
Creato da Ashley Lyle e Bart Nickerson
La colpa è tutta di Karyn Kusama. Non fosse stato perché lei ha diretto il primo episodio di questa serie, io ora non avrei l’ennesima dipendenza e non starei soffrendo in seguito al finale di stagione. Non sapevo nulla di Yellowjacktes, tranne il dettaglio della regia di Kusama. E che fai, non te lo vedi il primo episodio, quando una delle registe che più ti hanno spinta a riconsiderare le tue idee, le tue opinioni, il tuo modo di guardare al cinema di genere, si imbarca in un progetto di alto profilo e dal budget imponente?
Poi va a finire che un’occhiata al cast la dai e vedi Melanie Lynksey, Christina Ricci, Juliette Lewis, e allora lo sai che non hai più alcuna possibilità di salvezza: sei agganciata ancora prima che partano i titoli di testa.
Ma andiamo con ordine, altrimenti non capite di cosa sto parlando, vero?
Innanzitutto, cerchiamo di spiegare cos’è Yellowjackets. È una serie di 10 episodi andata in onda su Showtime dal 17 novembre 2021 al 16 gennaio 2022. Sì, un episodio alla settimana, come quando i dinosauri dominavano il pianeta o giù di lì.
Racconta di una squadra di calcio femminile di un liceo del New Jersey che, nel 1996, arriva ai campionati nazionali e deve andare a disputare un incontro a Seattle. Partono con l’aereo privato del padre di una di loro e si vanno a schiantare in mezzo ai boschi del Canada, lontanissime dalla civiltà. Restano lì bloccate 19 mesi.
Venticinque anni dopo, le sopravvissute devono tornare a confrontarsi con quanto avvenuto in passato, perché alcuni segreti, fino a quel momento molto ben custoditi, rischiano di venire a galla.
Lo diciamo da parecchio tempo che, dopo aver saccheggiato gli anni ’80, il revival avrebbe raggiunto senza pietà alcuna i ’90. Solo che a me pare ci sia un differente approccio nel mettere in scena quella decade: meno edulcorato, più brutale, più sincero. Non c’è, almeno non nelle opere che ho visionato io, la patina nostalgica ad addolcire il tutto.
Yellowjackets parla essenzialmente di come essere un’adolescente (l’apostrofo non è un errore) sia un inferno sulla terra, di quanto la mia generazione sia del tutto priva di salute mentale, e di traumi che non vengono mai superati davvero, ma con il passare del tempo, ti perseguitano in forme sempre diverse, sempre nuove, sempre più raffinate e insidiose.
L’idea della serie arriva, com’è scontato e banalissimo che sia, da Il Signore delle Mosche e dalla diceria secondo cui non si potrebbe creare un situazione simile con un gruppo di personaggi quasi interamente composto da giovani donne. La co-creatrice Ashley Lyle ha deciso di dare vita a Yellowjackets proprio allo scopo di mettere in crisi questa concezione distorta di femminilità: il problema non è domandarsi se delle soavi fanciulle sarebbero capaci di scivolare in una spirale di follia, violenza e cannibalismo qualora si verificassero le condizioni opportune. Il problema sono le dinamiche che cambiano, il problema sono le gerarchie e il modo in cui si capovolgono i rapporti di potere, a seconda della posizione occupata dai singoli personaggi nella piramide sociale, che diventa fluida e malleabile al momento dello schianto.
Non credo di aver mai visto, nel corso della mia intera esistenza, un ritratto così onesto e spietato di cosa voglia dire essere adolescente. E mi riferisco all’essere adolescente e femmina, perché sull’adolescenza al maschile abbiamo un materiale sterminato, sia nella versione tenera e nostalgica che in quella un po’ più cruda e violenta. Sì, c’è Jennifer’s Body (e infatti, Karyn Kusama è un nome ricorrente), c’è Ginger Snaps, sostanzialmente ci sono gli horror a salvare in parte una situazione disastrosa, ma si tratta di roba di nicchia; Yellowjackets, almeno negli Stati Uniti, è da mesi al centro del chiacchiericcio sui social, è rilevante come un horror indipendente con una licantropa di diciassette anni non potrà mai essere, ed è rilevante perché permette, in un contesto di intrattenimento di massa, alle adolescenti di essere cattive e mostruose senza essere per forza comiche e senza che queste diventino le uniche caratteristiche in grado di definirle.
