Regia – Steven Spielberg (2018)
Premessa: non faccio parte della schiera di estimatori del romanzo di Cline. Credo si tratti di una enorme (per numero di pagine e quantità di citazioni presenti) captatio benevolentiae del variegato mondo nerd, in particolare quello dei videogiocatori, che oggi è diventato cultura dominante. Lo era un po’ meno nel 2010, quando il libro è stato pubblicato per la prima volta, ma non tanto, e il processo che ha portato tutta una serie di film, fumetti e videogiochi dall’essere marginali all’occupare l’intero orizzonte della cultura popolare ha impiegato un certo lasso di tempo; bastava essere lungimiranti per capire che aria stesse cominciando a tirare. Questo, non per fare alcuna colpa a Cline: il suo libro è divertente e, fatta salva la drammatica mancanza di spessore, si legge in un lampo nonostante la mole considerevole. È uno di quei libri che vanno bene per dei tediosi pomeriggi invernali, quando hai solo voglia di evadere e chiuderti in un guscio protettivo di ricordi d’infanzia.
Se c’era un solo regista, in tutto il mondo (e non ci sarà più uno come lui) in grado di prendere un romanzo del genere, migliorarlo in ogni aspetto e farne un film meraviglioso, quello era Spielberg. Ricordiamo, così, accidentalmente, che Spielberg è tra i principali inventori, sia in veste di regista sia di produttore, del patrimonio culturale presente nel romanzo di Cline. Insomma, tutta la roba anni ’80 che oggi ci piace citare è nata con lui e grazie a lui.
E davvero, sarebbe stato semplicissimo, per uno come Spielberg (che, ricordiamolo, molti di voi definiscono bollito), mettersi lì e ricalcare il romanzo, infarcire il tutto di nerdate sparse e tornare a casa con il compitino ben fatto. Dopotutto parliamo di un uomo di settant’anni. Ma chi cazzo glielo fa fare?
E invece no: Spielberg (aiutato, è vero, dallo stesso Cline in sceneggiatura, che otto anni dopo sarà maturato pure lui) ha modificato nel profondo il testo da cui il suo film è tratto; ha cambiato la storia, ha spostato l’ambientazione, che nel libro era quasi interamente su Oasis, almeno per il cinquanta per cento nel mondo reale; ha dato delle motivazioni verosimili ai personaggi, rendendo il ragazzotto protagonista non solo sopportabile (cosa che nel romanzo non è), ma uno a cui riesce facile affezionarsi; ha fatto un lavoro importante sui due “adulti buoni”, ovvero Halliday e Morrow, non perché ha affidato i loro ruoli a due attori mostruosi come Mark Rylance e Simon Pegg, ma perché, pur centellinando le loro apparizioni all’interno di una storia che appartiene ai ragazzi, li ha fatti diventare due figure quasi tragiche; ha, infine, gettato al gabinetto (e tirato lo sciacquone cinque o sei volte, non si sa mai) una buona metà delle missioni compiute da Parzival all’interno di Oasis, strutturandone di nuove, che hanno un respiro più cinematografico e non rappresentano soltanto la messa in pratica delle fantasie di un nerd. Anzi, una di esse non ha proprio nulla a che spartire con la cultura nerd, ma è un omaggio a un amico defunto e a un gigante della storia del cinema. E non vi dico altro, neanche sotto tortura. A parte che non è solo la scena più bella del film, è anche una delle sequenze più belle del cinema contemporaneo.
Ma cerchiamo di andare a fondo e di capire perché Ready Player One non sia una semplice storiella edificante su un gruppo di ragazzi che deve vincere una gara per impadronirsi della onnicomprensiva simulazione chiamata Oasis, sottraendola ai cattivoni della IOI, che vogliono metterci la pubblicità e operare una sorta di divisione in classi degli account a seconda di quanto paghino.
Ready Player One parla di un mondo futuro (2045) in cui i punti di riferimento culturali sono rimasti gli stessi da quasi mezzo secolo. In pratica, è una cultura morta alla fine degli anni ’90. Tutto il resto è da un lato ripetizione, dall’altro avanzamento tecnologico, che è l’unica novità realmente tangibile in un contesto che somiglia fin troppo alla nostra realtà contemporanea. Dopotutto, è pur sempre una distopia, seppure (e per fortuna, dico io) ottimista, e non può discostarsi più di tanto da ciò che viviamo noi oggi.
La cosa buffa è che questa società culturalmente morta, tecnologicamente molto avanzata, ma con degli abissi di differenza economica tra chi ha i soldi e chi, al massimo, può vivere in un furgone o in una catasta di case pericolante, l’hanno costruita i nerd, ovvero la generazione cresciuta a pane e cultura anni ’80 che, nel 2045 avrà circa l’età che ha Spielberg adesso e che potrà essere considerata pienamente responsabile di come sono andate in vacca le cose.
