
Regia – Alexandre Aja (2006)
Con questo film ho un rapporto stranissimo: l’ho visto in sala, nell’agosto del 2006, e ricordo che mi ha messa profondamente a disagio, anche se lì per lì il senso di disagio era l’unica cosa che mi aveva lasciato. Poi l’ho rivisto in versione unrated e l’ho detestato con ogni fibra del mio essere. Eppure, ogni volta che ne ho avuto occasione, sono tornata a rivisitarlo, non so neanche io perché, e ogni volta mi piaceva un po’ di più. A oggi, resta un film che non mi coinvolge, e il motivo è che non me ne frega niente del suo vero protagonista Doug (Aaron Stanford), e di conseguenza, per tutta la parte in cui lui è da solo, mi annoio, risvegliata soltanto dal mattatoio messo in scena (magnificamente, a dire il vero) da Aja. Però il coinvolgimento non è l’unica cosa che conta e, andando al di là di esso, sono arrivata a credere che Le Colline Hanno gli Occhi versione 2006 sia un film superiore al predecessore di Craven da tanti punti di vista. È, oltretutto, un film che riflette in maniera esemplare il clima in cui è stato realizzato, e acquisisce ancora più valore in relazione al punto di vista di Aja, che è esterno alla cultura americana, quindi è come se guardasse da fuori un branco di pazzi intenti a elaborare malissimo un enorme trauma collettivo facendosi a brandelli l’un l’altro.
Mary Beth McAndrews ha definito Le Colline Hanno gli Occhi “Il film post 11 settembre per antonomasia”, ed è una verità oggettiva e indiscutibile. Ma è scritto, girato, montato, fotografato da francesi. C’è il mio Baxter al montaggio, c’è Maxime Alexandre come direttore della fotografia, c’è Gregory Levasseur alla sceneggiatura e, ovviamente, Aja alla regia. Senza dimenticare che pure il reparto scenografia è occupato da professionalità e maestranze francesi. A questo va aggiunto che i personaggi nominati sono tutti in larga misura responsabili dell’estetica dell’horror francese dei primi anni 2000. Non è una cosa che si può trascurare quando si parla di questo remake: la parentela con la New French Extremity è strettissima, e anzi, Aja è stato scelto dalla produttrice Marianne Maddalena e da Wes Craven proprio per questo.
Le Colline Hanno gli Occhi è un film che tratta tematiche tipicamente americane, ma con il distacco dato da una troupe in larga parte europea. Nessuno di loro ha motivi per sentirsi personalmente coinvolto nella vicenda; di conseguenza il remake fotografa molto bene uno stato d’animo, una serie di pulsioni, di fobie che si tramutano in aggressività, la confusione emotiva e politica e il disorientamento vissuti soprattutto da una generazione di maschi bianchi che vedeva crollare le proprie certezze e la propria posizione nel mondo, gente come Doug, insomma.
Le Colline Hanno gli Occhi non può che essere il film di Doug, prima messo in scena come un marito “castrato” dalla moglie Lynn (Vinessa Shaw) e dalla famiglia di lei, in cui il ruolo di maschio dominante è già occupato da Big Bob (Ted Levine), e poi tramutato, attraverso l’immersione nel sangue nelle viscere, in un “vero uomo”, quello che prende in mano la situazione e la risolve ad accettate in testa ai cattivi mutanti. È lui l’unico personaggio a subire un’evoluzione, a cambiare nel corso del film: gli altri rimangono tutti uguali a loro stessi, e non avrebbero comunque lo spazio per diventare altro: Lynn, Big Bob e la mamma Ethel (Kathleen Quinlan) muoiono al primo assalto alla roulotte bloccata nel deserto; Bobby è il ritratto in piccolo del padre, mentre Brenda (Emile de Ravin) non ha né agenda né voce in capitolo: il suo unico scopo è quello di subire violenza dal mutante Lizard e rimanere traumatizzata dopo aver assistito alla morte di sorella e madre per tutta la durata del film, salvo svegliarsi all’ultimo secondo per piantare un piccone in fronte a un ormai agonizzante (e inoffensivo) Jupiter.
È lo stesso schema narrativo del film del ’77, è vero, con un’identica successione delle morti, nonché un’evoluzione molto simile per Doug, solo che il fulcro del discorso di Craven era la famiglia americana nella sua versione canonica, contrapposta a un’altra famiglia che di quel canone rappresentava la perfetta e speculare perversione.
