzante, quella delle cose che dormono nel buio dell’universo, indifferenti se siamo fortunati, ma capaci di annientarci con uno sguardo appena diventano ostili.
Non è un colpo di scena: erano sempre state lì, solo che eravamo troppo occupati a seguire le indagini per rendercene conto.
Dopotutto, ed è una cosa che fa benissimo anche un altro film che ha tante cose in comune con Strange Harvest, ovvero Horror in the High Desert, è nella natura stessa del mockumentary (e parzialmente anche del found footage) di confondere lo spettatore, di distrarlo con un linguaggio a lui molto familiare, costruendo una narrativa parallela per portarlo in territori molto più sinistri.
Più i confini tra fiction e realtà si sfumano, più il concetto di verità diventa malleabile e noi perdiamo i punti di riferimento. Il mockumentary raggiunge la sua massima forma espressiva quando compie questa operazione con la stessa tecnica di un gioco di prestigio, creando cioè l’illusione perfetta di assistere a qualcosa di vero.
È un dispositivo narrativo che, nel gotico e nell’horror esiste più o meno dai tempi dei romanzi epistolari, i veri antesignani del found footage.
Per lo spettatore contemporaneo, non c’è niente di più vero di un documentario true crime, anche se ormai è un tipo di realtà che si è trasformato in una forma di intrattenimento come le altre.
Arriva Strange Harvest e ribalta la prospettiva, mostrandoci il vero volto di queste orrende storie che consumiamo con avidità.
È un congegno molto sofisticato, un film praticamente perfetto. Tra i migliori dell’anno.












Horror cosmico, naturalmente ( io sto proprio diventando ripetitivo…)di nuovo il maestro John Carpenter ,questa volta con “Il seme della follia”, film tanto bello quanto disturbante.
Grande curiosità da parte mia, anche se ho visto che il reperimento non è così agevole
Sì, ho dovuto fare un po’ di salti mortali, ma ne è valsa la pena
Sembra davvero assai intrigante, questo Strange Harvest… Orrore cosmico per orrore cosmico, io rilancio con Occult di Koji Shiraishi (annata 2009).