
Regia – Adams Family (2021)
John Adams, Zelda Adams, Lulu Adams e Toby Poser sono una famiglia di grandi appassionati di cinema dell’orrore. Papà Johne e mamma Toby hanno cresciuto le due figlie a pane e filmacci sin dalla più tenera e impressionabile età, e loro sono venute su con gli stessi gusti. Ma non finisce qui, perché da un certo momento in poi, gli Adams non si sono più limitati a vedere i filmacci insieme; hanno iniziato a farli, John e Toby esordiscono alla regia nel 2013, con il lungometraggio Rumblestrips, ma il loro primo film a trovare una vera distribuzione è The Deeper you Dig del 2019. Adesso la loro ultima fatica è arrivata su Shudder, e questa volta sono in tre a firmare la regia e la sceneggiatura: John, Toby e la diciottenne Zelda, che buca lo schermo con la naturalezza di una diva della Hollywood classica.
Con Hellbender vale lo stesso discorso già fatto in passato per altri film a bassissimo budget girati nel cortile di casa: prima di sedervi a guardarlo dovete sapere a cosa andate incontro e, se siete tra quelli che storcono il nasino perché non c’è un’effettistica livello Disney, allora lasciate stare. Se invece siete disposti a soprassedere a vi volete godere il film più metal dell’anno, accomodatevi pure.
Hellbender è la storia di Izzy e di sua madre, che vivono da sole in una casa in mezzo ai boschi, hanno un ottimo rapporto di complicità e affetto, suonano insieme in una band e, insomma, sembrano stare davvero bene. Se non fosse che Izzy non può uscire e non può interagire con altre persone perché, le dice la mamma, è malata e contagiosa. Izzy è sempre stata da sola, non ha mai avuto un amico e l’unico altro essere umano con cui ha dei contatti è, appunto sua madre.
Però Izzy è un’adolescente, è curiosa, ha voglia di conoscere il mondo e la gente che lo abita e non si accontenta più di passare le sue giornate a vagare in solitudine per i boschi. L’incontro casuale con un gruppo di coetanei la porterà a scoprire delle cose non proprio piacevoli su stessa e sulla sua natura.
Già, perché Izzy e sua madre sono hellbender, ovvero creature demoniache antichissime che si nutrono di sangue e paura. In parte streghe, in parte demoni, in parte predatori, possono scegliere tra tenere a bada il loro istinto o scatenarlo, con tutte le conseguenze del caso.
Hellbender è un coming of age che, in parte, ricorda Raw, soprattutto per il modo in cui l’essenza repressa di Izzy viene portata alla luce: mangiando, per sfida con i nuovi amici che ha appena conosciuto, un verme. A differenza del film di Ducournau, tuttavia, Izzy non viene lasciata sola, alla mercé di questa scoperta, dalla madre. Da quando la donna si rende conto di non poter più nascondere a sua figlia chi è veramente, comincia un’educazione magica che è una delle cose più interessanti e ben costruite del film: gli Adams hanno infatti inventato un mito al posto di prenderlo in prestito da un folclore già esistente; hanno creato una ritualità ben precisa, un sistema di comunicazione con la storia di queste creature, che si perde nella notte dei tempi; hanno stabilito una serie di regole, di passi da compiere per giungere alla consapevolezza e alla padronanza di un potere che è enorme e può essere malevolo o benevolo a seconda di come si sceglie di usarlo.
O forse no.
La madre è certa che Izzy sia in grado di controllarsi perché l’ha cresciuta come una brava persona, ma ciò che non riesce a capire è la prospettiva di sua figlia, troppo distante dalla sua: lei si è adeguata alle leggi umane, all’imposizione di un modello che Izzy, rimasta sin da bambina lontana e separata da tutto e tutti, non può e non vuole fare proprio. Bene o male non hanno senso, secondo il punto di vista di Izzy: nel momento in cui conosce e accetta la propria diversità, accoglie anche un altro aspetto, quello rifiutato dalla madre: la mostruosità.
Izzy non vuole nascondere ciò che è, non vuole mimetizzarsi tra gli umani per fingersi una di loro. Il contrasto tra lei e sua madre si gioca su questo, non sul classico conflitto tra bene e male e neppure su quello, altrettanto classico, tra natura ed educazione.
Hellbender è il racconto di come le due donne interpretano e vedono la propria natura, sulla percezione che hanno di loro stesse, in relazione l’una all’altra e al mondo che le circonda. Ora, noi di questo mondo, per motivi di budget e anche perché il film è stato girato durante la quarantena, vediamo poco o niente, ma lo stesso riusciamo a sentirne l’oppressione. Bastano quei tre o quattro incontri casuali di Izzy, basta assistere alla circospezione con cui sua madre si muove quando è costretta ad andare in città per procurarsi alcune cose. E basta vedere il prologo con tanto di rogo con cui si apre il film per capire che forse il personaggio della mamma, più che per qualche presa di coscienza etica, è mossa dalla paura, e teme che su Izzy si scatenino violenze e persecuzioni, qualora dovesse rivelarsi per quella che è. Il problema è che Izzy è al di là della paura, al di là delle convenzioni cui sua madre si è piegata. Izzy vuole essere una Hellbender.
