O anche una vampira francese a Pittsburgh, dato che la matrice è quella: parliamo di Landis e di una commedia horror, che di certo è non al livello del suo lupo mannaro americano, ma si difende benissimo, e ha in più il bonus di mischiare vampirismo e gangster, cosa abbastanza rara e molto divertente. Innocent Blood è un film in grado di reggere abbastanza bene alla prova del tempo in alcuni aspetti e di essere incredibilmente datato in altri, problema assente invece nel suo cugino più famoso con i licantropi, e non soltanto perché è un film superiore. Il che ci porta a uno strano paradosso che ho spesso riscontrato con l’horror, e il cinema in generale, degli anni ’90: invecchia male e invecchia in fretta, mentre film con molti più anni sul groppone, ma pure roba girata negli anni ’50, sembrano molto più freschi e moderni.
Persino un regista intelligente come Landis non sfugge al bieco conservatorismo del periodo, soprattutto per quanto riguarda la scrittura dei personaggi femminili, ed essendo qui protagonista (in teoria, ma in pratica no) Anne Parillaurd, significa che non tutto va per il verso giusto.
Marie è una vampira alla ricerca di cibo che compie l’errore madornale di nutrirsi del boss mafioso Sally “The Shark” Macelli (Robert Loggia) e di non ucciderlo, ma trasformarlo in un vampiro. Ora, Macelli è un classico caso di nomen omen, nel senso che, oltre a possedere, di fatto, una macelleria, è anche uno psicopatico a cui piace ammazzare la gente. Inutile dire che un individuo del genere, vampirizzato, è un bel guaio, e a Marie tocca riparare al danno commesso, con l’aiuto del poliziotto sotto copertura Joe Gennaro (Anthony LaPaglia), di cui ovviamente finirà per innamorarsi.
Io preferisco sempre cominciare dalle cose che funzionano, quando parlo di un film, e non solo: penso sia meglio sottolineare quelle piuttosto che stare lì a elencare i difetti. Quindi partiamo dicendo che Loggia è un cattivo straordinario e ha un carisma che si divora il film pezzo dopo pezzo. La sequenza in cui si risveglia all’obitorio, sotto gli occhi di un attonito Frank Oz, qui in veste di medico legale, è da antologia della commedia horror; per non parlare di quando comincia a trasformare tutti i suoi scagnozzi uno dietro l’altro per avere a disposizione un esercito di vampiri figli di buona donna quanto lui.
Altra caratteristica rimarchevole del film è che la comicità è ottima e, quella sì, invecchiata bene, ma dopotutto si tratta di Landis ed è quasi scontato che conosca bene i meccanismi che inducono alla risata. Come già era accaduto ne Un Lupo Mannaro Americano a Londra, non è interesse del regista fare una parodia dei film sui vampiri, ma girare un horror che sia anche una commedia, con tutti gli elementi tipici dei due generi al loro posto. Innocent Blood è un film in cui terrore e ridicolo si alternano con disinvoltura, e spesso convivono in una sola scena.
È esemplare, in tal senso, quella universalmente riconosciuta come la più bella morte di un vampiro tramite raggi solari mai apparsa sullo schermo, un momento sì comico, perché Landis lo inquadra e lo monta come se fosse uno slapstick, ma aggiunge effetti speciali rivoltanti quanto basta e la trasforma così in un momento memorabile: si potrebbe dire quasi che vale la pena di vedere il film anche solo per quella singola sequenza.
Ma, essendo io una persona rozza e dai gusti semplici, amo Innocent Blood soprattutto perché, quando si tratta di sangue, fa tremendamente sul serio: niente puntini rossi sul collo se si viene morsi; al contrario, questi vampiri sbranano neanche fossero cani rabbiosi, strappano via pezzi di carne e finiscono ricoperti dal sangue delle loro vittime com’è giusto che sia. Nutrirsi, in questo film, è una faccenda sporca e disgustosa, più da zombie romeriani che da damerini con mantello e completo alla moda. E se non si raggiungono i picchi di raccapriccio raggiunti dal Maestro qualche anno dopo, resta comunque un bel vedere. Sarebbe stato ancora meglio se tutto si fosse risolto in una bella faida soprannaturale e scevra da qualsiasi forma di romanticismo, se le bestiacce succhiasangue si fossero limitate a scontrarsi tra di loro, con gli umani ridotti a fare la funzione di un piatto di spaghetti. Ma purtroppo non è andata così, e ci dobbiamo tenere la storia d’amore.
