
Regia – David Slade (2007)
Proprio ieri questo film incredibile ha compiuto la bellezza di 15 anni. Tanto incredibile quando poco compreso e poco amato ai tempi. Per questo, nel momento in cui ho letto che per il Day 20 il tema della challenge era Modern Vampire, mi sono precipitata a rivederlo con l’entusiasmo di uno squalo in frenesia alimentare. Nel tentativo di completare la challenge di Halloween, sto cercando di mantenere un equilibrio tra film appena usciti e l’andazzo da primi 2000 che questo blog aveva già preso da prima dell’estate. A me pare che 30 Giorni di Buio offra parecchi spunti interessanti relativi allo stato dell’horror di inizio secolo, e non perché segua chissà quale tendenza tipica del periodo; al contrario, l’opera seconda di David Slade non assomiglia a niente, sceglie una strada molto poco percorsa ai tempi (Twilight e la mania per i vampiri sarebbero arrivati solo l’anno successivo), mantenendo soltanto il tipico ed esasperato nichilismo che, ormai lo sappiamo, è una delle principali cifre degli anni ’00. L’altra è, come abbiamo ripetuto centinaia di volte, la crudeltà, non soltanto delle situazioni messe in scena, ma dei personaggi e, a un secondo livello di lettura, contro i personaggi stessi.
Questa pallosissima e ripetitiva introduzione solo per dirvi che 30 Giorni di Buio è uno dei rari casi di horror dei primi 2000, anche ad alto budget (30 milioni di dollari), che non odia i suoi personaggi e, anche se li passa attraverso il tritacarne per quasi due ore, riesce a non essere mai meschino nei loro confronti. Il che, per il particolare ed estremamente circoscritto momento della storia dell’horror cui appartiene, è una rarità di un certo peso.
Poi sì, è comunque cattivissimo, non concede una speranza che sia una e, anche se nel finale fa sopravvivere qualcuno dei protagonisti, chiude su una nota dolorosa e di un’angoscia mortale. Ma tutto questo è perfettamente coerente con l’ambientazione, con il racconto e, non meno importante, con il fumetto da cui il film è tratto.
30 Giorni di Buio è la storia di una cittadina in Alaska, Barlow, dove per un mese non si vede mai la luce del giorno. Chi resta nel paesuncolo anche dopo l’ultimo giorno di luce, se la dovrà vedere con un gruppo di ferocissimi vampiri, che hanno eletto il luogo a territorio di caccia privilegiato. I poveri esseri umani, ridotti a prede impotenti e indifese, cercheranno di sopravvivere fino al successivo sorgere del sole, nascondendosi ovunque possano, mentre all’esterno i succhiasangue fanno una strage.
Il film si prende una buona ventina di minuti per introdurre i personaggi principali e soprattutto raccontare Barlow, darci un’idea abbastanza precisa della sua geografia, del suo isolamento, farci capire con estrema chiarezza che, una volta partito l’ultimo aereo, da lì non si può uscire per un mese, e poi comincia a far agire i vampiri un po’ per volta, prima di scatenarli in tutta la loro potenza da predatori millenari in una delle più belle sequenze di eccidio di massa della storia dell’horror recente.
Ma appunto, la scena dell’attacco sulle strade di Barlow coperte di neve funziona perché i precedenza Slade ha costruito bene ambientazione, atmosfera e personaggi.
Ecco, un’altra caratteristica dell’horror primi anni ’00 è che ha fretta ed è impaziente. Ma David Slade, che poi si è giocato la carriera con la scelta discutibile di andare a dirigere Eclipse, aveva già dimostrato con il suo esordio, Hard Candy, di saper gestire in maniera impeccabile i tempi, di saper dare respiro e accelerare il ritmo alla bisogna, di sapere che se non metti al centro i personaggi, è come se non avessi nulla intorno a cui costruire il tuo film.
Certo, a produrre 30 Giorni di Buio abbiamo Raimi, Talpert e la loro Ghost House, il che garantisce a Slade una totale libertà: persino in un periodo selvaggio come quello del torture porn e degi squartamenti dal costo di svariati milioni di dollari, alcune scene sono difficili da digerire, non tanto per la violenza esplicita, che pure non manca, ma per la disperazione, per la mancanza di compiacimento nel metterle in scena, perché sono fatte per turbare lo spettatore, non per farlo sghignazzare.
C’è poi da tenere in considerazione il trattamento riservato alla figura del vampiro, che mantiene alcuni elementi della mitologia classica, la grave “allergia” alla luce del sole su tutti, ma per il resto è molto più vicino a una creatura come lo zombie che ai vampiri, non dico Universal o Hammer, ma anche quelli riportati in auge negli anni ’80 con Lost Boys o Near Dark. Sono esseri repellenti, ferini, che parlano una lingua tutta loro dai suoni gutturali e pieni di consonanti, ai quali non resta più nulla di umano e hanno per noi la stessa considerazione che un carnivoro ha per una bistecca, con un pizzico di disprezzo in più, dato che il loro capo (Danny Huston) ci definisce una “piaga”. Se c’è un solo tipo di vampiro cui mi sento di avvicinare i mostri di 30 Giorni di Buio, è quello portato al cinema da Carpenter in Vampires. Solo che qui l’alterità rispetto ai personaggi umani è ancora più estrema.
