Regia – Marcus Hearn (2018)
Chiunque si definisca anche solo lontanamente interessato al cinema dell’orrore conosce per forza la Hammer o almeno si spera che l’abbia sentita nominare. Lì fuori è pieno di documentari interessanti sulla casa di produzione inglese, legati specialmente al suo periodo più florido, quello che va dal 1958, anno di uscita del Dracula di Terence Fisher, alla fine degli anni ’60. Ma non esisteva ancora un documentario che esplorasse nel profondo l’inizio della fine, ovvero il momento in cui la Hammer si legò alla Warner Bros per distribuire i suoi film negli Stati Uniti e si ritrovò a combattere contro un modo tutto nuovo di fare cinema horror, destinato nel giro di poco più di un quinquennio a decretare il tramonto dei vecchi gotici Hammer in favore del nascente New Horror americano.
Per questo motivo, lo storico ufficiale della Hammer, Marcus Hearn ha lanciato un Kickstarter, tramite il quale è riuscito a raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del film di cui parliamo oggi.
Attraverso interviste a gente come Joe Dante, Veronica Carlson, Caroline Munro e moltissimi studiosi della Hammer, oltre che a tecnici che hanno lavorato, nel corso degli anni, per la casa di produzione inglese, foto di scena inedite e vecchi filmati d’archivio, il documentario ricostruisce gli anni turbolenti della collaborazione tra Hammer e Warner Bros, a partire da quando, nel 1967, la Warner e la Seven Arts, che fino a quel momento si era occupata della distribuzione dei film Hammer negli Stati Uniti, si fusero in un’unica società che acquisì i diritti non solo di distribuzione, ma anche di co-produzione. Insieme, Warner e Hammer cercarono di restare al passo coi tempi, dando vita a bizzarre sperimentazioni, all’epoca finite nel dimenticatoio e considerate responsabili del crollo della Hammer, ma oggi in parte rivalutate, soprattutto nella prospettiva storica di un sistema produttivo che cercava in tutti i modi di svecchiarsi e che, purtroppo, non ne fu in grado.
Il primo film nato da questa collaborazione fu Dracula Has Risen from the Grave, uscito in Italia con il titolo di Le Amanti di Dracula, per la regia di quel mostro di Freddie Francis.
Il 1968 è considerato un anno spartiacque per la storia dell’horror, con l’arrivo dell’esordio di George Romero, un film destinato a cambiare per sempre la percezione del genere nel pubblico. Difficile, se non impossibile, per il modello Hammer competere con un’opera esplosiva del calibro de La Notte dei Morti Viventi. Di fronte a una bambina che divora la propria madre, le ambientazioni vittoriane e i ritmi compassati dei film Hammer impallidivano. Tuttavia, Dracula Has Risen from the Grave fu un grande successo, che spinse la Warner a investire ulteriormente. E a richiedere un controllo maggiore sul prodotto.
Il documentario mostra come la Hammer, sotto la pressione della Warner, avesse cominciato a immettere tematiche e stili inediti nei suoi film, per cercare di inserirsi in un mercato che la stava lasciando indietro: lo stupro, aggiunto a fine riprese e del tutto incongruo rispetto al resto del film, in Distruggete Frankenstein, che scandalizzò moltissimo Fisher, Cushing e la giovane Carlson; il western fantascientifico di Moon Zero Two, l’arrivo di Dracula nel mondo contemporaneo in Dracula A.D. 1972, il thriller psicologico dello sfortunato Crescendo e, per concludere, la fallimentare miscela di arti marziali e vampirsmo de La Laggenda dei 7 Vampiri d’Oro che rappresenta l’ultimo atto della collaborazione con la Hammer.
Hammer Horror: The Warner Bros Years non si occupa di fare una disanima critica delle varie pellicole prodotte dalla Hammer sotto l’egida della Warner, ma di sottolineare quanto la sopravvivenza di una casa di produzione che aveva cambiato la faccia del genere nel corso degli anni ’60, dipendesse dall’innovazione e dal sapersi adattare al cambiamento. In altri termini, non è tanto importante decretare con assoluta sicurezza se i film del periodo Warner fossero buoni (in gran parte lo erano, e anzi, quello che ho sempre ritenuto il capolavoro della Hammer è stato realizzato proprio in quegli anni: Distruggete Frankenstein), quanto rendersi conto dei vari tentativi di infondere nuova vita a un genere agonizzante come l’horror gotico.
Un’operazione che la Hammer aveva già eseguito, e con successo, un decennio prima, riprendendo i vecchi mostri Universal e dando loro una mano di vernice rossa, stabilendo un vero e proprio canone imitato in ogni parte del mondo: solo quantificare quello che la Hammer è stata in grado di apportare al genere per quel che riguarda l’uso dei colori e andare a rintracciare tutti i suoi epigoni, sarebbe un lavoro monumentale. Ma, senza girarci troppo intorno, la Hammer ha reinventato il gotico alla fine degli anni ’50, per poi vedersi superare a destra dal New Horror negli anni ’70.
