
Regia – John Stockwell (2006)
Non me ne ero dimenticata e non avevo abbandonato questa rubrica: avevo avuto solo meno tempo per rovistare e trovare il tipo di horror che sono sempre stati la sua ragion d’essere, ovvero roba uscita tra la fine degli anni ’90 e il 2011. Se ci fate caso, tutti i film trattati provengono da quel periodo storico. Prime sta tuttavia mettendo gran parte del suo catalogo a pagamento e diventa sempre più difficile trovare cose pregevoli, che ci sono, sia chiaro, ma se devo perdere due ore ogni volta a ravanare neanche fossimo in una distopia in cui esiste ancora Blockbuster, faccio prima a cambiare direzione. Insomma, vedremo dove andrà la rubrica dedicata a Prime, ma per il momento andiamoci a rivedere questo rip off di Hostel (ma fatto meglio), uscito nell’anno del Signore 2006.
Ci sono Melissa George e Olivia Wilde; la prima si trovava lungo la strada per diventare la scream queen degli anni ’00 per antonomasia, la seconda, appena ventunenne, si affacciava allora al grande schermo, ma era già una veterana del piccolo. Appaiono anche altre facce note del periodo in un film che ti strilla in faccia “Primi anni del secolo” da ogni inquadratura. Rivedendolo, ho capito che i jeans a vita bassa mi danno una sensazione simile allo stress post traumatico. E lo dico senza un briciolo di ironia.
All’interno del filone “giovani americani (o comunque occidentali) se ne vanno in qualche luogo esotico a fare una brutta fine”, il mio preferito è e resterà per sempre Rovine, ma su Prime Rovine c’è solo a pagamento e quindi, sì, Turistas è un po’ un ripiego, ma non significa che sia un brutto ripiego.
Il regista, Stockwell, è il protagonista di Christine. Non Arnie, l’altro, l’amico bello. È apparso come attore in una quantità impressionante di pellicole degli anni ’80 e, dietro la macchina da presa, ha consegnato alla storia del cinema tesori del calibro di Blue Crush e Trappola in Fondo al Mare, che ho poco da fare della facile ironia: sono film che ho visto uno zillione di volte. Ora, Stockwell si trova per le mani una sceneggiatura (tra l’altro, scritta dal montatore di Wrong Turn: pensa tu che giro) con uno sviluppo molto classico: alcuni ragazzi bianchi di varie nazionalità si incontrano per caso in Brasile; l’autobus su cui viaggiano ha un incidente, perché ne arrivi un altro bisogna aspettare delle ore, ma loro sono fortunati perché trovano una magnifica spiaggetta con un bar e decidono di fermarsi lì. Passano una serata a bere, ballare, far casino, e si risvegliano la mattina dopo senza più niente: bagagli, documenti, carte di credito, soldi, tutto sparito. Un ragazzo del luogo, Kiko, propone al gruppo di seguirlo in un posto sicuro. Ovviamente, il posto non è sicuro, ovviamente è un trappolone ai danni di questi ingenui che finiscono nelle grinfie di un trafficante d’organi.
Dicevamo che questo, negli anni ’00, era uno sviluppo tipico con metodo: la brava gioventù statunitense se ne doveva stare a casa e non andare a cercare divertimenti a buon mercato, droghe e sesso facile in luoghi così poco civilizzati, altrimenti avrebbe pagato con la propria vita. Che fosse l’Europa dell’Est (ma persino Parigi è luogo da evitare), il Messico (gettonatissimo) o il Brasile, la conclusione era la stessa: torture e morte atroce. Sono film con un gradevolissimo retrogusto razzista, ma credo siano soprattutto cautionary tales che si riferiscono a terrori collettivi tipici del periodo storico in cui sono stati girati. Hanno in comune tanti elementi, tra cui una palette cromatica simile: grigio smorto tendente al fangoso per i film ambientati nei paesi dell’ex Blocco Sovietico, e arancione per l’America centrale e meridionale che, nell’immaginario hollywoodiano deve essere una specie di pastone in tramonto perenne, o qualcosa del genere.
