Regia – Brad Michael Elmore (2019)
Diciamolo subito: Bit è un film più importante che bello. Non è infatti completamente riuscito, in alcuni momenti è parecchio confuso, non sembra avere un’idea precisa di quale strada prendere, lascia nell’ombra troppi personaggi e, anche come pura e semplice dichiarazione d’intenti politica, dopo una prima parte promettente se ne va un po’ fuori dai binari, preferendo adagiarsi su dinamiche già viste in film come Ragazzi Perduti o Giovani Streghe, da cui riprende quasi in toto il rapporto tra le due protagoniste.
Poi ha anche un sacco di lati positivi, e ne parleremo, ma soprattutto è uno dei rarissimi casi di film con un personaggio principale transgender interpretato da un’attrice, e attivista, transgender (Nicole Maines, la Nia Nal di Supergirl). Ma questo elemento, se preso a sé stante, significherebbe poco: Bit è infatti un horror dove il personaggio trans non viene messo sotto una luce negativa. In pratica, è un unicum in tutta la storia del cinema, e certe cose bisogna celebrarle, anche se il risultato non è proprio esaltante.
Bit è la storia di Laurel, diciottenne diplomata di fresco e in vacanza a Los Angeles dal fratello maggiore. Durante la sua prima notte in città, si imbatte in un gruppo di vampire e viene trasformata. Ora, queste succhiasangue hanno un insieme di regole, tra cui la più importante è che non si deve mai, in nessuna circostanza, far diventare un uomo un vampiro. E la ragione è semplice: “gli uomini non sono in grado di gestire il potere”, basta guardarsi intorno per capirlo ed evitare di farne pure degli immortali quasi onnipotenti. Insomma, non ci vuole un genio, ci arriva chiunque.
Come spesso accade in questa specifica tipologia di storie, dove il protagonista outsider entra a far parte di un clan molto esclusivo, ma altrettanto pericoloso, all’inizio è tutto un gran divertimento, e poi le magagne vengono fuori per gradi, si rovinano i rapporti, le amicizie si sfaldano e si finisce sempre per rovesciare le dinamiche di potere interne al gruppo.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, ma di certo c’è lo sforzo di proporre un punto di vista inedito, quello della categoria di outsider che più outsider non si può, gente che rischia la vita solo per il fatto di esistere. E se il legame tra vampirismo e omosessualità funziona da sempre (ne parlavamo giusto qualche giorno fa) come metafora dell’emarginazione sociale, ancora più forte e valido è quello tra vampirismo e comunità transgender. E tuttavia, nel cinema horror questa equazione facilissima non era mai ancora stata fatta. La rappresentazione trans nel cinema dell’orrore è uno dei punti più dolenti della storia del genere, perché tra Sleepaway Camp e Il Silenzio degli Innocenti, non è che ci sia molto di cui andare fieri. Ed evitate le battutine idiote: se una cosa non vi tocca da vicino e non vi ferisce direttamente, non vuol dire che non sia capace di ferire qualcun altro. Non siete il centro dell’universo conosciuto. E ancora, essere un ottimo film, un capolavoro addirittura, e avere elementi problematici non sono fattori che si escludono a vicenda.
C’è una sequenza, poco dopo la trasformazione di Laurel, che per quanto all’apparenza buttata un po’ via (io ci avrei calcato di più la mano, ma non ha importanza) suona quasi come un manifesto: quando la leader del gruppo di vampire illustra alla nuova arrivata la regola che vieta di far entrare uomini nella cerchia ristretta di succhiasangue, Laurel, che evidentemente nella sua giovane vita ha già avuto a che fare con il pernicioso fenomeno delle terf, le chiede: “What about me?”; e la risposta è una perla: “It never crossed my mind”.
Ora, se non vi rendete conto di quanto possa essere liberatorio un dialogo di questo tenore per persone la cui identità, ma di più, il cui stesso diritto a vivere, vengono messi in discussione da chiunque abbia un account Twitter, forse avete davvero sbagliato blog.