Così come le giovani protagoniste delle sequenze ambientate nel ’96 sono trattate con un realismo che è quasi doloroso da sopportare, se si è un minimo sensibili, così gli anni ’90 che vediamo nella serie sono veri, sono gli anni ’90 che ho vissuto io, sono proprio loro, senza alcun tipo di lente deformante. Già, per esempio, in Fear Street erano dei ’90 un po’ favolistici, ma non per demeriti dei film: Fear Street esiste in uno spazio, letterario e cinematografico, fittizio e circoscritto; Yellowjackets ti afferra per il collo e ti fa schiacciare il muso contro la realtà, anche se la vicenda, per quanto ci è dato di sapere dopo questa prima stagione, contiene almeno un paio di elementi che, se non sono soprannaturali in maniera esplicita, col soprannaturale vanno a braccetto. Ma, proprio perché sceglie un tipo di narrazione molto ambigua, Yellowjackets è costretta a presentarsi in una veste di puro realismo per quanto riguarda ambientazioni, linguaggio, musica, costumi e, in generale, l’atmosfera che è esattamente come me la ricordo, anche se per mia fortuna non sono mai precipitata con le mie amiche in mezzo ai boschi.
La parte adulta di Yellowjackets è altrettanto dirompente, ed è anche la più difficile da affrontare, in quanto soggetta al rischio continuo di spoiler: la serie ti inganna a ogni cambio scena, ti fa credere di andare in una certa direzione e poi sterza all’ultimo secondo, ti spiazza, ti inorridisce un secondo prima e ti porta alle lacrime il secondo successivo, quindi bisognerebbe potersela godere come è successo a me, senza sapere niente, vivendola un episodio ogni sette giorni (è, per sua stessa struttura, impossibile da guardare in un’unica seduta o in un paio) e lasciandosi catturare dalla trappola messa in piedi dagli sceneggiatori. È un survival horror nel ’96 e un thriller nel 2021; in entrambi i casi c’è sangue a fiumi e si sta in compagnia di questi personaggi straordinari, ma anche terrorizzanti, sui quali si è sempre privi di certezze su come agiranno o su cosa saranno in grado di combinare per proteggere le vite che a fatica si sono costruite dopo l’incidente.
Il dialogo tra le due linee temporali è costante, fitto, implacabile; il passaggio dall’una all’altra avviene sempre in maniera fluida, grazie a un montaggio calibrato al millimetro, e grazie anche a un casting perfetto e, di conseguenza, a una recitazione impeccabile: le attrici delle versioni adulte hanno studiato la gestualità e gli atteggiamenti delle loro omologhe diciassettenni e li hanno riportati fedelmente, appena mitigati dagli anni, ma sempre lì, quasi che l’essere cresciute non avesse poi questo grande significato, perché i segni, le cicatrici, i traumi dell’adolescenza stanno ancora svolgendo il proprio lavoro di logoramento.
Anche noi, che a sopravvivere nei boschi per 19 mesi non ci siamo mai state, non è che siamo uscite tutte intere da quel periodo così orribile e confuso della nostra vita. E non esiste serie disponibile, al momento, che riesca a dipingere meglio non un fantomatico passaggio all’età adulta, ma l’assenza di esso, un crescere perché si deve e perché il corpo invecchia, ma senza risolvere mai nulla sul serio.
