
Regia – Stewart Hendler (2009)
“What? I tried to warn her“
In realtà, se si segue la cronologia precisa dei remake, tra Venerdì 13 e Sorority Row, c’è L’Ultima Casa a Sinistra, ma non ce la posso fare. L’ho rivisto, perché sono una che prende fin troppo seriamente i propri impegni e anche perché, leggendo in rete le opinioni sui remake di inizio secolo, Last House on the Left è considerato tra i migliori, se non il migliore addirittura. Mi ci sono messa con tutta la buona volontà, nonostante il mio pessimo ricordo e, oltre a trovarlo ancora pessimo, sciatto e compiaciuto, a un certo punto mi sono ritrovata a pensare: “Ah, c’è un po’ di film in questo male gaze”. Perché puoi essere bravo quanto ti pare, ma se mi giri la sequenza della violenza subita da Mari badando bene a mostrare a favor di camera che bel fondoschiena ha la tua protagonista diciassettenne, perdi all’istante la mia benevolenza. Perciò, niente Last House of the Left, mi dispiace, anzi no.
In compenso, lo sapete qual è davvero il miglior remake tra quelli di inizio secolo? Sorority Row.
È un’affermazione forte, lo so, soprattutto se penso a quando sono inciampata in questo film la prima volta, e a quanto l’ho cordialmente detestato dai titoli di testa a quelli di coda. Al solito, avevo capito poco e nulla; il mio errore principale era stato quello di non contestualizzarlo all’interno dell’ondata dei remake in particolare e dell’horror dei primi anni ’00 in generale.
Sorority Row arriva nel 2009, quando siamo ormai quasi alla fine e già stanno cominciando a cambiare le cose. All’apparenza, è il tipico slasher a budget medio alto che gli studios producevano ai tempi: è violento, è spietato, mette in scena un gruppo di personaggi estremamente sgradevoli, che sguazzano nei loro stessi cinismo e cattiveria. Se si aggiunge che il cast è femminile nella sua quasi totalità, e che le ragazze della sorellanza sono dei giovani mostri (intendendo il termine alla Dino Risi, per capirci), Sorority Row è il concentrato di tutti gli aspetti peggiori di quella fase molto specifica e circoscritta del cinema horror di cui stiamo discutendo qui da settembre.
Eppure non è così, e sarebbe un errore ridurre il film a questo.
Come ho sottolineato un paio di settimane fa parlando di Venerdì 13, quando si passa dal rifare gli horror fondamentali degli anni ’70 agli slasher un po’ dozzinali degli anni ’80, è logico che il registro sia differente. Ma c’è una cosa che i remake “stronzi” hanno in comune con quelli con un intento più serio: manca del tutto la componente camp. Sì, anche Venerdì 13, in tutta la sua immane stronzaggine, ha alla fine un’opinione abbastanza elevata di se stesso, è pesante anche quando vorrebbe farti ridere e mantiene l’aria lugubre e molto dark che connotava una larghissima percentuale degli horror del periodo. È il vento del torture porn e della sua estetica che continua a soffiare anche a Crystal Lake.
Sorority Row è completamente diverso: innanzitutto è coloratissimo, è leggero, è divertente nel senso più genuino del termine, e gioca con lo spettatore, oramai abituato a un certo tipo di stile e di scrittura, in maniera molto sottile e scaltra. Per essere il più chiara possibile, Sorority Row fa, un anno prima, con più eleganza e consapevolezza, quello che avrebbe fatto Aja in Piranha 3D (con cui tra l’altro condivide gli sceneggiatori): diventa un’autoparodia.
Se sull’operazione condotta dal regista francese ho tuttavia qualche dubbio sul fatto che sia volontaria (ne riparleremo), qui non c’è spazio per alcun fraintendimento: Sorority Row sa esattamente cosa sta facendo e lo fa davvero bene, dialogando poi spesso e volentieri con il film cui si ispira, che non dimentichiamolo, è uno degli slasher più interessanti degli anni ’80, e già a sua volta prendeva i tropi del filone e li rivoltava contro lo spettatore.
Il regista e gli autori del copione inseriscono nel loro film ogni caratteristica dell’horror di inizio millennio con il volume a mille, per cui tutto ciò che il pubblico aveva imparato ad accettare e a dare per scontato, salta improvvisamente agli occhi come fuori posto: le battute razziste, omofobe, il già menzionato male gaze, che tuttavia in questo film non è della macchina da presa, ma dei personaggi maschili, tutto è stridente ed eccessivo e, nel frattempo, mentre viene attuato questo sistematico bombardamento, Sorority Row comincia a mostrare il suo vero volto e le sue vere intenzioni.
