Ogni tanto cerco di farvela un po’ più facile rispetto al solito e di parlare anche di film che potete reperire senza invocare antiche divinità dai più profondi recessi del cosmo. Film comodamente doppiati o sottotitolati nella nostra lingua, film disponibili anche in questo angolo di mondo dove le cose migliori arrivano sempre troppo tardi o non arrivano proprio. C’è già la simpatica rubrichetta dedicata a Prime e, quando capita che ne imbrocchi una (anche se la imbrocca solo a metà) tocca pure a Netflix.
In questo caso, a vincere è stata senza dubbio la mia attrazione per l’horror scandinavo, che soprattutto sul versante survival sta andando forte. Svezia e Norvegia rischiano seriamente di rimpiazzare l’Australia come regni del terrore e dell’ostilità della natura matrigna, perché va bene essere divorati da uno squalo, morsi da un ragno, ammazzati a coltellate da Mick Taylor nell’outback, ma almeno in Australia fa caldo, e se proprio devo morire male, preferisco farlo con 30 gradi all’ombra, grazie.
La mia idea di inferno si avvicina molto a quello che fa la coppia protagonista di Red Dot per divertirsi: i due piccioncini se ne vanno in qualche parte remota della Svezia settentrionale per campeggiare in mezzo alla neve, a non si sa quanto sotto zero, e guardare l’aurora boreale.
Nadja e David sono sposati da circa un anno e mezzo, ma non se la passano poi così bene. Incomprensioni, piccoli screzi, le promesse di un radioso futuro insieme non mantenute, e insomma, tutte le piccole cose che rendono la vita matrimoniale un incubo, diciamo, dalla lavatrice che non funziona, alla scarsa propensione a collaborare in casa di David. Nadja è incinta, ma al marito ancora non lo ha detto, un po’ perché lei sta studiando per diventare medico, e un figlio potrebbe costituire un bel problema, un po’ perché, data la crisi che stanno attraversando, non è forse il momento migliore per prendersi la responsabilità di diventare genitori, un po’ per un non specificato fattaccio del recente passato, con strascini psicologici gravi nel presente.
Nell’estremo tentativo di ravvivare il rapporto, David le fa la sorpresa di un fine settimana in mezzo alla neve e alle temperature polari. Io avrei chiesto il divorzio, lei invece è entusiasta, e i due si mettono in viaggio con l’adorabile cagnolone Boris al seguito. David continua a non sapere che Nadja aspetta un bambino, anche se lei vomita a ogni curva adducendo mal d’auto come causa. A una stazione di servizio incontrano la versione svedese dei redneck americani: cacciatori con una testa di renna nel pianale del fuoristrada, un atteggiamento odioso nei confronti di Nadja e, in generale, un’attitudine minacciosa e poco amichevole. David, allontanandosi dalla pompa di benzina, tampona per errore la macchina dei bifolchi e se ne va facendo finta di niente. Il che avrà, com’è ovvio, delle conseguenze poco piacevoli, tra scritte razziste, fiancate rigate e sguardi in cagnesco. Ma il bello arriva quando Nadja, David e Boris si accingono a passare la loro nottata in tenda: appare infatti il puntino rosso del titolo e la caccia all’uomo comincia.