La conclusione, molto poco confortante, anche se affrontata con una certa ironia, cui arrivava Craven era che, sotto sotto, le due famiglie si somigliavano, al di là delle discutibili abitudini alimentari di una delle due. La stessa metamorfosi di Doug da pacifista a giustiziere della notte non era posta affatto sotto una luce positiva: da una società che si nutre di violenza, non può che germogliare violenza, semplificando al massimo.
Aja, invece, gioca tutto il confronto tra i due nuclei familiari sul piano fisico-estetico, dimostrando una sconcertante comprensione per come l’horror americano percepiva i corpi e li metteva in scena dalla fine degli anni ’90 in poi: corpi splendidi e conformi che vengono distrutti da corpi deformi e ripugnanti. In entrambi i film, i cannibali che vivono sulle colline sono sì ritratti come un prodotto della società dell’epoca, ma Aja da un lato sente il bisogno di dare loro una giustificazione che li vittimizzi (gli esperimenti nucleari e le mutazioni), dall’altro rende impossibile in partenza per lo spettatore specchiarsi in loro, perché il trucco di Nicotero dà vita a un campionario di mostruosità visto di rado al cinema. Semplificando, anche qui, al massimo, possiamo riassumere la faccenda così: “Poverini, è colpa nostra se sono ridotti così. Eh già, però guarda come sono brutti, guarda come sono diversi. Ammazziamoli tutti”.
Stabilita così l’assoluta alterità degli antagonisti, si può dare il via alla trasformazione di Doug e sottolinearla con dei toni trionfalistici, enfatizzati da musica e framing, che Craven neanche si sognava, ma che sono invece perfetti per il 2006.
Quindici anni fa, tutto questo mi irritava profondamente, mi offendeva quasi; oggi mi rendo conto che non si tratta dell’ideologia degli autori dell’opera, ma di come quegli stessi autori vedono il Paese in cui sono andati a girare il film, e i suoi abitanti. So che le riprese del film non sono state tecnicamente effettuate negli USA, ma ci siamo capiti, spero.
Il film di Craven era molto intelligente ma anche molto povero e grezzo; Aja ha a disposizione un budget elevatissimo, unito a totale mano libera per mostrare il maggior numero di efferatezze possibile: dopotutto, l’anno precedente era uscito Hostel, la saga di Saw viaggiava allegramente verso il terzo capitolo e il pubblico dell’horror era assetato di morte e torture. Il binomio sangue e soldi a palate genera un film tra i più violenti nel cinema dell’orrore mainstream di ogni epoca: la sequenza del massacro nella roulotte è, ancora oggi, impressionante, sia per la quantità delle nefandezze cui siamo costretti ad assistere nello spazio di pochi minuti, sia per la pulizia visiva della regia di Aja, che ci impedisce letteralmente di distogliere lo sguardo. Quando poi Doug e il cane Beast vanno a fare strage di mutanti nel loro covo in mezzo al deserto, la sensazione è quella che la corsa all’eccesso giri un po’ a vuoto e scada nell’effetto baraccone. In compenso le scenografie che ricostruiscono con i manichini una perfetta cittadina dei sobborghi americani degli anni ’50 hanno un impatto fenomenale, mentre l’uso che fa Aja del linguaggio del western rende ancora più forte l’incarnazione di Doug nell’eroe-pioniere americano.
Da un punto di vista tecnico ed estetico, Le Colline Hanno gli Occhi è un film sopraffino, ed è in questo che stacca di parecchi punti il suo modello di riferimento. Se invece ci mettiamo a discutere dei contenuti, Craven era, al solito, molto più centrato e sovversivo, mentre Aja e la sua combriccola si limitano a prendere atto dello stato di follia collettiva di una nazione, senza tuttavia parteciparvi o metterla seriamente in discussione.
Mamma mia la scena della roulotte,quella scena era traumatizzante! Quello che dovevano subire per mano di quegli aggressori tanto deformi e luridi che potevi quasi sentire il loro fetore era davvero pesantissimo,al tempo stesso rimasi a bocca aperta per la fattura eccelsa degli effetti speciali,tra i migliori che ricordo di aver visto!
Il diavolo è nei dettagli.
Premetto che avevo visto l’originale di Craven molti anni fa e lo ricordavo noioso e scialbo; l’ho rivisto qualche anno dopo, ringraziando il cielo in lingua originale, e mi è sembrato un filmone, cattivissimo e punk nel senso più nobile del termine.
