Amulet

Regia – Romola Garai (2020)

Amulet è un film che, soltanto a rivelare a quale genere appartiene (per ammissione diretta della stessa regista) rischi di fare uno spoiler gigantesco, e la cosa sarebbe controproducente: nel momento in cui ci si rende conto, negli ultimi minuti del film, della precisa categoria in cui incasellare la sua anima multiforme, si resta annichiliti. È una scoperta che arriva alla fine di un viaggio straordinario e vale la pena farla da soli, e tuttavia è impossibile affrontare un qualsiasi tipo di discorso su Amulet senza fare riferimento a un particolare dettaglio che sposta tutta la prospettiva cui si guarda al film in una direzione inaspettata.
Quindi, prima di leggere, io vi chiedo la cortesia di vedere il film. Ho aspettato qualche settimana per parlarne qui sul blog, in parte perché ho preferito che passasse ferragosto e, di conseguenza, dare al film maggiore rilievo e attenzione, in parte proprio perché magari a questo punto sarete in molti ad averlo già recuperato, e non faccio grande danno se spoilero di brutto.
Comunque siete avvisati: proseguite a vostro rischio e pericolo.

La trama di Amulet è, all’apparenza, molto lineare: un reduce di una qualche guerra balcanica si trova a Londra e vive da senzatetto. Una suora, per dargli una mano, gli propone di andare a stare per qualche tempo a casa di una giovane donna che accudisce la madre gravemente malata; lei gli darà vitto e alloggio, mentre lui la aiuterà con qualche lavoretto di ristrutturazione, dato che la casa cade a pezzi.
La madre è relegata in una stanza all’ultimo piano, pare sia molto aggressiva e incattivita dalla malattia. Nessuno può entrare, tranne la figlia, prigioniera e martire della sua missione di datrice di cure. Ovviamente lui, che come spesso ripete agli altri e a se stesso, è una brava persona, cercherà in tutti i modi di salvare la fanciulla, e noi ci aspettiamo che così accada: abbiamo infatti tutti gli elementi di una storia gotica classica.
C’è il mostro in soffitta, la dama in pericolo nel castello, tipica eroina gotica che vive in simbiosi con la sua croce, e l’eroe che arriva a spezzare queste dinamiche e a riportare la sua bella alla vita attraverso l’amore.

Ed è proprio sul concetto di eroismo che Amulet scombina tutte le carte e opera una sovversione del genere che lo ribalta da capo a piedi, trasformando quella che sembra una rivisitazione del gotico in chiave contemporanea in un rape & revenge.
Tutti sono gli eroi della propria storia e Tomas (Alec Secareanu) è di certo l’eroe della sua: suo è il punto di vista attraverso cui guardiamo le cose, sua la visione che noi spettatori abbiamo di Magda (Carla Juri), suo anche l’attaccamento romantico alla situazione disperata che la ragazza sta vivendo. Di conseguenza, noi facciamo il tifo perché loro due finiscano insieme dal primo momento in cui si incontrano. Tomas è lì per liberare Magda, e il destino di Magda non può che essere la passiva accettazione del ruolo di damsel in distress.

Ma cosa succede se il nostro eroe è uno stupratore? Cosa succede se la percezione della nostra storia non coincide con la realtà dei fatti?
Amulet è un film diviso in tre tronconi netti, separati anche da diverse scelte fotografiche e di messa in scena: c’è la parte ambientata nel passato, in un foresta durante la guerra, che ricostruisce le dinamiche che hanno portato Tomas a Londra, c’è poi il presente, a sua volta diviso in due, l’esterno della casa di Magda, e l’interno. Se il primo è connotato da un realismo estremo, quasi documentaristico, il secondo si svolge in uno stato di animazione sospesa. Una volta varcata la soglia della casa, entriamo in una dimensione altra, gotica, appunto. Il passato di Tomas è invece messo in scena con toni quasi fiabeschi, ma attenzione, perché Tomas non è il principe azzurro, ma il lupo cattivo.

