
Regia – John Krasinski (2020)
Tra i due capitoli di A Quiet Place passa la stessa differenza che c’è tra Alien e Aliens; dipende da voi scegliere che tipo di approccio al tema dell’invasione aliena preferite, perché non credo che uno sia superiore all’altro: bene o male si equivalgono e si compensano. Parliamo di horror a budget medio-alto, con uno spunto di partenza abbastanza forte da poter sostenere innumerevoli film, se la Platinum Dunes e la Paramount volessero (e non ho molti dubbi a tale proposito), a maggior ragione dopo che, in questo secondo capitolo, Krasinski comincia a farci intravedere un world building del tutto assente nel primo ed è abbastanza intelligente da lasciare parecchi elementi in sospeso.
L’unica cosa chiara, nell’universo di A Quiet Place, è che bisogna evitare di fare rumore, e intorno a questo concetto semplice ma efficace, Krasinski costruisce poco più di 90 minuti in cui, a differenza del primo film, la tensione pura passa in secondo piano rispetto all’azione.
Sono scelte. Ma voi che mi conoscete bene lo sapete tutti qual è il mio preferito tra Alien e Aliens.
Il film comincia esattamente dove finiva il primo, negli istanti successivi alla morte di papà Abbott, e con il resto della famiglia alla ricerca di un posto sicuro in cui rifugiarsi. Ne trovano uno, provvisorio, grazie a un vecchio amico di Lee, Emmett, interpretato da Cillian Murphy; lui vive in una fonderia abbandonata, dove è riuscito a ricavarsi una specie di bunker insonorizzato per tenere lontane le creature.
A quel punto, la storia si dirama in tre tronconi separati, con ogni personaggio che ha la sua missione da compiere: Regan (Millicent Simmonds) ed Emmett devono andare a cercare un’imbarcazione perché, forse, su un’isola ci sono dei sopravvissuti che trasmettono per radio; Evelyn deve andare a cercare medicinali e bendaggi per suo figlio Marcus, che ha avuto la sfortuna di finire con il piede dentro a una tagliola; Marcus, infine, dovrebbe badare al fratellino appena nato mentre la mamma è via.
Come vedete, la struttura narrativa di A Quiet Place II è un po’ disunita rispetto a quella del primo capitolo, e anche vagamente sfilacciata, ma ciò che si perde in compattezza lo si guadagna su due fronti: il primo è la varietà, di ambienti, di situazioni, di terribili guai in cui i personaggi possono finire e degli stratagemmi con cui se ne tirano fuori; il secondo è il montaggio, a cura di Michael P. Shawver, che mi ha dato la più grande soddisfazione della settimana con il lavoro compiuto su questo film. Si trova infatti a gestire un’alternanza in simultanea, in alcune sequenze in particolare, che magari in mani diverse dalle sue sarebbe risultata stucchevole o, peggio ancora, televisiva. Al contrario, Shawver riesce a compiere delle saldature perfette tra le scene. Non sto dicendo che A Quiet Place II si è inventato il montaggio alternato, prima che arrivi qualcuno a rinfacciarmelo: sto dicendo che lo gestisce molto bene, specie quando deve intrecciare tra loro tre momenti di azione che avvengono contemporaneamente, ma a distanza, e non farti smarrire un solo dettagli di ognuno di essi.
Al solito, anche il lavoro sui suoni è particolarmente riuscito; se, com’è logico, ci si concentra su tutte le scene che vedono protagonista la bravissima Simmonds, per come il film riesce a farci percepire la realtà attraverso i suoi sensi, si tratta di un espediente tecnico-narrativo che chiunque può cogliere e celebrare con i dovuti applausi, perché è fatto con classe, ma io vorrei che voi faceste caso, sia se avete visto il film sia se, a maggior ragione, dovete ancora andare a vederlo, alla scena iniziale del film, quella che si svolge il giorno stesso dell’invasione, qualche minuto prima e qualche minuto dopo; vorrei che faceste caso, quando ancora la situazione è normale, a come vengono gestiti i rumori di un giorno come tanti in una cittadina americana con partitella di baseball allegata, a come tutto sembra assordante, a come anche un pacco di arance preso da un banco del supermercato faccia un frastuono indescrivibile.
Ecco, secondo me sono questi i dettagli veramente importanti nel film, quelli di cui ti accorgi a stento perché li dai per scontati. Poi sì, è ovvio: quando la giovane Regan deve affrontare da sola le creature senza poterle sentire arrivare, stiamo in bilico sulla poltrona del cinema, ma lì è eclatante, sono fuochi d’artificio: la costruzione del tappeto sonoro che supporta l’intera impalcatura del film, è molto più sottile e ha un equilibrio delicatissimo.