È un documentario triste, questo di Hearn, perché racconta con dovizia di particolari la storia di un declino, ma anche quella di una nascita, l’alba dell’horror contemporaneo, che ha ripudiato le sue radici gotiche e che, da un lato diventava mainstream e, in un certo senso, d’autore, con L’Esorcista e Rosemary’s Baby, e dall’altro si lanciava alla conquista di un pubblico giovanissimo con produzioni indipendenti a basso budget, ruvide, sporche, specchi di una società in mutamento, come Non Aprite quella Porta e tutto ciò che ne sarebbe derivato.
La Hammer arrancava, tentando di assoldare attori e registi più giovani: ed ecco Caroline Munro, ecco il povero Reeves che avrebbe dovuto dirigere Crescendo, ma che è morto prima dell’inizio delle riprese, ecco il trentacinquenne Peter Sasdy che prova a inserire le dinamiche dello scontro generazionale in Taste the Blood of Dracula, ecco infine, l’ultima apparizione di Christopher Lee nei panni del vampiro più famoso della storia in The Satanic Rites of Dracula, che indulge quasi nell’autoparodia.
Più scene di nudo, più violenza, più sangue, più tematiche scabrose approfittando di una censura molto meno severa di quella odierna, che lasciava passare con una certa rilassatezza cose impensabili nel 2018, film che uscivano senza divieto e che oggi scatenerebbero sei o sette manifestazioni di mamme informate, porterebbero alla chiusura di case produzione e alla fine traumatica delle carriere di svariati registi. Questa era la formula della Hammer nei primi anni ’70. Purtroppo non ci si rendeva conto che non era sufficiente piazzare un po’ di sangue in un’inquadratura e un seno scoperto in un’altra per attirare un pubblico i cui gusti erano orientati altrove e che aveva anche iniziato a prendersi gioco dell’inconfondibile stile Hammer.
E dopotutto, come pretendeva la gloriosa ma ormai antica casa di produzione di scontrarsi ad armi pari con lo sfoggio di effetti speciali all’avanguardia del film di Friedkin? Di certo non poteva farlo grazie ai suoi set riciclati o ai suoi budget che di rado superavano il milione di dollari.
Nell’ambito del basso costo, invece, i rivali erano forse ancora più agguerriti: con tutto il suo fascino senza tempo, Christopher Lee con il mantello non poteva possedere la stessa carica da incubo di Leatherface con la sua motosega. Era una battaglia persa in partenza, quella del conservatorismo contro una rivoluzione che avrebbe fatto terra bruciata.
Se la Hammer ha significato qualcosa per la vostra formazione di spettatori e appassionati, questo documentario che ne racconta il canto del cigno vi delizierà. Se, al contrario, non avete mai visto un film targato Hammer, siete semplicemente capitati per caso nell’angolo della rete sbagliato e quella è la porta. Uscite senza far troppo rumore che poi mi si sveglia Dracula, grazie.
Questo me l’ero perso.
Grazie della segnalazione.
Ma davvero c’è qualcuno che nonha mai sentito parlere della Hammer?
Mio dio che mondo!
Proprio ieri, prima che io scrivessi questo articolo, un mio contatto ha pubblicato su FB la foto di Lee, Cushing e Price.
In tanti hanno commentato chiedendo a chi appartenessero quelle facce da “teschi” (cito testualmente).
Questo è un segno che la civiltà sta andando a rotoli.
Non ho parole, se non parole che non si possono ripetere in pubblico.
Sì, in effetti la Hammer l’ho sentita nominare qualche volta 😉 Dev’essere davvero un documentario interessante quello di Hearn anche se, lo ammetto, già mi prende una punta di malinconia… a maggior ragione inevitabile, credo, quando i ricordi corrono ancora una volta alle vecchie sale nelle quali hai avuto la fortuna di essere riuscito a vedere alcuni dei titoli citati nella fase Warner (come ad esempio il divertente ma assai sfortunato Luna Zero Due, tentativo di sci-fi troppo poco hammeriana per avere successo o seguito presso il pubblico di vecchia data).
Sempre a proposito di documentari, lo avevi già visto “100 years of horror” di Ted Newsom? Ha più di vent’anni sul groppone ormai, ma rimane sempre un’opera di alto livello. Nell’improbabile caso che ti mancasse all’appello, lo consiglio caldamente 😉
P.S. Tre titani come Lee, Cushing e Price ridotti al rango di sconosciute facce da “teschi”? Ma che mandria imbelle di coglioni ignoranti… 😦
Cushing chi? ….. a proposito di censura permissiva ( oddio, in Italia così così, chiedete a Pasolini ) , mi ricordo che da ragazzino , quindi anni ’70 , andavo a vedere queste prelibatezze nel cinemino parrocchiale a Padova ( DC al 50%…) e passava tutto sullo schermo …. secchiate di sangue, Caroline Munto ecc.ecc. ..bei tempi ….cheers ..
Munro….tastiera malefica …
Io mi sa che di quegli anni ho visto solo Dracula a.d. 1972, un po’ camp ma molto carino, con quelle concessioni a gore e SeSSo di cui hai parlato nel post. Il documentario sembra molto interessante anche se immagino spezzi un po’ il cuore…
Non sapevo di questo documentario! Cercherò di recuperarlo! Grazie 🙂
A proposito di documentari, conosci “The Frankenstein Complex”, dedicato ai più grandi creatori di mostri della storia del cinema? In Italia è passato negli ultimi mesi su Sky Arte con il titolo “Amabili mostri”, meriterebbe sicuramente un post.