Il troncone più corposo di Amulet è, per ovvi motivi, quello all’interno della casa, una sinistra magione nella migliore delle tradizioni, diroccata e ricoperta di muffa e strani liquami. Creature mostruose si annidano nelle tubature e, all’ultimo piano, c’è questo essere che un tempo deve essere stato umano, ma ora è soltanto un involucro di rancore e sofferenza. Qui, Romola Garai, attrice britannica con una filmografia molto corposa, ma alla prima prova dietro la macchina da presa, dimostra di saper gestire un lungometraggio come una professionista consumata. Ogni singola idea presente in Amulet, e ce ne sono a bizzeffe, è di carattere visivo: non ci sono spiegazioni ridondanti, il peso del film non poggia sui dialoghi: immagini, movimenti di macchina, scenografie, raccontano storie e nascondono segreti che sta a noi scoprire, e la parte finale vi coglierà impreparati, con la sua svolta da rape & revenge soprannaturale sporcata da sprazzi allucinanti di puro body horror.

Non so se lo avete notato, ma tre le poche, pochissime gioie di questo 2020 da cancellare dalla faccia della terra, va inserita un’abbondanza mai vista prima di donne che si mettono al timone di film horror d’autore: siamo partiti a gennaio con The Ranger e ora eccoci qui, a salutare l’ennesimo lavoro importante, fresco, sovversivo diretto da una regista. Amulet è forse, tra tutti i film usciti quest’anno con una donna alla regia, quello che gioca in maniera più incisiva con i classici tropi del genere per mescolarli e ridefinirli come se si trattasse di tematiche completamente inedite.
È anche il più “horror” nel senso puro del termine: le esplosioni di gore del finale vi resteranno impresse a lungo e accompagneranno i vostri incubi negli anni a venire. Sono ancora convinta che l’horror dell’anno sia Relic, ma questo Amulet possiede un coraggio e una sfrontatezza rari, e anche un radicalismo d’autore che forse potrà risultare respingente per qualcuno, ma che io ho trovato divino.
Ultima nota volante per sottolineare le interpretazioni degli attori: sono tutti ottimi, ma Imelda Staunton, in un ruolo se vogliamo marginale, è di un’ambiguità sulfurea che trasuda classe ogni volta che entra in campo.
Al solito, l’horror sta bene e vi saluta tutti, e si rivela essere uno dei pochi elementi positivi di un anno di merda.

9 commenti

  1. valeria · ·

    non ho letto tutto perchè (per una volta) voglio evitarmi spoiler e godermelo a mente completamente sgombra, ma già solo il fatto che sia diretto da romola garai (attrice che ho sempre adorato e incredibilmente sottovalutata) mi ha fatto salire una curiosità immensa 😀 tornerò a commentare dopo la visione!

    1. Hai fatto benissimo a non leggere prima di vedere il film.
      Ora aspetto il tuo parere!

  2. Blissard · ·

    Piaciuto molto anche a me. L’ho trovato faticoso e a tratti indisponente, ma anche molto originale e perturbante; mi ha molto sorpreso poi lo sprazzo alla Tarsem Singh (che anche tu hai messo nelle immagini) e la svolta trans-gender.

    1. Hai ragione, a tratti è faticosissimo. Ma comunque vale la pena per quel finale. Il fotogramma alla Tarsem mi è, ovviamente, entrato subito nel cuore!

  3. Davide De Rose Veltri · ·

    Visto oggi, carino, io sono più per i cari vecchi moster movies ignoranti ma ho apprezzato i design e le scenografie diciamo. Ci ho messo un pò a riconoscere la Umbridge, mi ricordava qualcuno ma non riuscivo a capire lol. Solo una cosa, citi The ranger nell’articolo, ma quello del 2018?

    1. Sì, The Ranger è stato girato nel 2018, poi ha cominciato a fare il tour dei festival per essere distribuito in VOD all’inizio del 2020. Parlo di quello 🙂

  4. Giuseppe · ·

    OK, ti farò anch’io la cortesia di vedere il film prima di continuare a leggere (spero di riuscire a recuperarlo il più presto possibile) 😉

  5. Andrea · ·

    Veramente molto bello.. direi potente oltre che sorprendente, ricco di svolte e simbologie, nonché di trovate originalissime.Mi è piaciuta molto anche la divisione di atmosfera,come hai rilevato tu,tra la parte esterna e quella interna alla casa e non ho trovato scene banali o scontate..da vedere e rivedere.. grazie mille per la recensione.

    1. Ma figurati, anzi, grazie a te: è per questi film che il blog esiste.

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