Regia – Damien Leone (2017)
Il primo splatterone del 2018 arriva da una direzione inaspettata. E no, non è il quarto capitolo di Hatchet che prometteva chissà quali grandi cose e invece si è rivelato un gigantesco buco nell’acqua, dove persino gli omicidi più efferati peccavano di una realizzazione tecnica molto al di sotto anche degli standard del cinema a basso costo. E invece, grazie alla lungimirante distribuzione di Dread Central, che ha fatto uscire il film sia in poche sale selezionate sia in VOD e DVD, arriva a noi questo Terrifier, a cui non avrei dato una lira, conoscendo purtroppo il lavoro di Leone in quella roba imbarazzante che era All Hallows’Eve. Se però c’era una cosa buona, nella summenzionata accozzaglia di pessimi cortometraggi, quella era proprio Art il Clown, un personaggio perfetto per dar vita a una nuova saga e per diventare la prossima icona dell’horror contemporaneo, cosa di cui, date le varie fregature prese nel corso degli anni, avremmo anche un certo bisogno.
E infatti, Terrifier funziona proprio grazie alla sua presenza e alla scelta di elargire allo spettatore pochissime informazioni sul suo conto. È una figura sinistra che ti prende di mira senza una ragione e, quando ha deciso che tu sarai la sua prossima vittima, non c’è verso di sfuggirgli. Ha un look eccezionale e delle movenze dinoccolate (dovute alla fisicità dell’attore Mike Giannelli) che fanno davvero paura. Difficile disinnescarne la potenza o ridurlo a una macchietta.
Terrifier è ambientato durante la notte di Halloween e vede tre ragazze (e tutti quelli che si trovano in mezzo) perseguitate e fatte a brandelli da Art; è uno slasher a grado zero, quasi del tutto privo di trama o sviluppo psicologico dei personaggi; si svolge al massimo in un paio di location e in un lasso di tempo brevissimo. Parte forte, con una sequenza di mutilazione e omicidio che fa accapponare la pelle e prosegue addirittura in crescendo. Art è un campione di spietatezza e sadismo: come dicevamo prima, non ha un passato, non lo si può inquadrare, non ci si può venire a patti. È furia omicida pura e semplice e, a differenza di un Victor Crowley a caso (faccio il paragone perché Hatchet è stato lo splatterone slasher più visto e amato degli ultimi anni), non sta lì per farci ridere di omicidi talmente sopra le righe da diventare innocui o per farci individuare apparizioni di vecchie glorie e sfondare così la quarta parete.
In un certo senso, Terrifer riporta lo slasher a un’epoca precedente la consapevolezza autoreferenziale odierna, che ha reso il genere un divertente giro sulle giostre per spettatori smaliziati. È un’operazione già compiuta due anni fa da Mark Pavia nel suo Fender Bender, ma con meno sangue. Perché, se lo slasher di Pavia era di quelli stilizzati ed elegantoni facenti capo alla tradizione iniziata da Carpenter, Terrifier è invece un film che di elegante non ha proprio nulla, neanche la colonna sonora; è un film che si basa tutto sulla figura del suo killer e sull’efferatezza degli omicidi da lui compiuti. E il vostro gradimento dipende moltissimo da quanto troviate digeribile questo tipo di roba. Ovvero l’horror ridotto alla sua essenza più brutale e anche sempliciotta, se vogliamo. Insomma, l’antifona è quella dei vecchi Pieces, The Prowler, The Mutilator e via affettando, ma con quel minimo di contestualizzazione data dall’uso degli smarphone. Che poi è davvero l’unico elemento che ti fa capire di non essere nel 1987.
Anche la qualità degli effetti speciali, tutti rigorosamente dal vero (in teoria non andrebbe neppure sottolineato), è da nasty movie anni ’80: sono sporchi, trucidi, abietti e hanno in più quel tocco di realismo quasi da snuff tale da far rivoltare lo stomaco in qualche frangente. Certo, ogni tanto viene tradito il basso costo del film, ma vi assicuro che bisogna davvero farci caso, anche perché devo ammettere che Terrifier è, da questo punto di vista, montato molto meglio di tanti altri super gore in cui si preferisce persistere sul dettaglio fino a svelarne la finzione. Qui no, qui si stacca proprio un istante prima che l’effetto riveli la povertà della produzione. Il montaggio è opera dello stesso Damien Leone, che nasce come tecnico del make-up ed effetti speciali e quindi sa benissimo come sfruttare al massimo la resa visiva di una testa fracassata o di un arto tagliato senza mostrarne mai la natura posticcia.