MI RACCOMANDO FERMATEVI QUI CHE ARRIVANO GLI SPOILER
In tutta sincerità, nutro dei sentimenti ambivalenti nei confronti di Red Dot: da una lato, credo che il regista Alain Darborg sia molto efficace nel mettere in scena situazioni di tensione estrema in un ambiente che, già si suo, non è poi così amichevole nei confronti dell’essere umano. In questo caso, ci troviamo in cima alle montagne, al buio e al freddo, e c’è un pazzo che ci sta puntando addosso un mirino. Potrebbe essere uno scherzo di qualche ragazzino idiota, ma l’ipotesi è tenuta in piedi per pochi secondi: nessuno si spingerebbe fin quelle lande desolate solo per una presa in giro. La premessa e l’esecuzione sono tanto semplici quanto ben gestite e il film, almeno per i primi 40 minuti, circa la metà, scivola via intrattenendo il giusto. Solo che poi Darborg e il suo co-sceneggiatore Dickson cominciano a scoprire le carte della grande manipolazione cui siamo stati sottoposti dall’inizio di Red Dot e non tutto torna, non a livello di mera logica, per carità, il film è ben scritto, i passaggi sono chiari e non dico che ciò che accade sia verosimile, ma è coerente. Il problema, secondo me, è proprio relativo al meccanismo su cui abbiamo creduto si reggesse il film.
Credo che ci troviamo di fronte a un caso piuttosto classico di complicazione affari semplici.
Red Dot funziona in quanto survival brutale, spietato e schematico: due personaggi passato un’ottantina di minuti a venire inseguiti da uno o più tizi intenzionati a far loro la pelle per futili motivi, ed è bellissimo così; sono belli proprio i futili motivi, è bello che da una macchina rigata si possa arrivare tranquillamente all’omicidio. Le motivazioni pretestuose sono alla base di ottimi film come Eden Lake. Red Dot invece non si accontenta di essere una macchina che sfreccia su un rettilineo, Red Dot, a un certo punto, fa operazione di autosabotaggio mettendosi davanti una curva a gomito, anzi, una vera e propria inversione a U che rimette in discussione tutto, a partire dalla cosa più importante, ovvero la nostra simpatia per i protagonisti e conseguente partecipazione alle loro disavventure. Si scopre che Red Dot non è un survival, ma un revenge movie dal punto di vista dei “cattivi”, di chi la sacrosanta vendetta (perché, credetemi, è sacrosanta) la subisce. È anche un twist interessante, in particolare quando porta a un finale di grande potenza e nichilista quanto basta. Ma, davvero, non so esattamente come prenderlo, perché si porta dietro un problema macroscopico di scrittura dei personaggi, di comportamenti che mal si adattano alla svolta necessaria al colpo di scena. Credo sia impossibile che una coppia colpevole di aver investito un bambino e di averlo ucciso per poi darsela a gambe levate, lasciando il cadavere ancora caldo in mezzo a una strada, vada avanti a sposarsi, a fare progetti insieme, a comportarsi come se nulla fosse e non si sfasci fragorosamente nel giro di un paio di mesi. E non basta una piccola litigata per il coperchio della lavatrice a dare, non tanto un senso razionale, ma emotivo al tutto.
Capisco l’obiettivo del regista, la volontà di fare di Red Dot una sorta di parabola sulla colpa, sulla fuga dalle responsabilità, sugli errori che, prima o poi, ti presentano il conto con gli interessi, e capisco anche che la manipolazione alla base del film stia proprio nel mostrarci due protagonisti, tutto sommato, amabili, per poi mettere sotto i riflettori la mostruosità delle loro azioni, ma lo stesso, è manipolazione fine a se stessa, è il procedimento usato da Aja per spiegare il finale di Alta Tensione, non è un colpo di scena integrato nel tessuto narrativo del film, è un inganno nei confronti dello spettatore.
A parte questo, Red Dot resta un film godibile e, a suo modo, interessante, che ha comunque il pregio di tenere incollati allo schermo per tutta la sua durata, e per una produzione originale Netflix, non è poco.
Un’ultima osservazione: basta ammazzare gli animali come escamotage per dimostrare la cattiveria degli assassini in ogni stracazzo di film dell’orrore. Metteteci un amico scemo, un ragazzino, un fratello o un cugino, ma smettetela di fare secchi cani e gatti, perché è un cliché vecchio come il mondo, e quindi prevedibile, e anche un po’ fastidioso.
Grazie.