I problemi narrativi del film cominciano, purtroppo, e emergere proprio dopo questa scena così significativa: si cade un po’ troppo nella distinzione manichea tra le vampire “cattive” che non si fanno scrupoli nel nutrirsi e quindi uccidere esseri umani, e la vampira “buona”, Laurel, che al contrario prova ripugnanza a bere il sangue altrui. Una dinamica cui abbiamo già assistito tante, troppe volte, e che per una volta tanto potrebbe essere trattata con un briciolo di ambiguità morale in più. Anche perché, il senso ultimo del film è che il potere è in grado di corrompere tutti, e l’unico modo che si ha per evitare la prevaricazione è liberarsi per sempre del concetto di capo o leader o figura carismatica, e agire come un collettivo. Non è affatto una brutta idea, sia chiaro: Bit è un film pieno di ottime idee e altrettanti ottimi spunti, solo che vengono gettati alla rinfusa in un unico calderone, dove perdono la loro efficacia.
Un’altra intuizione molto interessante, e concettualmente simile al finale di uno degli episodi migliori del Twilight Zone di Jordan Peele (Not All Men) è quella che vede il divieto di trasformare uomini non come un ostacolo allo strapotere maschile, ma come una scusa pronta perché gli uomini continuino a comportarsi da pezzi di merda impuniti. In altre parole, dire loro che non sono in grado di controllarsi, che finiranno sempre e comunque per ricadere nel noto circolo di prevaricazione e oppressione, in realtà fornisce loro un comodo alibi. Ma anche lì, arriva troppo tardi, è posta in maniera sciatta, quasi in extremis e, pare, quasi per non attirarsi troppe ire da parte del pubblico maschile, o meglio, dei soliti simpaticoni dell’internet, calati in branco a insultare il regista su YouTube, ovviamente basandosi solo sul trailer, come ormai accade quotidianamente nel meraviglioso mondo dell’intrattenimento globale.
La conclusione del film mira un po’ troppo al “siamo tutti uguali e siamo tutti amici” e, devo ammetterlo, mi sarei aspettata qualcosa di più coraggioso e più graffiante. E tuttavia, con ogni suo difetto e ingenuità, Bit rimane un passo avanti di un certo peso, se non altro per aver dato alla splendida e bravissima Nicole Maines il suo primo ruolo da protagonista assoluta. Se lo merita. Ce lo meritiamo pure noi.
La prossima volta andrà meglio.
” Ed evitate le battutine idiote: se una cosa non vi tocca da vicino e non vi ferisce direttamente, non vuol dire che non sia capace di ferire qualcun altro.”
Gesù se hai ragione. La riprova è che Sleepaway Camp ok,ovvio, ma ci ho badato quasi un minuto a capire cosa ci fosse di “problematico” da quel punto di vista nel Silenzio degli Innocenti, eh.
E chi scrive non è manco un Maschione Machista Etero Ortodosso (son sempre stato un gran Curiosone in vita mia. La mia miglior qualità, se non l’unica 😉 ).
E ci ho badato un minuto.
E’ proprio vero.
Riguardo a Bit. Sì, è un po’ pastrocchiato. Ma basta quella battuta.
Ma io per prima, quando ho saputo che, già all’epoca della sua uscita, molte associazioni per i diritti dei trans avevano protestato contro il film, non ho proprio capito. Anzi, ci scherzavo sopra, mi ci arrabbiavo, pure. Ma come si permettono, questi, di mettere in discussione un capolavoro.
Poi ci ho riflettuto ed è vero: è un capolavoro e ha anche degli aspetti problematici, perché una cosa non esclude l’altra.
E si deve parlare sia di che film straordinario sia Il Silenzio degli Innocenti, sia del fatto che non rende un gran servizio a una delle categorie di persone più emarginate sulla faccia della terra.
“Ed evitate le battutine idiote: se una cosa non vi tocca da vicino e non vi ferisce direttamente, non vuol dire che non sia capace di ferire qualcun altro. Non siete il centro dell’universo conosciuto.” Ovviamente, sottoscrivo parola per parola…
Ma sei anche in minoranza 😦
Gli avvenimenti degli ultimi giorni ci insegnano che molte persone sono convinte di essere al centro dell’universo, con tutte le altre categorie a far loro da spalla.
S’, purtroppo tira davvero una bruttissima aria… 😦
Sembra interessante più per questioni “extrafilmiche”, che per il film in sé. Comunque nell’ultimo anno non gira bene per gli uomini negli horror 🙂
Com’è giusto che sia!