Poi esiste la grande livellatrice che no, non è la morte, ma è Oasis, dove non conta affatto la tua condizione sociale ed economica nel mondo reale, ma soltanto le tue abilità di giocatore. Ed è per salvare questa possibilità di partire tutti dagli stessi blocchi di partenza, di non essere azzoppati e penalizzati ancora prima che tutto cominci (come tuttavia accade nella vita quotidiana), che agiscono i nostri eroi.
Ma Spielberg, che lavora sempre a più strati, trasporta questa rivoluzione anche nel mondo concreto, la fa uscire da Oasis e la fa dilagare nelle strade, senza voler assolutamente criticare l’esistenza stessa di Oasis, ma al contrario, dandole un valore enorme, un luogo dove ci si incontra, ci si ama, si fanno scoperte, si combatte per migliorare le cose. Ready Player One abbatte così la dicotomia tra vita reale e vita virtuale e, se vi aspettate un film che sia il corrispettivo di quegli orrendi meme che girano sui social (in contraddizione stridente) su quanto si stava meglio quando i nostri figli giocavano all’aperto invece di stare tutto il giorno attaccati a uno schermo, signora mia, resterete delusi. Ready Player One propone una felice armonia tra le due cose, stabilita all’insegna della giustizia sociale. E forse proprio da lì si dovrà ripartire per tornare a creare dei contenuti originali, mettendo fine al citazionismo spinto che non produce niente, se non la stanca ripetizione di un passato mai vissuto e quindi idealizzato.
Questo non vuol dire che il film non abbondi di citazioni e riferimenti al cinema, alla narrativa, ai fumetti e ai videogiochi: ce ne sono a pacchi e andrebbe visto almeno tre o quattro volte per individuarne almeno la metà, anche perché nelle scene di massa è praticamente impossibile, persino per un occhio allenato, non perdersi in mezzo alla quantità incredibile di personaggi, veicoli e costumi che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo, anche di chi quel tipo di cultura la mastica poco o non la mastica affatto: ogni genere e sottogenere del fantastico viene affrontato, horror (occhio alla presenza di tre icone fondamentali), fantascienza, fantasy, a volte all’interno di un unico personaggio che appare per pochi secondi e può racchiudere in un’unica inquadratura cinque o sei riferimenti diversi ad altrettanti film o videogiochi. Manca, per motivi di diritti non concessi (avidi bastardi) tutto l’universo Disney, e quindi anche quello di Star Wars e della Marvel, ma non se ne sente la mancanza più di tanto, perché c’è tutto il resto.
Eppure, al di là del divertimento, della fitta di nostalgia che si prova a riconoscere questo o quel caposaldo della nostra infanzia, di quel sentirsi parte di una setta (che però non è più tale) capendo una citazione particolarmente difficile o particolarmente ben nascosta, Spielberg non perde mai di vista il fatto di star raccontando una storia che ha al centro degli esseri umani.
Ed è questa la differenza sostanziale tra il romanzo e il film: da una parte c’è una specie di lista della spesa di un nerd, dall’altra c’è una storia strutturata e ben narrata.
Tecnicamente, siamo di fronte a un pezzo di cinema contemporaneo di assoluto splendore: girato con un misto di pellicola (le scene nel mondo reale) e di digitale (quelle su Oasis), Ready Player One rappresenta il culmine del progresso tecnologico applicato al cinema. Non c’è un solo istante che sembri posticcio, siamo alla perfezione dell’effetto speciale, a un modo di fare film dove, proprio come su Oasis, l’unico limite è quello della nostra immaginazione.
E, voi lo sapete, l’immaginazione di Spielberg non ha confini, come del resto non li ha la sua capacità di messa in scena. Basterebbe solo la gara automobilistica che apre il film (occhio a un’autocitazione da cadere in ginocchio a piangere) per mandare a casa metà dei colleghi di Spielberg che operano in questo stesso settore: a parte la già citata e strabiliante resa del vfx, ci sono una serie di invenzioni visive, soluzioni cinematografiche, inquadrature “impossibili”, movimenti di macchina da perdere la testa. Una sequenza che andrebbe scomposta piano per piano e studiata tracciando tutti i singoli movimenti della MdP e forse non si riuscirebbe a replicare.
E poi state attenti al modo in cui il film è montato, alle transizioni tra Oasis e il mondo, che a un certo punto diventano frenetiche e rapidissime; fate caso ai piani sequenza invisibili tipici di Spielberg, perché ce ne sono a perdita d’occhio.