Bellissima la chiosa finale. Però tocca avere pazienza. Tuto sommato mostrare malvagità e follia attraverso maltrattamenti o uccisioni di animali è un ‘idea che parte da un celebre gatticidio (e gattaccecamento) nientemeno di Poe..
La recensione invece , mi farà evitare il film anche se son sicuro sia girato bene.
Essere preso per il culo come spettatore mi sta bene, (c’è qualcosa nel finale di Vivarium, ad esempio che mi ha dato questa impressione ultimamente) ma deve essere una presa per il culo FATTA BENE.
Ma Poe il cliché se lo è inventato. Oggi non ha più molto senso, anche perché prevedibile: quando vedi un cane/gatto/canarino/pesce rosso in un film dell’orrore, è una sentenza di morte certa.
MI piacciono molto quei film che ti piazzano l’animale e alla fine lo lasciano sopravvivere, tipo Crawl, perché vanno in totale controtendenza.
Controtendenza che approvo totalmente, ovvio. Mentre non so bene quanto si possa approvare un twist gestito in quella maniera, giusto per amplificarne l’effetto sul pubblico ignaro…
Bella dritta, senza leggerti non mi sarebbe mai venuto in mente di vederlo. Film che fa il suo dovere, solido e SPOILER finisce male FINESPOILER, il che (dirlo cosi’ e’ quasi comico) e’ quasi sempre un valore aggiunto.
Ma infatti il finale è spettacolare, credo sia la ragione per cui si guarda il film e si sopporta il twist non proprio onesto.
In realtà per me ci sta. Sono due persone banalmente egoiste. La loro esistenza fatta di successi personali è più importante di qualsiasi altra cosa per cui non vogliono che un fatto- anche grave possa metter fine alla loro vita- come dici tu sono cattivi.
Poi per favore facciamo Thomas ministro della giustizia!
A me è garbato molto, ne ho parlato anche da me.
Ps. concordo col fatto di smetterla di ammazzare gli animali come cani e gatti. Che si prenda d’esempio Crwal, col cazzo che la cagnolina se la mangiano gli alligatori. ❤
Ma infatti guarda tu se mi tocca additare Alexandre Aja come esempio di profonda sensibilità. Chi lo avrebbe mai detto!
commento con SPOILER
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Anche a me ha stonato la coppia che comunque va avanti persino felicemente, nonostante i litigi casalinghi. Ma forse è stato voluto: persino chi commette certe nefandezze alla fine va avanti con la sua bella vita, e questo “non è giusto” da parte di chi ci ha rimesso.
Sul cane. A parte che già dall’inizio noi vecchi cinefili navigati lo abbiamo salutato con un bel “Boris, mi spiace.”
A parte gli scherzi se la sua presenza è giustificata stupidamente dall’uccisione, lo trovo superfluo ai fini della trama. Anzi, senza di lui i protagonisti avrebbero setacciato la tenda con più facilità e dunque sarebbero cascati alla grande (almeno uno dei due) nella trappola.
Il problema è che se li mostri troppo in crisi rischi di rovinare il twist. Già proprio all’inizio, durante la litigata sulla lavatrice, lui accenna a qualcosa che ha fatto “per noi”.
Al fine del colpo di scena devono essere una coppietta tutto sommato felice, che si diverte, va a fare le vacanze, etc.
Quindi, alla fine, il film è molto meccanico nel suo svolgimento, e forse è questo che mi ha un po’ delusa. Però alla fine mi è piaciuto, non dico di no.
Diciamo che il regista sa il fatto suo, lo sceneggiatore meno (non so se siano la stessa persona). Però è volato via senza uno sbadiglio, mi accontento.
Anche secondo me doveva andare tutto in maniera lineare con i bifolchi che attaccano la coppietta, piuttosto che virare in quella specie di colpo di scena (annunciatissimo secondo me dal momento in cui il personaggio che ne è protagonista appare sulla scena), che sinceramente ho trovato fin troppo banale…