A differenza di The Deeper you Dig, che aveva un’impostazione ancora parzialmente amatoriale, Hellbender segna un vero salto di qualità per gli Adams, il punto in cui da dilettanti che si divertono a realizzare film in famiglia, possono diventare dei professionisti. Avevano un po’ di soldi in più e si sono potuti sbizzarrire con sequenze elaborate, oniriche, una messa in scena più creativa e più costruita. Potevano usare addirittura un drone, operato da Zelda Adams in persona che, a sentire e a leggere le interviste di questa famiglia di bislacchi cinematografari, è la vera mente dietro l’impronta estetica del film, e avere questa padronanza a 18 anni, anche se i tuoi genitori ti hanno praticamente svezzata sul set, non è cosa da tutti e non succede ogni giorno.
Questo per dire che sono curiosissima di cosa combineranno gli Adams in futuro, ma soprattutto sono curiosa di vedere cosa combinerà Zelda, perché ha la stoffa della scream queen, ma anche l’occhio da regista.
Date quindi un’occasione agli Adams e vedrete che vorrete loro un gran bene, e continuate a inchinarvi a Shudder a tutto l’horror indipendente che continua a regalarci.
Quasi dimenticavo: menzione speciale per la colonna sonora, scritta da John Adams.
“Izzy non vuole nascondere ciò che è, non vuole mimetizzarsi tra gli umani per fingersi una di loro”; è verissimo, anche perché, al contrario della madre, non ha sperimentato sulla sua pelle l’intolleranza e la violenza degli uomini ” normali”. Tipicamente adolescenziale, quindi autentico.
Devo confessarti che il film mi ha sorpreso proprio dal punto di vista visuale, è splendido, a eoni di distanza da pellicole realizzate con budget rapportabili o anche superiori.
Ti ammorbo con quanto ho scritto post visione:
“Opera esemplare nel dimostrare come a tutt’oggi si possa realizzare qualcosa di realmente notevole pur disponendo di un budget irrisorio, Hellbender riesce ad essere uno dei più creativi horror recenti e al tempo stesso un bellissimo ritratto di un rapporto madre-figlia.
La prevedibile trama passa in secondo piano dato che l’interesse primario del “clan” Adams-Poser è quello di irretirci in una sorta di incantesimo, ammaliare e terrorizzare, rendere unica e artistica ogni immagine sullo schermo, trasfigurare ogni elemento attraverso una prospettiva in grado di farci considerare “normale” l’inverosimile.
Ogni singola ruga nel volto di Toby Poser sembra in grado di raccontarci una storia, ogni movimento dell’ossuto corpo di Zelda Adams ci comunica del suo modo di imparare a rapportarsi col mondo.
Un piccolo capolavoro di artigianato filmico, per molti versi più vicino alla poesia che al cinema”
Bisogna mettere più spesso le ragazze di 18 anni dietro la macchina da presa e vedere che ti combinano. Immagina questa cosa si può inventare in futuro con il suo talento così grezzo e visionario.
Aspettavo il post. Figo, mi è piaciuto.
Sugli effetti speciali, confermo che più il film funziona e meno ne sento il bisogno: anche qui, la cgi che c’è mi ha distratto (il resto no: molto figo) anziché prendermi e la scena che ha spaventato di più è quella dell’urlo presente anche nel post. Ultimamente mi capita spesso di amare l’essenziale (questo film mi ha ricordato il bellissimo Pyewacket, è possibile?).
C’è un altro aspetto. Un film così mi fa “oscillare” emotivamente di continuo: ci sono momenti di grande tenerezza, momenti di tristezza, momenti di follia, violenza, momenti di “terrore” relazionale momenti in cui empatizzi, tifi per, soffri, e poi ti allontani… Alla fine c’è una identità che emerge, una libertà che reclama spazio… ma tutto questo è anche pieno di dolore e di violenza. Una crescita che passa attraverso una forma di empowerment fatto di vita e di morte insieme. Senza mediazioni. Anche in Thelma mi pare che succedesse qualcosa del genere. A me esalta e terrorizza al tempo stesso (anche perché mi ricorda parecchie cose). A voi che effetto fa? Come lo avete vissuto e/o interpretato questo aspetto (un po’ se ne parla anche nel post?
Canzoni bellissime!
Hunter Hunter, Hellbender.
Fighi.
Le Hellbender, con il loro trarre nutrimento da sangue e paura, mi ricordano non troppo alla lontana i Riven di Clive Barker: creature antiche di eoni, personificazioni della paura stessa che non vedono l’ora di tornare a farla provare al genere umano responsabile del loro esilio primigenio…
No, io di certo non lo guarderò per trovarci dell’effettistica livello Disney (magari fosse rimasto da quelle parti anche solo un decimo del brio, dell’inventiva e della libertà mostrata dagli horror indie) 😉