Vi avevo avvertiti che le bestiacce sarebbero tornate, anche perché, se Ilgiornodeglizombi e la sottoscritta non vanno in vacanza, è giusto che io mi diletti a guardare film dove ai vacanzieri ne capitano di tutti i colori, giusto per smaltire quel pizzico di invidia scaturita dalla prospettiva di trascorrete tutto agosto a Roma e in una situazione di cacca, per di più, ma non divaghiamo.
Parliamo invece di coccodrilli, vi va? Avevamo affrontato l’argomento proprio l’anno scorso con il fortunato e bellissimo Crawl, di Alexandre Aja, ma è al 2007 che voglio farvi tornare, all’esordio di Traucki (in coppia col collega Nerlich, a quell’incubo minimalista in cui tre personaggi se ne stavano abbarbicati sulle mangrovie per sfuggire a un coccodrillo che li aspettava nella palude sottostante. Dato che su questo blog sia mai che ci sfugga un film con creatura feroce e assassina, ne avevamo parlato qualche annetto fa, e anzi, avevamo dedicato una mini rassegna a Traucki e alle sue bestie, uno di quei registi che, se fossi del ministero australiano del turismo, farei arrestare immediatamente. E butterei via la chiave.
Evidentemente in Australia non la pensano così, ed ecco che Traucki, dopo ben 13 anni, decide di dare un seguito alla sua opera prima, questa volta in solitaria, e con qualche soldino di budget in più, atto soprattutto a rimpinguare il parco attori di un paio di unità e ad avere più carne a disposizione da dar da mangiare al rettile.
Questa volta, infatti, i protagonisti sono cinque, due coppie di amici e una guida, in partenza per un’escursione in una grotta ancora inesplorata. La grotta si allagherà e si rivelerà essere la tana di un coccodrillo. Con le vie d’uscita bloccate dall’acqua, i nostri dovranno cercare di trovare strade alternative per andarsene da lì e, nel mentre, evitare di diventare la cena dell’animale che, come nella migliore tradizione del cinema di Traucki, si limita a starsene lì e farsi i fatti suoi, a essere una “semplice” forza della natura, almeno fino a un certo punto del film, ove il regista concede qualcosina allo spettacolo da monster movie hollywoodiano.
L’ambientazione in grotta ricorda da vicino il tentativo fallimentare fatto nel 2019 con 47 Meters Down: Uncaged, ovvero unire il classico film con le bestiacce alle atmosfere di The Descent e, voi lo sapete, io salgo sempre a bordo in questo genere di operazioni, anche se il più delle volte deludono.
Non è il caso di Black Water: Abyss, non completamente: se da un lato ci sono alcune magagne sparse, soprattutto in sede di scrittura e costruzione dei personaggi, dall’altro il film è davvero solido, claustrofobico quanto basta, intrattiene a dovere ed è una perfetta visione estiva senza troppe pretese, per un ferragosto alternativo, insomma. O sfigato che dir si voglia.
Traucki si attiene allo schema del predecessore: come in Black Water, gli attori interagiscono con un coccodrillo vero, che però appare pochissimo, tanto che a spaventare non sono tanto la sua presenza improvvisa e i suoi attacchi fulminei, quanto la sua assenza. Lo dicevamo anche a proposito del film del 2007: è la superficie dell’acqua placida a creare uno stato d’ansia per cui, non appena la superficie si increspa un minimo, siamo tutti all’erta e ci raggomitoliamo sul divano.
L’integrazione tra l’animale e le sue controparti umane è ottima anche qui, con i rari inserti in CGI ancora più invisibili, causa budget superiore, rispetto alla prima volta, mentre gli incontri ravvicinati sono spietati e rapidissimi e, tanto per specificare l’ovvio, il body count si alza di parecchie unità.
Rimane comunque un pizzico di rimpianto per come Traucki sembra essersi limitato a replicare una formula senza apportare nulla di nuovo, a parte aumentare il numero di partecipanti alla gita fuori porta e appesantire le dinamiche tra i personaggi aggiungendo tonnellate di dramma la cui necessità, ai fini della riuscita del film, fatico leggermente a comprendere, dato che Black Water funzionava proprio perché i rapporti tra i tre protagonisti erano naturali e spontanei, così tanto da sembrare veri.
Qui, al contrario, viene inserita a mo’ di orpello una improbabile storia di corna; c’è sempre una ragazza incinta nel gruppo, credo allo scopo di strizzare l’occhio ai fan del primo film, ma sappiamo che nei film di Traucki aspettare un bambino non è affatto una buona scusa per sopravvivere. In altre parole, non c’è un plot armor abbastanza spesso da resistere alle zanne dei coccodrilli e qualsiasi personaggio è sempre a rischio di finire divorato.