Pure l’estetica dei corpi è più o meno la stessa tra i vari Rovine, Hostel, Borderland, And Soon the Darkness (remake) e Turistas, ma qui ci possiamo allargare a tutto l’horror del periodo, e al torture porn, di cui questi orrori vacanzieri sono una delle varie diramazioni.
Ciò premesso, Turistas è un po’ diverso e possiede alcune peculiarità che lo aiutano, non dico a elevarsi, ma almeno a distinguersi: Stockwell infatti lo gira come se fosse un documentario, tutto macchina a mano e luce naturale, utilizzando anche colori prevalentemente freddi, persino nelle sequenze festaiole della prima parte. Ho letto che molti si sono lamentati dell’illuminazione e dello stile grezzo del film, e io li capisco, davvero, perché entrambe le cose sono così in controtendenza con l’horror patinato dell’epoca che sembrano scelte incomprensibili. Eppure funzionano, o almeno, funzionano con me.
A livello narrativo, questa estetica sporca ti dice subito qualcosa di meno banale sull’ambientazione; evitando in partenza di fare la cartolina color corretta col filtro arancione, identifica il luogo in cui il film si svolge come incantevole sì, ma anche estraneo e ostile, e non perché ci sono i locali che ti guardano storto: è una prerogativa intrinseca del posto, che ripete ai nostri ingenui protagonisti: “qui non siete a casa, non siete i benvenuti, siete un male necessario e, in un modo o nell’altro, vi espelleremo”.
C’è, nel film, questa idea forte del ragazzotto privilegiato che se ne va in vacanza e pretende non soltanto di essere accolto con tutti gli onori, ma di essere amato e ringraziato. Che dietro ci sia anche (ma non solo) un fastidioso e strisciante senso di superiorità da parte di chi il film lo ha realizzato non fa altro che amplificare la percezione distorta e straniante che Stockwell ci offre del paesaggio, e dei corpi che in esso si muovono.
E vengono smembrati. Perché non bisogna dimenticare che di torture porn stiamo parlando. Fino a un certo punto.
Turistas viene fatto rientrare nella categoria a causa di una sequenza in particolare che, in effetti, manda a casa a piangere tutti i vari Hostel e Saw messi insieme. Se il film lo avete visto, sapete di cosa sto parlando; se non lo avete visto, potete scoprirlo da soli. Ma, a parte quello, non c’è molto altro, non che non si trovi in decine di film dell’orrore. Non è particolarmente efferato e, in generale, bada molto più a costruire un senso di vaga minaccia prima, e di tensione e claustrofobia poi, che a mostrare le torture inflitte ai personaggi. Non vorrei sminuire il lavoro di nessuno, ma io mi sono fatta l’idea di un film dove il regista rema contro la sceneggiatura, e viceversa. Stockwell gira con ambiziosi seriose, ma lo script è troppo stereotipato e idiota per tenergli testa, e quindi viene fuori un film bizzarro, con delle scelte singolari e uno svolgimento abbastanza piatto.
Sono, per esempio, convinta che tutta la scena dell’inseguimento subacqueo, che è la cosa migliore del film, sia così lunga e così insistita per motivi di minutaggio, perché non c’era abbastanza materiale scritto per coprire 90 minuti, e Stockwell l’ha dilatata tanto da darle il ritmo di un incubo acquatico a rallentatore. Il risultato, non so quanto volontario, è semplicemente magnifico e difficile da sostenere per chiunque abbia dei problemi con gli spazi stretti o, come me, annoveri tra le sue principali fobie quella di dover attraversare a nuoto e in apnea un passaggio verso la salvezza e restare bloccata a metà, ad annegare. Sono circa 10 minuti di film così, e in più c’è il calibro da venti rappresentato da un tizio armato di balestra che dà la caccia ai nostri nel complicato sistema di grotte sotto la superficie del fiume in cui, nel finale, i sopravvissuti si vanno a nascondere.
Sono circa di 10 minuti di buio quasi totale, mancanza d’aria, pertugi sempre più stretti e minuscole aperture (a volte semplici bolle) in cui tirare una boccata d’ossigeno prima di tornare sotto.
