Regia – Luca Guadagnino (2018)
Come tutti voi ormai dovreste sapere, io non sono propriamente un’argentiana, quindi se qualcuno decide di rifare un film del Darione nostro, la cosa mi tocca fino a un certo punto. Insomma, per me non c’è nulla di sacro e quindi dovrei avere in partenza un atteggiamento un po’ distaccato rispetto ai tantissimi fan del regista. Eppure, ci sono due film di Argento a cui sono davvero tanto legata: il primo è (e dovreste sapere anche questo) Phenomena, il mio “Argento preferito”; il secondo è proprio Suspiria. C’era un po’ di apprensione legata a questo film di Guadagnino, giusto un po’, tuttavia, perché amo moltissimo il suo cinema e, dentro di me, sapevo che non mi avrebbe delusa.
Ora, il problema con un film come Suspiria è che esci al cinema e ti trovi davanti quelli col fucile puntato, pronti ad attaccarsi a ogni minima imperfezione (dimenticando quelle dell’originale, logico) pur di sparare a zero su Guadagnino che ha osato mettere le mani su Argento.
E io devo dire che li capisco, gli argentiani, in quanto adoratori non tanto di un regista quanto di un feticcio dei bei tempi andati, di cui Suspiria rappresenta il punto più elevato.
E ora arriva questo, che non è neanche un regista horror, e si permette di toccare il loro feticcio? È troppo, è inaudito, è oltraggioso.
Io credo però che tutta questa enfasi posta sul fatto che si debba essere un “regista horror” per girare un horror sia una faccenda molto simile alle dispute tra gli animali da branco; o a pisciare per delimitare il proprio territorio. E ricordo, così di striscio, che uno dei più grandi horror della storia del cinema lo ha diretto un regista che con l’horror non aveva poi molto a che spartire (sì, William Friedkin, sì, L’Esorcista). C’è chi è arrivato a rinfacciare, con una miseria morale senza pari, i videoclip girati da Guadagnino agli esordi, per dimostrare che non era degno.
Poi gli argentiani si sono attaccati alla sceneggiatura del nuovo Suspiria, come se il vecchio Suspiria ne avesse mai avuta una. Come se qualunque film di Argento avesse mai avuto una sceneggiatura.
Ma il problema è sempre l’ingombrante, perenne paragone con un predecessore che se ne sta lì, monolitico nei ricordi e nella nostalgia di tutti noi, persino della sottoscritta.
Solo che il Suspiria di Guadagnino sfugge al paragone perché è tutto un altro film, che da Argento prende giusto il titolo, i nomi di alcuni personaggi e lo spunto iniziale e poi se ne va per la sua strada, di sicuro la strada di un regista innamorato del film a cui si ispira, ma deciso a tramutarlo in una cosa sua.
E il risultato è sorprendente; io sono uscita dalla sala sotto shock e per me è ancora complicato cercare di parlare del film in maniera ordinata e razionale.
Partiamo dall’estetica, così ci facilitiamo il compito: Suspiria non sembra un film ambientato negli anni ’70, sembra un film girato negli anni ’70. Guadagnino ha centrato in pieno l’atmosfera, i colori, le scenografie dell’epoca, dando l’illusione di trovarsi lì, in quel determinato momento storico, a viverlo insieme ai personaggi. Lo hanno già detto in tanti, ma mi aggiungo al coro: c’è il fantasma di Fassbinder che si aggira per il film, ed è un fantasma magnifico.
A differenza del Suspiria di Argento, che si astraeva dalla Storia in quanto fiaba al di fuori del tempo e dello spazio, il Suspiria di Guadagnino è fortemente contestualizzato e, perché no, politicizzato. Non solo il presente del racconto, tra terroristi “suicidati” in carcere e dirottamenti grava su ogni fotogramma del film, ma anche il passato e, nonostante le streghe delle compagnia di ballo non vivano in prima persona la storia, essa penetra tra le mura del palazzo dove vivono attraverso radio e televisioni sempre accese.