Avendo accennato a Danny Huston, vanno dette due parole sul cast del film, perché è composto da un gruppo di ottimi attori: non soltanto Josh Hartnett, che all’epoca era all’apice della carriera e Melissa George, che è la scream queen dei primi 2000 per eccellenza, ma ci possiamo godere la presenza di Ben Foster in un ruolo ispirato a Renfield e domandarci perché questo interprete non sia mai diventato un divo stratosferico come meriterebbe.
Insomma, la confezione è di lusso, la storia originale e interessante, l’atmosfera a metà tra quella de La Cosa e La Notte dei Morti Viventi e l’esecuzione brillante in ogni aspetto, la cupezza e la dimensione tragica del racconto portate ai massimi livelli. Non si capisce perché 30 Giorni di Buio non abbia avuto maggior fortuna e fatto proseliti. O forse sì: schiacciato tra Underworld e Twilight, aveva un’identità troppo specifica e definita per fare breccia.
Quindici anni dopo, credo si possa dire che si tratta del miglior film di vampiri del decennio. Senza pensarci due volte.
Sebbene abbia girato film migliori (da La Moglie del Soldato a Michael Collins, quando Liam Neeson non era ancora il franchising dolente di Charles Bronson; da l’Intervista a Breakfast on Pluto con Cillian Murphy, l’attore più sexy del pianeta) Byzantium (2012) di Neil Jordan ci ricorda, ancora una volta, quanto sia la forza evocativa delle immagini a fare il cinema (si fa bene a storcere il naso dinanzi l’eccesso di voci fuori campo o musiche extradiegetiche). Qui, una Gemma Artenton che sembra uscita da una tela di Munch (Vampire) e Saoirse Ronan dallo studio di Rossetti (Lady Lilith); e poi: atmosfere ricercate, malinconiche e crepuscolari, in ogni scorcio di paesaggio o città pronte a riverberare il tormento personale delle due protagoniste. Anche il sexual exploitation è descritto con estetica impeccabile ed eleganza, nonché ragionato.
Invece di produzione nippo americana mi piace citare Vampire (2011): nel paese con uno dei più alti tassi di suicidi Shunji Iwai dimostra quanto il genere horror sia capace, come pochi, di gettare una luce nell’animo e illuminare un poco le ombre dell’umano.
p.s. Hard candy è il motivo per cui ho smesso di accettare caramelle dalle bambine.
Quando ero “GGGiovone” reputavo questo film uno schifo…Crescendo l’ho rivaluto molto. Ora lo reputo un buon prodotto, se non altro qualcosa di innovativo, nel ambito Horror Vampaire. Alcune scene anche decisamente Spaltter, crude e senza troppi scrupoli (vedi scena della bambina nel Market). L’idea generale di ambientare un film sui vampiri in un posto dove per un mese non sorge il sole, che già nella realtà senza vampiri, deve essere bello pesante, rende il film molto interessante. Come ho già detto un buon prodotto. Sempre meglio del dimenticabilissimo sequel…
Wow, un film magnifico. Poco apprezzato?
Riesce ad essere gelido (in tutti i sensi) e crudele ma al tempo stesso commovente e caldo, proprio per il lavoro sui personaggi. E intrattiene alla grande. Gli horror così mi piacciono un sacco (e visto che l’orrore era sufficiente, avrei anche optato per un finale meno “forte”, sob).
Mi è venuto in mente un altro filmone di quel periodo che, al di là dei vampiri, forse ha delle caratteristiche in comune con questo: The Mist.
I titoli che condivido con voi sono “Lasciami entrare” e “The Transfiguration” (probabilmente molto fighi da vedere di fila, lasciarsi andare prima e poi magari metterli a confronto – in uno si parla dell’altro pure). Il vampiro, come la vita, può essere un casino di sangue, emozioni, diversità, margine…
Besos!
L’ho per il mio 41o compleanno, al cinema! Un modo diverso per festeggiare 😀
Andai perché avevo letto il fumetto, che vi consiglio perché è bellissimo, e cambiò il paradigma dei disegni nel fumetto horror. Il film mi piacque, anche se rispetto al fumetto, tratteggiava un po’ meno il rapporto tra lo sceriffo e la moglie, e chiudeva un po’ frettolosamente. Lucia, ti consiglio la lettura, se ti è piaciuto il film
Un film assolutamente da rivalutare