Angoscia pura.
Ecco, senza stare a fare troppo gli schizzinosi, Turistas è un prodotto del proprio tempo con qualche motivo di interesse in più. Dato che ormai l’horror dei primi anni 2000 è diventato il mio principale oggetto di studio, aspettatevi, insieme a quelli sui remake, altri articoli di questo tenore, sempre che Prime decida di venirmi in soccorso.
Legato a doppio filo con questi film sempre le questioni degli ipotetici danni d’immagine a suddetti luoghi adibiti a mete di turismo,Turistas,Hostel ecc ecc tutti film che hanno seguito in seguito proteste da parte delle figure anche politiche di questi luoghi esteri,per l’ipotetico danno d’immagine data da questi film! Da parte mia spesso questi film presentano i classici giovani yankee,spesso ignoranti e poco rispettosi dei luoghi che visitano,per qui sono sempre un pò confusi i messaggi(sempre che ce ne siano)dati da questi bizzarri prodotti cinematografici,del tipo “vieni a fare lo scemo a casa nostra e noi allora te le suoniamo!”,alla fin fine comunque io semplicemente direi che le persone tendono a prendere troppo seriamente quelli che alla fine sono semplici film di intrattenimento,l’unica eccezzione e l’Australia dove invece sono molto orgogliosi giustamente di filmoni come Wolf Creek!
In questo caso ci fu proprio un incidente diplomatico col governo brasiliano!
Leggendo “Rivedendolo, ho capito che i jeans a vita bassa mi danno una sensazione simile allo stress post traumatico. E lo dico senza un briciolo di ironia” sono scoppiato a ridere senza ritegno. Non posso neanche escludere che si tratti di riso nervoso…
Il film ho iniziato a vederlo un paio di volte, a tarda notte, quando lo hanno trasmesso credo sulle reti RAI, ma mi sono addormentato in entrambe le occasioni, però se capita provo a bermi un caffè o al limite imbottirmi di coca cola.
Perfetta la tua analisi sull’atmosfera che vigeva negli horror americani di inizio 2000ies, e anche il fatto che la morale era sostanzialmente “se lasciate il suolo USA sono ca§§i vostri”, che a volte si poteva anche estendere a “se lasciate le città per la campagna sono ca§§i vostri”.
Sono ricordi spaventosi. Come diavolo facevamo ad andare in giro così, io non lo so 😀
A volte, la morale era proprio: appena uscite dalla porta di casa vi facciamo a pezzi, quindi state fermi dove siete.
Un’atmosfera allucinante.
Ohibò.. Ero nella squadra di supporto alla ricerca dello speleosub a Cala Luna (sono speleo ma non sub). Sono curioso di vedere la sequenza che hai descritto.
Io mi sono sentita malissimo, ma perché è davvero una mia personale fobia. Poi è girata nel modo più realistico possibile, e insomma, fa paura.
Diciamo pure che, per come è ben girata, crea parecchio disagio pure a chi non soffre di claustrofobia o simili… Per il resto il film di Stockwell si lascia vedere nonostante i suoi stereotipati limiti, riuscendo comunque a piazzare colpi bassi assai difficili da dimenticare (come appunto QUELLA sequenza). Fermo restando che anch’io colloco Rovine qualche gradino sopra a questo, decisamente…
Beh sì, Rovine è un’altra categoria proprio. Uno degli horror più belli degli anni ’00.
ne ho sempre sentito parlare ma ancora non lo ho visto^^
ma ha una bella fama, anche se non è molto gradito in Brasile da quello che so 😜
interessante rece come sempre! Di Rovine mi permetto di suggerire oltre al film che ho amato, anche lo strepitoso libro da cui è tratto
Il romanzo è un piccolo capolavoro. È ancora in catalogo in italiano?
Ciao! Visto che come tutti rovisti in Prime Video, ti consiglio un film indiano che si chiama CHHORII.
Non è un capolavoro, ovviamente, ma penso proprio che dovresti vederlo, e potresti aver voglia di parlarne e consigliarlo, perchè merita veramente per i suoi contenuti.
Saluti!