
Regia – Ken Hughes (1981)
Non sempre si può o, in questo caso, si vuole parlare di compleanni eccellenti o particolarmente famosi. Spesso, anzi, è bello anche andarsi a cercare un film quasi dimenticato, poco conosciuto, per il puro gusto di provare a diffonderlo e vedere se si riesce a farlo emergere dall’oblio cui è stato ingiustamente condannato.
Night School è l’ultimo lungometraggio diretto dal regista di Casino Royale (ma anche di tante altra roba di un certo peso per il cinema inglese), è strutturato come uno slasher, perché era il 1981, ovvero l’anno in cui il filone si sistema comodo nella sua forma definitiva, e ne possiede anche parecchie caratteristiche, come vedremo. Però, essendo Hughes un regista britannico di sessant’anni, non può essere del tutto assimilato allo slasher americano in voga a quei tempi e deve moltissimo al giallo italiano, per atmosfera, ambientazione e identità dell’assassino.
Un detective della polizia di Boston indaga su una serie di omicidi: le vittime vengono tutte decapitate, corpo e teste lasciati in due luoghi differenti, le teste abbandonate sempre in un punto dove c’è dell’acqua. Gli indizi conducono il detective in un collegio per ragazze che fa anche corsi serali per le studentesse lavoratrici. Si scopre che molte delle donne uccise studiavano lì ed erano in classe con un professore di antropologia la cui condotta con le proprie allieve è, per usare un eufemismo, molto discutibile. Come spesso accade in questi film, la polizia non sa dove sbattere la testa, prende cantonate, va nella direzione sbagliata e intanto i cadaveri si accumulano fino alla traumatica rivelazione finale.
Night School condivide con lo slasher di inizio anni ’80 il fatto che il killer abbia una “divisa” (tenuta da motociclista con casco nero) e che siano soprattutto giovani donne a cadere sotto i colpi del suo khukuri; c’è inoltre un personaggio, Eleanor (Rachel Ward) che possiede, fin dalla sua prima apparizione, le stigmate della final girl. Se i primi due elementi sono pure formalità, quest’ultimo è invece più interessante, perché implica che il concetto stesso di final girl era consolidato già nel 1981 e non solo: alcuni film avevano cominciato a metterlo in discussione, a destrutturarlo, se mi passate il termine.
Eleanor è infatti configurata come una final girl, perché regista e sceneggiatrice (sì, Night School lo ha scritto una donna, Ruth Avergon. Sua prima e unica sceneggiatura) sono consapevoli in partenza di quello che il pubblico si aspetta da un personaggio come lei nell’esatto istante in cui la si vede per la prima volta sullo schermo.
Dal giallo, invece, Night School mutua un’ambientazione diversa dal tipico liceo o campeggio dove di solito si svolgono queste storie, e opta per una scuola serale che tuttavia si vede molto poco: tutto il resto è inserito in una Boston che fa quasi da protagonista aggiunta, ripresa con il classico carattere da degrado urbano tipico di tanto cinema statunitense di genere dei primi anni ’80: in alcune sequenze per strada, sembra di vedere Maniac, anche se la città non è la stessa. I gialli italiani non erano quasi mai rurali o suburbani: la grande città era il terreno di caccia prediletto del killer, che si aggirava per vicoli bui alla ricerca della propria vittima successiva oppure si intrufolava nella case dell’alta borghesia. Ecco, Night School, nonostante il titolo, è tutto così, e se non è girato affatto con l’eleganza dei gialli, ma predilige uno stile sporco e frenetico, si fa fatica a catalogarlo come slasher puro.
Anche perché il punto di vista è quello di un poliziotto, e Hughes dedica grande attenzione alla parte investigativa. In teoria, il protagonista del film è proprio il detective Austin, convinto sin dall’inizio che l’assassino sia quel gran porco del professore e ben deciso a stargli addosso come un mastino. C’è anche una componente da buddy movie, perché abbiamo il collega di Austin facente funzione di spalla comica tra un omicidio e l’altro. Insomma, la struttura ibrida del film è chiara e abbastanza tipica della sua epoca d’appartenenza, il momento di passaggio da una predominanza del giallo fino al suo definitivo assorbimento e successiva scomparsa inglobato dallo slasher.
E tuttavia, Night School è un film molto strano, più intelligente e smaliziato della media: gioca con le aspettative del pubblico, dirotta di continuo la sua attenzione nei punti sbagliati e non gli permette di vedere quello che sta accadendo sotto il suo naso. Ora, se permettete, mi prendo un paio di paragrafi di SPOILER COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI. Continuate a vostro rischio e pericolo.
Ora, dimenticate tutto quello che ho scritto prima. Anzi, gettatelo proprio nel cestino e ricominciamo da capo: Austin non è il protagonista, è un pagliaccio che sta lì solo per prendere una cantonata dietro l’altra e non capire niente. Diciamo che il povero detective rappresenta noi spettatori, convinti di saperla lunga e destinati a sbattere il grugno contro la nostra incompetenza.
Night School è uno dei rarissimi casi di slasher in cui il killer la fa franca, e non nel senso che crepa ma poi tanto ce lo ritroviamo nell’inevitabile sequel: Night School non ha mai avuto un sequel, anche se ne avrebbe bisogno; l’assassino non viene catturato perché è la final girl.
I motivi per cui Eleanor si dà all’omicidio rituale (antico coltello nepalese, liturgia rubata agli Asmat, in un bel frullato che, ai tempi, deve essere sembrato parecchio esotico) sono risibili, grotteschi e anche conditi con una discreta dose di misoginia, probabilmente interiorizzata.
Ma a me interessano soprattutto due cose: la forzatura alla formula e l’identità tra killer e final girl che in questo film è assoluta come mai più lo sarà.
Dicevamo prima che Eleanor viene presentata con le caratteristiche da final girl: è il personaggio ritratto con maggiore approfondimento (molto più del detective, che è carta velina), quello con un minutaggio più esteso, soprattutto considerando che non ha alcun ruolo particolare nella vicenda nuda e cruda degli omicidi; si limita infatti a essere l’assistente e la fidanzata ufficiale del professore. Eleanor porta il caffè, insomma, e si fa trovare pronta sotto la doccia quando il verme di cui sopra vuole fare qualche giochino erotico dei suoi. E tuttavia stiamo quasi sempre con lei, quando non siamo impegnati a seguire le tediose indagini di Austin. Vogliamo stare con lei perché è l’unica di cui ce ne freghi qualcosa.
Ed è l’assassina, un’assassina che, nella penultima scena del film (potete risparmiarvi l’epilogo) si incammina solitaria nel tramonto, senza che nessuno abbia capito nulla se non quando era troppo tardi, libera e magnifica. E quindi non è soltanto l’assassina, è anche la final girl del film, è l’ultima sopravvissuta e, in maniera di certo poco ortodossa, ha sconfitto il vero mostro del film.
NIghtschool, a quarant’anni esatti dalla sua uscita nelle sale americane, è uno di quei reperti archeologici dei primi anni ’80 che quasi implorano, tra la polvere e le ragnatele da cui sono ricoperti, che qualcuno ne faccia un bel remake, spogliandolo dai tratti più problematici e fastidiosi della sua epoca.
Contestualizzandolo, va benissimo così com’è: è un film ancora oggi sorprendente e crudele, e sono convinta che potrebbe darvi grandi soddisfazioni.
Ecco, questo titolo è la prova che conosco Ken Hughes meno bene di quanto credevo. Infatti non mi ricordo assolutamente di questo suo commiato slasher dal mondo del cinema… recupererò, possibilmente prima che ne facciano un remake 😉