A causa di tutta questa serie di dettagli, Terrifier è un successo e, non so voi, io avevo proprio bisogno che il 2018 mi regalasse un film di questo tipo, perché poi a forza di intellettualizzazioni si rischia di perdere di vista il lato viscerale dell’horror, quello di essere un genere agente del caos, tendenzialmente disprezzato dalle persone per bene che non reggerebbero neanche un minuto e mezzo di un film come Terrifier e, molto probabilmente, chiamerebbero la polizia per arrestare chiunque ammetta di godersi un buon omicidio ogni tanto.
Ma, più di tutto, sono da apprezzare la serietà e la dedizione messe da Leone nel realizzare questo film, perché – lo sappiamo bene – spesso i tentativi ultra-gore del cinema indie si risolvono in un pauperismo imbarazzante e in una tendenza al ridicolo che, anche quando è volontario, non fa ridere nessuno. Invece Terrifier si muove nella direzione opposta: il budget mi permette di avere un solo set (più un pezzo di strada e una tavola calda)? E io lo sfrutto al massimo delle mie possibilità, che comunque non sono moltissime, tramutandolo in un antro infernale, un labirinto da cui non c’è salvezza; gli attori (Giannelli escluso) sono per lo più materia da canile? E io li faccio recitare pochissimo, scrivo una sceneggiatura con tre dialoghi al massimo, evito a prescindere particolari irrilevanti come motivazioni o spessore e mi lancio in una corsa di pura macelleria lunga un’ora e venti, perché sono bravo con gli effetti di trucco e ho delle ottime idee per quanto riguarda omicidi raccapriccianti.
Si avvicinassero tutti all’horror con questa sincerità, e di sicuro avremmo meno spazzatura splatter su cui mettere le mani.
Bisogna ammettere, infatti, che una percentuale elevatissima di questa tipologia di film è da buttare, anche vergognandosi un po’ di averci perso del tempo. Ed è uno dei motivi che mi spingono a consigliarvi Terrifier, e anche ad avvisarvi di cosa vi troverete di fronte. Se amate il genere, è una cosa che non potete perdervi.
Ma pensa tu.
Io credevo che dopo All Hallow’s Eve Leone sarebbe finito a zappar terra, invece è uscito con qualcosa di cui state parlando bene tutti.
Detto questo, effettivamente Art il clown è un maledetto spauracchio che mi porto dietro dal 2014, in quanto negli ultimi minuti di AHE avevo seriamente rischiato l’infarto, quindi un film interamente dedicato all’abominevole ed ubiquo clown non so quanto riuscirei a guardarlo… magari al mattino, vah! XD
Leone è stato intelligente perché ha sfruttato il carisma di Art in maniera impeccabile. Io mi sono spaventata parecchio. Più nell’introduzione, devo dire, che poi nella mattanza vera e propria. C’è una sequenza ambientata in una tavola calda che mette davvero i nervi a dura prova.
Essendo facilmente impressionabile, mi sa che salto. Però mi piace moltissimo come idea e modo di far cinema.Nel senso: in questo genere conta la figura iconica del cattivo, mica ho amato Venerdì 13 per lo spessore dei personaggi, e il ritmo, le pause, l’attesa. Sopratutto un film con pessimi attori è una cosa davvero spiacevole. La pessima recitazione ti distrae. Qui da quanto ho capito si basa molto sulla fisicità della caccia alla prossima preda. Mi piace come idea
Il film precedente di codesto autore non l’avevo nemmeno sentito nominare. Tu ne hai parlato?
Non ne ho parlato perché era proprio bruttarello e, a parte Art il Clown, non c’era poi molto da dire. Però mi riservo di rivederlo, perché sono passati 4 anni e sono diventata meno spocchiosa 😀