Regia – Frank Henenlotter (1990)
Ed è anche un film adatto al mese del Pride, così copriamo due rubriche al prezzo di una e siamo tutti più felici. Frankenhooker è infatti l’opera più queer di uno dei registi più queer del cinema dell’orrore americano degli anni ’80, una horror-comedy che, sulla carta, è soltanto un rip-off de La Moglie di Frankenstein, ma in realtà è un film profondamente eversivo, in grado di parlare, in meno di 90 minuti, titoli di coda compresi, della condizione orripilante in cui venivano costrette a vivere le prostitute, di possesso e manipolazione del corpo femminile da parte degli uomini e, tanto per essere quei tre o quattro decenni avanti rispetto a tutti gli altri, anche di transessualismo, perché Henenlotter non si è mai fatto mancare niente. E non si è mai fermato davanti a niente. In altre parole, Frankehooker è un capolavoro, e chi dice il contrario mente sapendo di mentire.
“In a blaze of blood, bones, and body parts, the vivacious young girl was instantly reduced to a tossed human salad… a salad that police are still trying to gather up… a salad that was once named Elizabeth.”
Ora, io avrò anche un senso dell’umorismo leggermente deviato, ma ditemi che questo non è una delle più alte espressioni di genialità comica che abbiate mai avuto la fortuna di ascoltare in un film.
A ridurre Elizabeth a fettine è un tosaerba impazzito durante una festa. Ma il suo fidanzato Jeffrey (James Lorinz) non ci sta e decide di riportarla in vita. Già, perché Jeffrey è uno scienziato pazzo in piena regola; cacciato per tre volte da varie facoltà di medicina, passa le sue giornate a compiere strambi esperimenti con un cervello tenuto in vita in un acquario pieno di un siero di sua invenzione a base di estrogeni e, per far tornare dalla morte Elizabeth, ha bisogno di due cose: una tempesta di fulmini abbastanza forte da garantirgli la quantità di elettricità necessaria, e delle parti del corpo nuove, che sostituiscano quelle perse per sempre dopo l’incidente. Di Elizabeth è rimasta intatta e utilizzabile solo la testa. E questo è un bel problema, che Jeffrey pensa di poter brillantemente risolvere uccidendo una prostituta.
Vi lascio tutto il piacere della scoperta per quanto riguarda il resto della trama, ma dovete sapere in anticipo che Frankenhooker non è soltanto un capolavoro di una exploitation che all’epoca stava esalando i suoi ultimi respiri, ma è anche uno dei film più fuori di testa mai concepiti. E quando dico fuori di testa, intendo proprio che sentirete scricchiolare la vostra sanità mentale a ogni minuto, e ve ne starete lì, instupiditi, col cervello che vi cola dalle orecchie e la poca razionalità rimastavi che si domanda dove ancora potrà spingersi Henenlotter per oltraggiarvi quel tanto che basta da farvi ricoverare nella clinica più vicina. E se pensate che Basket Case e Brain Damage vi abbiano in qualche modo preparato per questo, siete in errore, perché entrambi i film, pur nella loro ponderatissima follia, non si accostano neanche per sbaglio alla pura poesia weird di Frankenhooker. Davvero, lo dovete vedere per crederci.
Io, la prima volta, non sapevo se ridere, vomitare o fuggire urlando.
È un film che, se per qualche istante dimenticate tutte le nozioni che vi hanno impartito a proposito del buon gusto, e non vi fermate all’apparenza estremamente povera, da guerriglia, del cinema di Henenlotter, ha tante cose da dire. Non è suo mestiere andare per il sottile, e nessuno credo si aspetti sottigliezze da Henenlotter, e tuttavia l’umorismo al vetriolo del regista non risparmia nessuno, a partire dal suo protagonista, nei confronti del quale, a differenza di quello che accadeva con Belial e Brian, non c’è un briciolo di riguardo o empatia. È anzi, lo zimbello, la vittima e, allo stesso tempo, il vero villain del film. Un ragazzo che vuole costruire per la sua defunta fidanzata, in vita un po’ sovrappeso, il “corpo perfetto” e, per farlo, si mette a misurare col metro gambe, braccia e seni delle prostitute, per poi farle letteralmente esplodere con un super crack di sua invenzione.
Se c’è partecipazione emotiva per qualcuno, essa è tutta dedicata alla variegata fauna di prostitute e disadattati vari della Quarantaduesima Strada, dove Jeffrey si va a procurare le parti mancanti. E anche lì, come per l’exploitation, era la fine di un’era, sottolineata da Henenlotter che, accanto ai freak di cui sopra, inserisce turisti armati di macchina fotografica e famiglie intente a fare shopping.
Accanto a questo sguardo affettuoso nei confronti dei reietti di varia natura, abbiamo una delle figure più disgustose di protettore mai portate sullo schermo, e la sua fine è disgustosa, squallida e atroce com’è giusto che sia, oltre a rappresentare una sacrosanta vendetta da parte delle donne che ha sfruttato e ha reso dipendenti dal crack per piegarle al suo volere.
Insomma, in mezzo a tante risate, Henenlotter non ci va di certo leggero quando si tratta di schierarsi, e credo sia questa una delle cose più rilevanti della sua carriera: è stato (uso il passato perché non dirige un lungometraggio dal 2008) sempre un regista schierato, fieramente schierato, nonostante abbia sempre fatto un tipo di cinema che potete tranquillamente definire turpe o abietto. Anzi, forse proprio perché faceva un cinema turpe o abietto, poteva fregarsene, tanto non lo prendevano sul serio.