Insomma, mi piacerebbe tanto essere bollita come il mio padre putativo Spilby, che in un solo anno, tira fuori un “piccolo” film d’autore come The Post e un blockbuster magnifico come questo.
Ultimo messaggio per i detrattori: Spielberg non è tornato, Spielberg non se ne è mai andato e siete voi a essere troppo ottusi e ignoranti per accorgervene.
Era quello che speravo di leggere.. Mi precipito al cinema prima di commentare!
Poi fammi sapere!
Madonna, novantaMILA minuti di applausi, concordo con ogni virgola, soprattutto sul fatto che ci voleva Spielberg a far maturare un personaggio odioso e piatto come quello di Parzival. A me il libro è piaciuto ma, Cristo, ogni due righe insultavo il protagonista. Qui invece gli ho voluto bene fin da subito!
SPOILERISSIMO
Nel momento Shining ho rischiato di mettermi a piangere, l’uso improprio di Chucky mi ha stesa, sembravo una bimbaminchia scema.
Ma anche a me il libro non è dispiaciuto, solo che penso non abbia un briciolo di spessore. Ciò non toglie che lo abbia letto in 3 giorni (avevo la febbre :D) e mi sia divertita un mondo a farlo. Qui siamo su un altro livello.
Oh, Chucky ❤
Consigli visione in 2D o 3D? Ovvero il 3D è nativo in (alla Avatar) o è appiccicato con la saliva in post produzione?
Sono scottato dalle troppe fregature tridimensionali!
Io l’ho visto in 2D perché il 3D mi fa venire la sinusite 😀
Però credo che a vederlo in 3D ci guadagni.
Grazie! (y)
L’emicrania è una conseguenza frequente, dissuade ancor prima dei 3D posticci.
Da quando questa tecnologia è in circolazione, il mal di testa collaterale si è ripagato solo con Avatar e Coraline.
Daje daje fortissimo, non vedo l’ora di vederlo! E se mi tocca sentire di nuovo dire che Lincoln e il Ponte delle spie erano film noiosi non mi ritengo responsabile delle mie azioni. (Off topic brusco: hai iniziato a vedere The Terror, tratta da Dan Simmons?)
La sto vedendo e come! il romanzo è uno dei miei preferiti in assoluto!
Marò, l’autocitazione mi ha colpita dritta dritta al cuore. ❤
Io stavo piangendo ❤
Temevo tantissimo uno spettacolare quanto arido accumulo di citazioni per gare tra nerd e invece, se capisco bene, c’è speranza. Grazie.
Diciamo che la componente “accumulo di citazioni” c’è, non lo si può negare. Il libro è quel che è, dopotutto. Però sono inserite sempre con una certo senso della misura e non sono il centro del film, ecco.
Grazie a te!
E meno male che Spielberg sarebbe bollito (razza di stronzi)! 😀
Alla tua impeccabile recensione aggiungo solo una piccola curiosità riguardo al Gigante di Ferro: oltre agli avidi bastardi di cui sopra (causa dell’assenza di Jedi e supereroi) ci sarebbero stati problemi simili pure con il Sol Levante, altrimenti avremmo potuto vedere in azione il mitico Ultraman -“adottato” massicciamente sulla carta da Cline- al posto della creatura di Brad Bird 😉
P.S. Buona Pasqua, eh!
Però sai, il Gigante di Ferro è una creatura straordinaria e la fine che fa permette di citare un altro film epico 😀 Quindi dai, ci accontentiamo no?
Buona Pasqua anche a te!
Ci accontentiamo eccome (il Gigante di Ferro, poi, non è certo meno mitico dei tanti suoi colleghi), ci accontentiamo 😉
Proprio ora ho finito di pubblicare il mio articolo su Ready Player One e sono venuto di corsa a leggere il tuo articolo. Mi fa piacere pensarla allo stesso modo. Spielberg ha dimostratoa tutti di saperci fare ancora una volta! E comunque riguardo la citazione fatta al suo amico… quello è uno dei tributi più belli che io abbia mai visto.
Sì, quella è una delle sequenze più belle della storia del cinema e chi dice il contrario è un Sixter 😀
Comincia ad essere inquietante: ieri abbiamo di nuovo visto lo stesso film!
Tocca andare al cinema insieme!
👍
Come spesso ci succede riguardo all’ultimo Spielby, siamo in disaccordo.