E qui cominciano i dolori.
Perché, se come abbiamo detto, l’antagonista funziona alla perfezione, purtroppo non si può dire la stessa cosa della protagonista. Intendiamoci: Parillaud è brava, bellissima, molto sensuale e pericolosa. Parte anche bene, quando sgranocchia Chazz Palminteri in macchina non mostrando un briciolo di pietà o rimorso. Ma poi qualcuno, in produzione, deve aver deciso che non si poteva affidare un film intero a una protagonista femminile, e ci hanno messo LaPaglia di traverso. Non ho nulla contro di lui, è un attore eccellente e lo dimostra persino qui. Però il suo personaggio è lì soltanto per umanizzare prima, e mettere in ombra Marie poi, che all’inizio del film è una vampira i cui unici scopi sono cibarsi e fare sesso, e a cui basta uno sguardo di sfuggita agli occhioni tristi dell’agente Gennaro per squagliarsi e diventare all’improvviso un agnellino.
Il che ci porta dritti a un finale dove il film deraglia completamente e, al posto di uno scontro per la vita o la morte tra due entità potentissime, dobbiamo credere che Marie sia troppo “debole” per far fuori da sola Macelli e abbia bisogno che Gennaro la salvi, come se fosse l’ultima delle fanciulle in pericolo di un horror anni ’30. Ma di quelli brutti, quelli che distribuiva la Universal in crisi alla fine della prima ondata di classici.
E io sono qui, dopo quasi trent’anni, che mi chiedo ancora perché, quando la mossa più logica, naturale, ma anche più spettacolare, sarebbe stata quella di lasciare il campo libero ai due vampiri.
Mi sono data parecchie risposte, nessuna delle quali mi piace particolarmente, ma credo si tratti di giustificare la presenza di un personaggio, quello di LaPaglia, che non poteva stare lì soltanto come mero oggetto d’amore della protagonista. Cosa che, a parti invertite, non sarebbe mai stata considerata un problema; a parti invertite non ci si sarebbe neanche posti la questione.
E così, nell’ultima quarantina di minuti o giù di lì, Anne Parillaud diventa una semplice spalla e ci si domanda pure se sia ancora un vampiro o se abbia pure perso i canini, oltre che la luce dei riflettori.
Se a questo ci aggiungete una sottovalutazione criminale di un’attrice come Angela Basset, in un ruolo che avrebbe anche potuto essere molto interessante, se qualcuno si fosse disturbato a scriverlo, capirete che i personaggi femminili non se la passano benissimo in Innocent Blood.
È mia ferma convinzione che, se la sceneggiatura fosse firmata da Landis, non ci ritroveremmo a fare questo discorso. Ma non si può avere tutto, ed erano pur sempre gli anni ’90.
Chissà se qualcuno a Hollywood ha mai pensato a un remake. Credo che Innocent Blood sia uno di quei film a cui un rifacimento potrebbe fare solo del bene.
Non è affatto male l’idea di un remake, a patto di poter richiamare in servizio Landis e affidargli anche la sceneggiatura oltre alla regia. Sarebbe il giusto modo di risarcirlo per un film sul quale non ha avuto pieno controllo, come l’involuzione del personaggio di Anne Parillaud sta a dimostrare: con LaPaglia ci si sarebbe benissimo potuti limitare ad una semplice collaborazione/alleanza momentanea senza implicazioni amorose di sorta, lasciando poi campo libero per lo scontro finale fra lei e Macelli che davo già per scontato (sbagliandomi di grosso) a partire dal momento del risveglio del boss in obitorio…