Questo Suspiria non è una fiaba nera, è un film dell’orrore che fa entrare il soprannaturale e l’incubo all’interno di una cornice che si attiene al più severo e rigoroso realismo. Quando siamo dentro le sale della compagnia, viviamo un’atmosfera ovattata, dove gli eventi esterni giungono ovattati, messi in un angolo, quasi annichiliti dalla potenza del magico; non appena usciamo da lì veniamo invece travolti dalla storia che, lo intuiamo dai dialoghi, ha colpito e lasciato ferite addosso alla compagnia negli anni del nazismo, quasi le streghe fossero delle reduci e delle sopravvissute, passate non del tutto indenni attraverso la tragedia.
Non essendo una fiaba, Suspiria può permettersi dei tratti di ambiguità che il film di Argento, volutamente, non aveva. Le streghe non sono quindi caratterizzate come malvagità pura e non si tratta più di raccontare di una fanciulla innocente a contatto col Male. Qui siamo di fronte a una faida, a uno scontro interno tra fazioni, con un risoluzione traumatica e inaspettata.
È un film in cui non c’è mai un istante di rilassamento, dove il pubblico non può neanche permettersi il lusso di respirare: il senso di minaccia è costante, ininterrotto, e le occasionali deflagrazioni di violenza e sangue non mettono fine all’ansia, ma al contrario la accrescono, sono una promessa di qualcosa di peggio che è sempre lì lì per accadere. La sensazione di pericolo è costruita da Guadagnino tramite l’accumulo di dettagli maniacali che hanno un effetto destabilizzante su chi guarda: i flash degli incubi di Susie, gli sguardi tra le streghe durante le prove, i sussurri (e i sospiri) che aleggiano nei corridoi del palazzo della compagnia; c’è sempre un particolare fuori posto, sbagliato, fuori fuoco, qualcosa che ci sussurra all’orecchio che non siamo al sicuro.
E come potremmo esserlo di fronte a un potere così enorme e antico?
Ecco, non si tratta di bene e male, ma di un potere millenario a cui neanche interessano i concetti, tutti umani, di bene e di male e che tuttavia ha bisogno della nostra carne, ha bisogno di stabilire un ponte con il nostro piccolo mondo tutto preso dalle vicende contingenti, per continuare a esistere.
Un potere che è tutto femminile e si esprime attraverso il movimento ritmico del corpo che, dice una splendida Tilda Swinton impegnata in un triplice ruolo, deve “smettere di essere bellissimo”.
E quindi violenza, sangue, carnalità, fatica, dolore; forse è vero che questo Suspiria non possiede la furia del film di Argento, che è più controllato, cerebrale, più, se proprio vogliamo dirlo, “d’autore”, ma i tempi sono cambiati, l’horror sta andando da un’altra parte e Guadagnino (e qui non ha alcuna importanza essere o non essere un regista horror) ha compreso perfettamente dove si sta dirigendo e quali territori sta andando a esplorare. L’horror ha smesso di essere fiaba avulsa dal mondo ed è entrato dentro al mondo, lo guarda, distante e anche indifferente, come fanno le streghe di Suspiria, lo giudica, anche, dispensa pene e assoluzioni e lo sporca di sangue per rivelarne l’essenza.
E Suspiria è quasi un body horror, ed è molto strano che nessuno abbia tirato fuori Cronenberg nell’andare alla ricerca di similitudini varie. Un film di trasformazione e distorsione dei corpi, sia quando si spingono al limite delle loro possibilità nella danza, sia quando da questa vengono annientati. Un body horror interamente declinato al femminile, tutto giocato sulla potenza atavica della figura della madre, sia essa biologica o soprannaturale.
Per questo, mettersi a fare i puntigliosi su una sceneggiatura che mette troppa carne al fuoco, mi pare abbastanza pretestuoso: non credo abbia importanza la trama in quanto tale; Suspiria è un film di simboli e suggestioni, proprio come il suo predecessore: nuovi simboli, nuove suggestioni, tuttavia e un linguaggio figlio dell’abilità di Guadagnino di mettere in scena l’incubo nella sua forma più perfetta e inquietante.