Non tanto sul piano visuale, assolutamente maestoso, ma riguardo a tutto ciò che sta sotto questa splendida superficie: dal mio punto di vista, il completo nulla emotivo. Il riferimento che fai alla “giustiza sociale” non l’ho proprio capito: essa consiste nel fatto che se sei povero, è la tua abilità nel gioco a rendere la società più giusta? Giuro che non ho capito…
Se hai la pazienza di leggerla, ti copio&incollo la mia rece:
Per quanto strano possa sembrare, Spielberg prova, con Ready Player One, a girare il “suo” Hugo Cabret, un omaggio alla magia del cinema; ma ove il film di Scorsese faceva riferimento agli albori della settima arte, Spielberg sceglie un futuro prossimo ancora permeato però dall’immaginario 80ies (cinematografico, musicale, videoludico).
E’ impossibile rimanere freddi di fronte ad un cotale tripudio di fantasia pop, con il buon T-Rex e King Kong ad incrociarti per strada, la possibilità di entrare all’interno di The Shining o di guidare il Gigante di Ferro in battaglia. Così come è impossibile non agitarsi sulla sedia durante le scene più propriamente action, gestite con una pulizia realizzativa che permette allo spettatore di godersi ogni singolo istante senza avere la sensazione di stare subendo un martirio sensoriale.
Grattando sotto la splendida e levigata superficie, però, si avverte la volontà di Spielberg di rinunciare a qualsiasi elemento non riconducibile al puro intrattenimento, proponendo il consueto banale manicheismo “uomo comune buono-corporazione cattiva” (anche se il deus ex machina Halliday rappresenta il lato umano delle corporations, perchè per Spielberg bisogna dare sempre un colpo al cerchio e uno alla botte), preferendo alla lotta nel mondo reale l’infantile gioco di ruolo che lo ha soppiantato (metaforone della i-phone generation odierna?) e concendendosi parentesi mielose che, a conti fatti, sono diventate la parte più riconoscibile della sua poetica.
Se dal punto di vista visuale Ready Player One è indubbiamente grande Cinema, è altresì un allarmante esempio di prodotto di intrattenimento trasversale (perchè in grado di solleticare dagli under 14 ai cinquantenni cresciuti con i primi videogiochi) creato apposta per non scontentare nessuno, una celebrazione indiretta dello status quo e del perdersi nel mondo virtuale: il cinema di Spielberg, lungi dal volere rappresentare (e tantomeno mettere in discussione) la realtà, sembra inequivocabilmente volto a celebrare l’evasione da essa come unica possibilità di sopravvivenza.
io l’ho ritenuto il suo nuovo Jurassic Park, un giocattolone visivamente maestoso e, per certi versi, avanguardistico….ma con diverse ingenuità di scrittura e un finale contraddittorio e un po democristiano
Visto ieri, devo ancora riprendermi, sia dal film che da una, scusa il francesismo, stronza che stava sulla poltrona dietro la mia, che a quanto pare non le era ben chiaro di trovarsi di fronte a una fatascienza per ragazzi e non ad “Arrival” di Villeneuve. Alla fine del primo tempo parlava con il vicino della carenza riguardo la critica sociopolitica del film e al metodo per fare bitcoin. Roba da mandarla fuori dalla sala a pedate in culo e non si tratta di non rispettare le opinioni altrui, ma della mia bassa tolleranza alle stronzate sparate con arroganza. Premesso questo, il mio stato passava da “Oh mio Dio” a ” Seeeee Ciaoooo”. Capiamoci, potrà non piacere, si può asserire che la storia non è nulla di così profondo (ma lo è, solo che bisogna anche saper guardare), ma su una cosa difficilmente non si può concordare: “Ready player one” è un blockbuster che viene dal futuro, al punto che per i prossimi dieci anni tutti, Marvel in primis purtroppo per lei, dovranno confrontarsi con l’operato registi di Spielberg. Questo suo ultimo film raggiugne nuove vette di inventiva visiva che solamente un cieco può permettersi di non vedere, tu citi la gara automobilistica, ma anche il “semplice” incontro in discoteca è di una maestria ed eleganza da far lacrimare gli occhi. Poi ci sarebbe da affrontare il fatto che Spielberg riesce a trasformare in cinema citazioni che altri registi avrebbero sfruttato come puro abbellimento. Meriterebbe un discorso a parte lo score composto da Alan Silvestri (e ammetto che quando verso la fine ho sentito le note di un preciso film, quando sono arrivato a casa ho preso il cofanetto della saga e inserito il terzo capitolo per rivedermelo). “Ready player one” è così denso e immenso che si dovrebbbe parlarne per ore e chi si ferma al blando conteggio di citazioni, o alla ricerca dei buchi di sceneggiatura, perchè ci sono mica è esente da difetti, non si godrà mai a pieno uno, anzi, lo spettacolo visivo migliore degli ultimi dieci anni.
[…] P.S: Come sempre, potete leggere anche come la vedono su questo film il buon Doc Manhattan, gli amici Cassidy e Lucia […]