Project Wolf Hunting

Regia – Kim Hong-sun (2022)

Voi magari non lo sapete ancora, ma sono certa che, dopo aver visto questo film, vincitore del premio speciale della giuria al festival di Sitges dell’anno scorso, capirete di avere sempre desiderato una versione horror di Con Air ambientata una nave. È solo che non ci avevate pensato. Per fortuna, a pensarci è stato il regista coerano Kim Hong-sun, e poiché alle menti brillanti vanno tributati i giusti onori, eccoci qui, a dire tutto il bene possibile di questo mastodonte della durata di 120 minuti, dei quali almeno 110 sono dedicati a squartamenti. Sì, perché Project Wolf Hunting non è solo la versione horror di Con Air, è la sua versione ultra splatter; non per tornare alle mie solite ossessioni negative, ma vi posso assicurare che si tratta di un film che fa impallidire una roba come The Sadness, e in più non ha tutta quella violenza sessuale messa lì per atteggiarsi ad adolescente ribelle. Qui si spappolano corpi come se fossero dei frutti maturi, si schiacciano teste, si estraggono cuori dal petto e si ammazza in ogni modo possibile, cercando di infliggere il massimo del dolore.

In seguito a un accordo tra i governi filippino e sud coreano, alcuni criminali coreani arrestati nelle Filippine saranno fatti tornare subito nelle patrie galere, e viceversa; per una serie di motivi complicati (ma risolti magnificamente in un prologo di pochi minuti), i prigionieri coreani partiranno dalle Filippine con una nave, scortati dalla polizia a bordo e seguiti passo passo dalle forze speciali via terra.
Ovviamente, questi criminali sono molto più furbi dei poliziotti e hanno già organizzato un sanguinosissimo ammutinamento: tempo di arrivare in mare aperto e hanno già fatto una strage e preso il controllo della nave. Non sto spoilerando, ci mancherebbe: è soltanto l’inizio del film, perché la vera trama di Project Wolf Hunting è un’altra. A bordo c’è infatti qualcosa di molto più pericoloso dei criminali, qualcosa di cattivo e quasi indistruttibile. Di conseguenza tutta la faccenda dell’ammutinamento e della tentata evasione dei galeotti (termine antiquato, ma credo nel caso specifico molto adatto) è un pretesto per sfoltire il cast nei primi minuti e poi dedicarsi alla vera carneficina. Una carneficina che, se dobbiamo dare retta al regista, è stata realizzata con due tonnellate e mezza di sangue finto. Immaginate cosa si può fare con quella quantità di colorante rosso allo sciroppo di glucosio. 

Se Project Wolf Hunting ha un difetto, e ne ha, nonostante il bene che gli voglio, è la sua durata associata a una certa ripetitività dell’azione. In pratica, succede sempre la stessa cosa e succede molto a lungo. Non che io non mi diverta o abbia alcun desiderio di fare la difficile di fronte a una tale e gloriosa mattanza, però mi è parso che il regista (e sceneggiatore) fosse così preso dal divertimento di sbucciare quanta più gente possibile da dimenticarsi di avere per le mani anche una storia piuttosto ingarbugliata, con vari flashback sparsi in giro, a base di manipolazioni genetiche, soldati giapponesi centenari che se ne vanno in giro arzilli e particolarmente inclini alla violenza, servizi segreti deviati, spionaggio e case farmaceutiche pronte a tutto per allungare la nostra aspettativa di vita e farci dunque i soldoni. Insomma, è un film parecchio sbilanciato sul lato action e, allo stesso tempo, pretende di raccontare una vicenda che avrebbe avuto bisogno di un po’ di respiro. 