Black Water: Abyss dura una decina di minuti in più di Black Water, e quei dieci minuti a parlare di tradimenti e a stabilire di chi sia il nascituro potevano tranquillamente essere tagliati e non credo si sarebbe lamentato nessuno. Non perché non mi stia bene l’approfondimento caratteriale, per carità, ma perché sono posticci, appiccicati male alla struttura del film, quasi che Traucki (e i due sceneggiatori) si vergognasse di fare un film che parlasse solo di un gruppo di poco avveduti turisti alle prese con un coccodrillo.
Detto ciò, Black Water: Abyss ha anche dei vantaggi rispetto al suo prototipo a zero budget, come per esempio un maggiore dinamismo dato dallo spazio più ampio in cui gli attori si muovono. Alla fine, in Black Water l’unica cosa che quei tre poveri disgraziati potevano fare era starsene appollaiati sulle mangrovie. Qui la ricerca di una via di fuga e la necessità di spostarsi sempre più in alto sulle rocce perché il livello dell’acqua continua a salire, danno a Traucki la possibilità di creare delle sequenze d’azione ad alto impatto; c’è il solito attraversamento del passaggio allagato in apnea, che a me mette sempre un senso di soffocamento atroce, e che qui l’ipotesi di un attacco del coccodrillo rende ancora più ansiogeno, c’è il tizio con l’asma che ha bisogno dell’inalatore, e allora bisogna entrare in acqua e portarglielo; soprattutto, c’è il buio, rischiarato soltanto dalle torce sui caschi dei nostri cinque sventurati, e Traucki, che fino a ora ha sempre e solo diretto horror alla luce del sole, mostra di saperlo gestire molto bene.
Poi c’è tutta la parte finale, che credo farà storcere il naso a qualche purista del minimalismo applicato ai mostri, ma a me ha esaltato come poche scene viste quest’anno. Si tratta di un parziale tradimento della filosofia che sottende a Black Water, perché qui il coccodrillo perde del tutto la connotazione di pura calamità naturale, che si limita a esistere nel suo ambiente e reagisce all’ingresso di questi bipedi così poco equipaggiati per sopravvivere nelle sue stesse condizioni. Negli ultimi quindici minuti, o giù di lì, il coccodrillo si trasforma in una creatura animata da una precisa volontà omicida; entriamo quindi in pieno territorio da B movie e non ne usciamo più. È una svolta spiazzante, lo ammetto, e se paragonata al finale del primo film, quasi del tutto fuori luogo.
Eppure è anche l’unica vera novità che Traucki porta a questo seguito.
Con qualche piccolo accorgimento in più nella gestione dei personaggi e un paio di sforbiciate al minutaggio, credo sarebbe stato un gioiellino. Così è un buon prodotto di intrattenimento, ma che non riesce a prendere una direzione precisa: è meno sofisticato di Black Water e non abbastanza spettacolare per essere un degno sostituto di Crawl.
Ci accontentiamo lo stesso? Io dico di sì.
Buon ferragosto a tutti.
ce l’ho già in rampa di lancio per domani 😀 e ti dirò, un ferragosto passato in compagnia di un nuovo film con le nostre amate bestiacce non mi dispiace per niente. anzi, visto come procede il 2020 sarà uno dei momenti top XD
sono quasi tentata di riguardare il primo black water e passare subito dopo a questo.
Io sono sempre a favore delle double feature con le bestiacce, soprattutto se la vita reale è anche più feroce di loro!
Buon ferragosto!
grazie, anche a te 😀
Al netto della non indispensabile dose di drammi personali aggiunti (e del minutaggio di troppo), mi sembra comunque un croco-movie interessante…
Buon Ferragosto! 😊
Mi è capitato di stare in una grotta dalla parte SBAGLIATA di un sifone allagato con l’acqua che saliva…(tipo l’incidente del 2018 in Thailandia per capirci). Questo mi sa che lo guarderò col mio ghigno un po’ più FREDDO.
(Eravamo per fortuna in un salone di grotta che ci offriva diverse decine di metri di risalita, abbastanza corda e un trapano funzionante).
Guarda, io un tempo avevo una mezza idea di andare per grotte.
Poi ho visto The Descent.
Beh, dai, considera che andando a grotte non è poi così facile finire in mezzo a un sacco di creature albine, carnivore e incazzatissime che cercano di farti la pelle in ogni momento… 😜
Non si sa mai! 🤪🤪🤪
Guarda, la speleologia subacquea ha molti più fattori di pericolo di un sub “normale”. Non so se sei mai stata al Gorgazzo ,tra Veneto e Friuli. Una grotta che esplorai (profonda più di 900 mt) colorando con la fluorescina abbiamo scoperto che l’acqua interna alla grotta esce lì (meta di sub “classici”).
Infatti io credo che l’unico brevetto che non prenderò mai sia proprio quello per andare in grotta. Sto benissimo a fare scuba diving dove non rischio di restare incastrata. Mamma mia, che ansia devastante 😅
P.s.- Coccodrillo in grotta è di una IMPLAUSIBILITA’ meravigliosa:D