Ogni sequel condivide lo stesso problema: la perdita del fattore novità. È un problema che si pone a prescindere, nell’esatto momento in cui il film si comincia a concepire. Ma l’horror, qualunque cosa possano dire i puristi, è un genere seriale, lo è dagli albori e lo è per sua stessa natura, e quindi il trucco non sta nel dover per forza fare qualcosa di nuovo ogni volta, ma nell’ampliare, quando è necessario, lo scenario di partenza, nel confermare le cose buone del capostipite di una serie, e nel provare a sorprendere lo spettatore con un arrangiamento diverso della stessa canzone, se mi passate la metafora. A Quiet Place II riesce in tutti e tre gli aspetti.
All’inizio abbiamo azzardato un collegamento con Alien e Aliens: dove il primo film era un horror d’atmosfera, questo è un horror d’azione, lo diventa perché adesso i protagonisti hanno un’arma per combattere i mostri che prima non avevano, e questo aumenta il dinamismo delle sequenze, lo è perché i personaggi si spostano e trovano antagonisti e alleati differenti. Sono ragioni narrative, come vedete; non si è soltanto trattato di pompare a mille e di alzare il volume. Per questo il film funziona.
Come ogni film di invasione aliena che si rispetti, A Quiet Place II gioca con la paura di un qualcosa che arriva da lontano a minare e, in questo caso particolare, distruggere il nostro stile di vita. Si tratta, per forza di cose, di un tipo di horror “conservatore”, in quanto mira alla conservazione di uno stato pregresso l’evento apocalittico. Cosa voglia conservare A Quiet Place II (ma anche il primo era sulla stessa strada) è molto facile da intuire: il nucleo famigliare classico, e infatti, la prima cosa che fanno i Bennett è trovare una figura paterna sostitutiva a Lee.
Ma io credo che Krasinski abbia inserito un elemento interessante e relativamente inedito in questo schema, ovvero Regan, che qui diventa la vera e unica eroina del film. Non è lei, infatti, a seguire Emmett, è il contrario. Lei assume il ruolo di guida, nonché dell’unica in grado di salvare gli altri dalle creature, con il feedback prodotto dal suo apparecchio acustico. E insomma, sarà pure un horror dai tratti xenofobi prodotto da Michael Bay con tanto di famiglia bianca e patriarcale come solo modello di vita (tutto vero, non è sarcasmo, il mio), però la presenza di Millicent Simmonds sposta di parecchio l’ago della bilancia. Un po’ come nel recente Run, non è cosa di tutti i giorni avere una protagonista con disabilità interpretata da un’attrice con disabilità, che è anche il personaggio (e l’interprete) migliore del film.
Anche perché ci sono tutti i presupposti perché Regan diventi una nuova Ripley, se la saga procede su questo cammino.
Insomma, ora che siamo in coda all’articolo, ve lo posso confessare: A Quiet Place II mi è piaciuto più del primo, e ora non mi resta che aspettare di vedere cosa combineranno con il terzo.
Un ultimo consiglio: non vedetelo a casa, andate in sala.
mollo la figla dai nonni e vado sabato al cinema!
È questo lo spirito! ❤
Ciao a me il primo è piaciuto molto,l’unica stortura per me grossa grossa è stata il chiodo ma va beh. Aspettavo da mesi l’arrivo di questo è spero di poterlo vedere nelle lande desolate del tigullio.
Anche a me il primo è piaciuto molto. Questo un po’ di più
Interessante il collegamento che fai fra i due A Quiet Place e la coppia Alien/Aliens… Considerando poi che fra il film di Scott e quello di Cameron ho fatto la tua stessa scelta, c’è una buona possibilità che con A Quiet Place II la cosa possa ripetersi 😉
Diciamolo chiaramente: se non preferisci Aliens, non hai un’anima 😀
Hai fato molto bene a paragonare A Quiet Place 1 e 2 come Alien e Aliens. L’approccio è più o meno lo stesso e dipende dalla persona decidere quale apprezzare di più. Anche perché questo secondo capitolo è fatto molto bene. La regia è ottima e curata, il sonoro è sempre qualcosa di incredibile e ottimo e anche i personaggi sono fatti bene, alcuni sono cresciuti molto mentre il nuovo personaggio, Lee, mi è piaciuto. Un bel seguito e spero molto in un terzo capitolo che riesca a differenziarsi.