Sono molto fiera di me perché ho scritto un intero articolo senza rivelare nulla sugli sviluppi della trama di Yellowjackets, ma spero di avervi incuriosito e indotto a cercarla e a vederla. È un lavoro monumentale, altamente complesso, ma anche divertentissimo, e qualunque appassionato di horror, o soltanto di narrazioni non convenzionali, dovrebbe avere l’occasione di innamorarsene come è successo a me.
Domanda da un milione di dollari: esiste sottotitolato in italiano? Dove lo posso vedere?
So che in italia va su Sky Atlantic, e credo, spero che sia possibile vederlo anche sottotitolato.
Si si, su Now confermo che è sottotitolato.
Essendo stato assimilato al Signore delle mosche (che abbandonai per noia, mooolti anni fa), non l’ho guardato. Non per darti troppe responsabilità, ma che faccio, ci provo? 🙂
Sto rompendo le palle a morte a tutte le persone che conosco perché lo vedano. Tra un po’ mi metto a fermare la gente per strada, quindi sì 😀
Oh bhe. L’Autore è un Tizio di fiducia che conoscevo comunque :D. Però, io che non guardo mai serie per colpa tua (anche) mi son fatto Hill House,Bly Manor e Midnight Mass. Direi che lo guarderò, anzichenò.
P.s.- Senza sindacarei gusti di @alberto: cos’ha che non va il signore delle mosche? Almeno parlando del romanzo, credo.. L’ho letto due volte in vita mia con visioni diversissime (adolescente e più che adulto). Entrambe le volte l’ho adorato. Lo chiedo per curiosità, non riesco a vederci nulla di annoiante.
Lo metto in lista subito.
Lo scrivo qui per condividere e perché è una serie. Ho recuperato AHS 1984 (ho scelto quella, non riesco a vederne altre ora) e mi è piaciuta molto molto molto. Ho pensato che sì, superare la nostalgia, cambiare, crescere, riconoscere quanto di bello ci sia da dove veniamo (ma anche di brutto) e accettare di lasciarlo andare senza buttarlo via o idolatrarlo, forse forse… E poi, lacrimoni nel finale.
Besos.
Non ho nient’altro da aggiungere a quello che hai già espresso tu nella tua ennesima, bellissima recensione.. concordo in pieno su tutto,serie geniale e straordinaria,scritta benissimo e recitata in maniera sublime..la coesione tra passato e presente è gestita in modo esemplare,come l’alternanza tra momenti leggeri e sonore mazzate…mi viene da usare un termine forse abusato.. ipnotica.
Sì, con la tua appassionata recensione (evitare qualsiasi tipo di spoiler dev’essere stato davvero difficile) mi hai decisamente incuriosito 😉 E fa senz’altro piacere che con gli anni ’90, qui, non si sia caduti nella stessa trappola della ricostruzione artefatta e nostalgica messa in atto con gli ’80…
Bellissima serie, anch’io me ne sono innamorato subito e ne sto parlando a tutti 🙂
Devo confessare che avrei preferito il formato mini serie ( come “The Night of” con Turturro, diversissima da Yellowjacket ma altrettanto coinvolgente).
Speriamo non rovinino tutto…il finale della prima stagione mi ha fatto un po’ storcere la bocca… dita incrociate dunque!
Molto bella. Tocca tante cose forti, senza fare prigionieri (i miei 2 personaggi preferiti, ma son tutti interessanti, del 1996, poi… beh… ecco…). Mentre la guardavo, ad esempio, pensavo a quale impatto abbia l’adolescenza nella vita di una persona (nel mio caso, fortissimo, nel bene e nel male: ci rifletto spesso, anche attraverso il cinema), soprattutto se molto sensibile e con un mondo interiore tumultuoso, fragile e complesso (se ci aggiungi dei traumi, poi…). Che casino. Non che poi crescere sia necessariamente una figata… 😉
Altro giro altro regalo! Serie pazzesca che non conoscevo, grazie di cuore per averla recensita. Questo tuo blog mi è diventato imprescindibile 😉
Ma grazie a te! MI fa tanto piacere che il blog ti sia utile ❤