A pareggiare i conti, tuttavia, c’è una rappresentazione delle guardie che, se fatta qui da noi, scatenerebbe minimo un paio di interrogazioni parlamentari, una denuncia del Codacons e la richiesta di ricambio immediato dei vertici RAI. I poliziotti, in questo film, non sono soltanto violenti tanto quanto la loro controparte criminale, sono anche di un’incompetenza che sfiora la comicità, e infatti quasi l’intero parco personaggi “buoni” viene fatto fuori nei primi venti minuti, a parte qualche sopravvissuto che serve a dare un minimo di dinamica alla Distretto 13 al resto del film, con i superstiti che devono provare a far fronte comune davanti a una minaccia che rischia di mandarli tutti quanti al creatore. 
In generale, la simpatia del regista nei confronti dei propri personaggi non è pervenuta, anche perché non c’è il tempo per introdurli, non c’è il tempo per dar loro un minimo di spessore. Qui si passa da una sequenza action all’altra senza soluzione di continuità, quasi non esistono dialoghi, è tutto carne, sangue e pistolettate. Mai vista una tale quantità di carne da macello su due gambe in un film così lungo. Non so se sia un complimento, probabilmente lo è a seconda dei punti di vista, ma io mi sono molto divertita. 

Quello che più ho apprezzato del film è proprio che non esiste nessun personaggio davvero al sicuro: non c’è un protagonista, non c’è un plot armor messo lì a proteggere nessuno dei presenti a bordo, chiunque può morire in qualsiasi momento, a prescindere dal suo ruolo: che si tratti del capo dei poliziotti, del boss dei criminali, di un feroce assassino o di un semplice operaio che lavora sotto coperta, al regista non interessa: è una lotteria spietata nella quale si ammazza indiscriminatamente, il caos la fa da padrone e a un certo punto non si capisce neanche più chi stia menando chi. Ogni angolo della nave finirà per essere coperto da un lago di sangue, cadaveri e frattaglie saranno sparsi ovunque e, quando saranno esauriti i corpi contundenti, si useranno gli arti strappati, nella versione coreana del proverbiale detto romano “te stacco un braccio e te ce meno”. 
Non so se una cosa del genere può incontrare i vostri gusti, probabilmente non è per tutti, ma è così sopra le righe, così spudorata, sfrenata e senza vergogna che fa l’effetto di una piacevole giostra piena di adrenalina sulla quale fare un giro esaltante e scendere un po’ nauseati, ma rinvigoriti. 

7 commenti

  1. Ora lo posso finalmente confessare al mondo senza paura: ho sempre desiderato una versione horror di Con Air ambiantata in una nave!
    Sono felice!

    1. E questo lo spirito!

  2. “Sì, perché Project Wolf Hunting non è solo la versione horror di Con Air, è la sua versione ultra splatter” Ok, hai preso il mio cuore e la voglia di vederlo solo con questa frase

  3. Non ho visto il film ma che i poliziotti vengano rappresentati con una “incompetenza che sfiora la comicità” ti posso dire – da quel che ho visto – che è tipico di tutto (o almeno gran parte) del cinema (sud)coreano, sia in lavori più cupi come le Memorie di un assassino di Bong Joon-ho o in crime che giocano a stare più sopra le righe come Nido di vipere di Kim Yong-Hoon (e sono film usciti a quasi vent’anni di distanza l’uno dall’altro) sempre, sempre i poliziotti sono rappresentati con un tratto di grottesco, a volte anche eccessivo (quando lo trovo un poco forzato finendo per pesare – sebbene non sempre – nell’economia del film) per rimarcarne la loro inefficienza. E soprattutto additarne il disprezzo. Ora, credo che questo modo di rappresentarli dipenda dal fatto che sino a trent’anni fa la Corea non fosse una democrazia “compiuta”, aveva forti tratti autoritari, i militari erano al potere e la società civile, che negli anni Ottanta disse basta, con proteste e morti conservi ancora come vivo il ricordo e il ruolo di custodi della dittatura che le forze dell’ordine hanno avuto ed espresso nel passato recente del Paese. E il cinema non fa che rimarcarlo.

  4. Con Air in versione horror/splatter su di una nave, con qualcosa di molto poco umano e molto più cattivo dei cattivi imbarcato sulla stessa, con il contorno dei rappresentanti di (poca) legge e (nessun) ordine: direi che c’è proprio tutto 😉

  5. notjustmovie · · Rispondi

    si però tanta bellezza mi sa che sia introvabile praticamente..

    1. Chi cerca trova!

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