Andai direttamente a Venezia a vederlo e al palabiennale ad un certo punto è successo qualcosa di “strano” che aumentò a dismisura l’atmosfera. Quando Susie arriva a Berlino e fuori piove, aveva iniziato a piovere pure a Venezia e l’effetto di amplificazione del rumore sulla tensostruttura sembrava proiettava ancora di più dentro quella Belrino rarefatta. Condivido in toto quanto hai scritto, il film a me affascinò fin da subito, anche se ammetto che la parte finale non mi ha convinto poi molto per messa in scena, mi ha dato un po’ la sensazione medesima che ebbi nel sabba finale di “Le streghe di Salem” di zombie, forse perchè il corpo femminile per me è sempre e solo candido.
Ho trovato anche io connessioni con Lords of Salem (che a me è piaciuto molto)… entrambi forse un po’ confusi nel finale…
Io ho adorato il sabba finale, mentre con The Lord of Salem ho svariati problemi. Mi sembrano girati in maniera estremamente diversa.
Detto ciò, pagherei per aver visto questo film sotto la pioggia come te 😀
In quanto non-argentiana eri una delle poche persone in grado di scrivere qualcosa di senso compiuto su questo film e condivido ciò che hai scritto. Film che io ho trovato affascinante, violento, ansiogeno, di certo non perfetto (che poi esiste la perfezione?) ma che voglio assolutamente rivedere.
D’altra parte sono anche un po’ arrabbiato, perché di produzioni con un minimo di palle come questa non ne vedo abbastanza in Italia. Ok che ci ha messo dei soldi Amazon, ma porca puttana dobbiamo quasi sempre andare fuori per poter produrre qualcosa di diverso dalla solita commedia dimmerda?
Perché poi quando produciamo una cosa che merda non è, non incassiamo, come è successo anche a Suspiria, che è andato molto male 😦
Un film straordinario per la cura con cui è stato girato… raramente mi capita di desiderare subito una seconda visione, questa volta mi è successo e non vedo l’ora di rivederlo. Comunque, da appassionato del genere, dico che è un bellissimo horror. Che annata strepitosa con Hereditary e Suspiria (se lo consideriamo effettivamente del 2018).
Sì, è un film del 2018, uscito qui da noi in ritardo.
E, con Suspiria, diventa davvero un’annata eccezionale per l’horror. Grandiosa, addirittura.
Non sono ancora riuscito a vederlo. Il livello di splatter qual è? Te lo chiedo per curiosità, visto che nei mesi scorsi leggevo (penso a sproposito) di gente che fuggiva dalla sala.
Splatter non tantissimo, almeno non per chi è abituato. Però è molto violento e c’è una scena in particolare crudissima che mi ha fatto distogliere un paio di volte lo sguardo.
Grazie Lucia. Spero di vederlo, appena riesco a uscire dal film horror in cui si è trasformata la mia vita da un mesetto in qua.
Mi dispiace 😦
Ti capisco e ti sono vicina, perché anche la mia vita mi ha trollata parecchio negli ultimi mesi. Spero si risolva tutto, di qualunque cosa si tratti ❤
Grazie, ti abbraccio 🤗
Ciao,
questo nuovo Suspiria mi ha sbalordito e affascinato parecchio. Ieri sera, uscendo dal cinema intontito e ipnotizzato dal sovraccarico di tematiche, simboli, colori e immagini meravigliose, ho avuto la sensazione di avere appena assistito a qualcosa di grandioso, che rimarrà negli annali. Devo ancora riprendermi 🙂
Suspiria 1977/Suspiria 2018: Argento vs Guadagnino… sarà un confronto interessante, di sicuro. Per il resto, agli indefessi fautori dell’assoluta intoccabilità argentiana consiglierei di riflettere obiettivamente su quanto possa aver fatto Darione nostro negli ultimi vent’anni (sono generoso, che in fondo qualcosa de La Sindrome di Stendhal posso anche salvarlo) per meritarsi ancora tutta questa fiducia.
P.S. Il Dylan Dog scritto da lui però era leggibile, glielo concedo.
Non per fare il bastian contrario a tutti i costi… ma ne sono uscito abbastanza perplesso. Bello da una parte, sconclusionatissimo dall’altra. Certe parti del sabba mi sembravano una trashata involontaria.
Molto probabilmente un limite mio, o forse in un’altra vita ho litigato con Guadagnino