Tu giustamente dici che Craven è più sofisticato politicamente pur nella carenza di mezzi, e questo a ragione – a ben pensarci – di un unico espediente narrativo: al pater familias viene fortemente sconsigliato di percorrere con la famiglia la strada presidiata dai cannibali, ma lui (autoritario e ottuso) decide di percorrerla lo stesso. Nel film di Aja invece sono i cannibali a mettere le “trappole” e costringere la famiglia ad entrare nel loro territorio.
Due film apparentemente identici sono resi completamente diversi da questo piccolo particolare: in Craven entrambi i nuclei familiari sono patriarcali, gerarchici e gestiti con la violenza, quindi viene a farsi molto sottile la differenza tra civilizzati e selvaggi; il film di Aja è invece manicheo al 100%, con i mostri cattivi che vogliono distruggere i civili perchè “odiano il nostro stile di vita” (cit Giorgiuzzo Bush), e in questo senso è veramente un’opera figlia dell’11 settembre o, meglio, dell’interpretazione che dell’11 settembre danno i destrorsi.
Questa cosa a me ha sempre dato fastidio e mi ha precluso l’apprezzamento del film di Aja, che dal punto di vista cinematografico è sicuramente notevole.
Erano più o meno gli stessi motivi per cui non sono mai riuscita ad apprezzarlo anche io. Poi ho cominciato a pensare che fosse davvero un fatto di prospettiva, che fosse un film su come dall’Europa vedono gli Stati Uniti, tra l’altro fotografati in un momento molto particolare della loro storia. Se lo si prende così, allora diventa tutto più chiaro, fermo restando che Aja non fa una satira, non si schiera, si limita a riportare uno stato di cose e a non elaborarlo mai.
Un film che non manca mai di farmi piangere per quell’inaspettato sacrificio…
Spetta. Spetta. dici che questo remake non ti da nessun coinvolgimento. Ma scrivi che :1- Ti ha messa a disagio 2-L’hai detestato 3-L’hai rivisitato piacendoti ogni volta un po’ di più.
Alla faccia di nessun coinvolgimento, eh :D.
Lo scrivo perchè hai un’autoironia e un’autocritica pure, forse persino eccessive (quando parli della te stessa “eccessiva” che stroncava certe pellicole, perchè, citando Bob Dylan in My Back Pages “Ero molto più vecchia allora, sono molto più giovane adesso” mi hai costretto ad andarmi a riguardare quelle recensioni di cui fai ammenda e le ho trovate sia godibili che centrate, spesso, per quel che vale…Ah. Quel pezzo di Bob Dylan l’hanno rifatto i Ramones..Per quel che vale, again).
A me ai tempi non diede nè fastidio nè esaltazione, questo remake, al netto dell’ impeccabilità “tecnica” che giustamente sottolinei.
Sì, sono degli Europei che guardano degli Americani e forse un po’ li prendono per il culo per il loro modo di fare cinema. No. Senza critica sociale. Sì, tipo Hostel e Saw li giravo meglio io (sottotesto di Aja).
Alla fine un po’ di Luna Park. Un po’ freddo ma fatto bene. Tutto lì ( magari me lo riguardo).
Ma sai, per me essere coinvolta da un film significa soprattutto che me frega qualcosa dei personaggi, e di Doug, davvero, non me ne frega niente, tipo che se lo ammazzavano al minuto due, neppure mi sarei accorta della sua esistenza. Però, allo stesso tempo, è l’ideale protagonista dell’horror che segue i fatti dell’11 settembre e di tutto quello che ne è poi derivato.
Un personaggio davvero interessante da vedere cambiare poteva essere la giovane Brenda, ma lei è catatonica per tutta la durata del film. Altro personaggio con del potenziale è Bobby, però preferiscono farlo restare identico al padre anche nel disastro.
Questo non vuol dire che non mi sia piaciuto, perché lo considero un ottimo remake. Mi lascia fredda e distante nei confronti della sorte dei protagonisti.
Un atteggiamento condivisibile e comprensibile, direi, dal momento in cui si considera come sia lo stesso regista ad adottare in toto un punto di vista esterno -da europeo, appunto- che non consente di empatizzare più di quel tanto con i protagonisti e la loro sorte: se non ci credeva lo stesso Aja in primis (tanto da non apportare il minimo cambiamento nei potenzialmente interessanti Brenda e Bobby), allora perché avremmo dovuto farlo noi? Né, del resto, sarebbe stato possibile vederci una qualsivoglia forma di satira che evidentemente non era interessato a fare, limitandosi tutt’al più a un ritratto impietoso -ma comunque distaccato- degli USA post-undici settembre tramite quegli stessi protagonisti del suo film… film tecnicamente di ottima fattura, comunque.