Innanzitutto non è un film che odia le sue protagoniste, semmai è l’opposto, ma è molto diretto e onesto nel mettere in scena l’amicizia femminile. Le ragazze della theta pi, con tutto che ne combinano di cotte e di crude e se ne dicono di cotte e di crude, sono amiche, si amano davvero tra loro, ed è evidente in ogni istante del film. E dirò di più: la loro amicizia è l’unico spazio sicuro che hanno in un mondo fatto di costanti abusi, ricatti, degradazioni di qualunque tipo, tradimenti e inganni che, guarda un po’, arrivano tutti da un’unica parte, quella maschile.
Certo che Jessica (Leah Pipes, straordinaria e amatissima) è una stronza, ma non devo essere io a dirvi che, a volte, fare la carogna è tutto ciò che resta a una donna, vero?
Sorority Row mostra la faccia peggiore della cosiddetta sorellanza (nel senso accademico del termine) e poi ti fa vedere come la sorellanza (nel senso umano del termine) sia l’unica cosa che ti salva la vita quando qualcuno ha deciso di farti la pelle.
Alla fine, ti accorgi che vuoi bene a queste ragazze all’apparenza così sgradevoli e crudeli, vuoi loro bene come la direttrice della sorority house interpretata da Carrie Fisher: sono delle “crazy bitches”, ma sono le sue “crazy bitches”, che navigano a vista, commettendo errori e combinando danni di portata apocalittica, in un ambiente che non è fatto a loro misura, e anzi, fa di tutto per spezzarle e umiliarle in ogni modo possibile.
Poi sempre in un horror del 2009 siamo, e sempre scritto e diretto da uomini, quindi Sorority Row ha le sue contraddizioni e le sue cadute, e ogni tanto perde la bussola e la chiarezza di intenti va a farsi benedire. Ha una final girl un po’ moscia, non per colpa di Briana Evigan che è sempre molto brava, ma perché il suo ruolo richiede di fare da ancorotto morale per tutta la durata del film, mentre invece sono le altre consorelle, quelle più in zona grigia, a essere davvero interessanti e a cui, per nostra fortuna, viene comunque concesso ampio spazio per brillare.
Una cosa che non viene mai menzionata a proposito di questo film è l’esplosività dei suoi dialoghi: gli scambi ferocissimi di battute tra le protagoniste sono tra le cose migliori che l’horror del 2000 ci abbia mai regalato. Moltissimo del cinema dell’orrore contemporaneo ha un debito gigantesco con Sorority Row: è il padre putativo di Black Christmas 2019, del remake di The Slumber Party Massacre dell’anno scorso, di All Cheerleaders Die di Lucky McKee, della serie tv Scream Queens e persino di Yellowjackets. Sarebbe da fare un doppio spettacolo con questo e Jennifer’s Body, e non è casuale che arrivino più o meno nello stesso momento. Sono film responsabili di aver riportato il camp, il gusto dell’inversione di ruoli e la visceralità dell’amicizia tra donne, specialmente tra giovani donne, nel cinema horror.
Se non fosse che ho promesso di arrivare fino al 2013, per quanto mi riguarda il discorso remake si chiuderebbe qui: Sorority Row è il picco e la fine del discorso. Il resto sono strascichi di un modo di intendere l’horror che, con questo film, viene finalmente giustiziato.
Ammetto di non averlo mai visto, ma penso che gli darò un’occhiata dopo aver letto la tua recensione. Molto carina la citazione che hai fatto a Dolores Claiborne.
non lo conoscevo
invece ho aperto la recensione pensavo fosse The Row, che ho apprezzato
Tra l’altro c’è pure la figlia di Bruce Willis, ho il film in italiano e Carrie Fisher le chiama “puttanelle” ma non ricordo il titolo in italiano, l’altro remake che intendi e quello della scena con il forno a microonde?
Sì, l’altro remake è quello del microonde 😀
Bah. Lo vidi quando uscì in DVD (credo che da noi sia stato uno straight to video) e lo trovai orrendo. Questa tua rivalutazione però mi fa venire voglia di recuperarlo.
Da noi sì, arrivò dritto in video, ma ti assicuro che la prima volta lo odiai anche io, con tutte le mie forze.
Lo vidi all’uscita e mi ricordo che faceva il suo lavoro di slasher: diretto, violento, chiaro.
Mi ricordo l’emergere dell’amicizia/sorellanza e mi pare che la bellezza, il “camp”… non fossero per niente voyeristiche, nemmeno “in doccia”. Regia e fotografia un po’ mi allontanavano, non si dire bene perché (l’ho risbirciato on line ma dovrei rivederlo: forse lo stile “traballante”, poco “profondo”, i colori strani…). L’inizio è geniale.
Per me non si tratterebbe nemmeno di rivalutarlo, considerato che devo ancora valutarlo per la prima volta (non avendolo mai visto)… quindi stavolta parto avvantaggiato, senza vecchi pregiudizi da sfatare 😉