E poi c’è lei, Elizabeth, la creatura del film, che non ha solo un design magnifico, ma è un personaggio che passa dal comico al tragico nello spazio di uno stacco di montaggio e si aggira per Times Square, spaesata e confusa, muovendosi come Elsa Lanchester nel film di Whale, dimentica del suo passato di brava ragazza americana in procinto di sposarsi, portando impressi nel corpo i traumi e le abitudini delle sue sorelle uccise da Jeffrey.
Henenlotter, per scelte e per problemi contingenti, doveva girare tutto dal vero, in luoghi reali, in ambienti non ricostruiti, ed è incredibile quali scorci di verità riesca a cogliere un film che, apparentemente, ha delle ambizioni così ridotte, come si abbia l’impressione di vivere in quelle squallide stanze d’albergo, in quei bar illuminati di rosso dove quasi ti sembra di sentire il fetore della birra mai pulita dai pavimenti, che impregna addirittura le pareti.
Anche se per veder finalmente apparire la rediviva Elizabeth dobbiamo aspettare quasi un’ora, la sua camminata a scatti per quelle strade è davvero un pezzo indimenticabile di cinema di serie B.
Ma, a quel punto, Henenlotter esagera ancora, non si ferma, va oltre qualunque concetto di decenza e fa diventare il suo film un body horror in piena regola, con corpi deformati, grottesche mutazioni, effetti speciali artigianali e di grana grossa, ma efficacissimi per un ultimo quarto d’ora da incubo e con un finale che sa essere rivoltane, osceno e anche sfacciatamente politico.
Io non so se mai esisterà un altro regista come lui, e forse non è proprio il tempo per registi come lui, ma una cosa è certa: Henenlotter dovrebbe essere patrimonio dell’umanità.
Hehehe (risata alla Zio Tibia) meraviglia che ho EVOCATO per caso.
Non so manco come commentare. Farei headbanging se non fossi decrepito e sicuro di procurarmi dei danni alla cervicale. Tempo fa reperii il documentario di cui è co-autore su Herschell Gordon Lewis.
Il discorso sull’ empatia e lo “schieramento” anche se sembrerebbe blasfemo dati i differenti valori artistici…Bhe due parole : Tod Browning. Nessuno si senta offeso.
Che poi Freaks paradossalmente funziona proprio per il distacco, quasi disprezzo, di Browning nei confronti dei suoi attori.
È una strana bestia, Freaks.
Dici? mi interessa questa tua visuale. Non so, nella scena in cui l’accompagnatrice , chiamiamola così dice “non sono mostri, sono bambini”. O pure tutta la sempiterna sequenza “Gabba Gabba Hey” (non c’è bisogno di citare una band di qualche importanza che l’ha usata come anthem, credo).E’ parecchio tempo che non lo rivedo. Non vedo il distacco. Il disprezzo per come l’ho visto io è esclusivamente per i “normali”, così -loro sì- mostruosi nell’accezione negativa e non nella derivazione dal Monstrum (prodigio) latino.Interessante. Nelle battute anche più a prima vista più ciniche (il marito-anch’esso “freak” di UNA delle sorelle siamesi dice all’altra “Non devi bere, se no mia mogli ha i postumi”) o pure la scema in cui l’ uomo senz’arti (non saprei come altro definirlo) si accende una sigaretta usando bhe..la bocca…Non ci vedo il distacco.Scusami l’ennesimo OT ma quando puoi magari spiegamelo perchè non l’ho mai visto sotto questa luce.
Allora, io detesto farlo perché mi sembra di autopromuovermi e poi mi sento subito un piazzista porta a porta, però piuttosto che ripetermi e attaccarti il famigerato pippone, ti rimando al mio post sul film, che è di qualche anno fa, ma di cui sono tremendamente orgogliosa 😀
Pensa che cretino. Non sono manco andato a cercare se ne avevi scritto.. Ho letto e ho imparato parecchie cose che non sapevo. E alcune cose le capisco ora dopo la prima visione da quindicenne (a memoria).
Ahhhhhhh, il film piu’ assurdo e demenziale che ho mai visto,
James Lorinz perfetto nella parte del mad doctor, Patty Mullen (Penthouse) gli tiene testa (in tutti i sensi) , la sua filmografia purtroppo e’ di solo 2 titoli, questo e un altro horror, Doom Asylum (1988), penso inedito in Italia.
Io di solito per mettere in moto il cervello mi prendo un caffe’, provero’ l’altro metodo del trapano.
Grazie Lucia
E’ da parecchio tempo che ci giro intorno, a Frankenhooker, senza mai decidermi a vederlo sul serio. Solo, credevo che l’accoppiata Basket Case/Brain Damage bastasse per farmi passare da spettatore maggiorenne e vaccinato pronto a tutto, ma da quello che hai scritto sembra proprio di no… adesso sono curioso di vedere quale sarà la mia reazione: fuggire urlando, ridere fuggendo, urlare ridendo (il vomito almeno cerco di escluderlo a priori)? 😉
Io credo che la reazione più normale e giusta sia urlare ridendo 😀