Regia – John Hough (1980)
L’ultimo post del blog prima di Natale voglio dedicarlo a quella volta in cui la Disney provò a fare un horror. E non un horror quasi accidentale, come Return to Oz, o un horror malgrado la Disney, come Qualcosa di Sinistro sta per Accadere, ma un horror per precisa ed espressa volontà della Disney stessa: “Potrebbe essere il nostro L’Esorcista” disse il produttore Tom Leetch a Ron Miller, allora presidente della Walt Disney Company, quando gli propose un adattamento del romanzo A Watcher in the Woods, di Florence Engel Randall.
Leggere un’affermazione del genere e collegarla alla Disney fa un certo effetto, risulta quasi incomprensibile che la casa di produzione famosa per i film d’animazione e, anche quando non d’animazione, destinati a un pubblico giovanissimo, avesse la necessità di realizzare un proprio equivalente de L’Esorcista.
E invece non era proprio così, e non era neanche la prima volta che la Disney tentava un approccio più adulto al fantastico: era già accaduto due volte, nel 1975 e nel 1978, con Incredibile Viaggio Verso l’Ignoto e relativo seguito, entrambi diretti proprio da Hough. Solo che quei film erano sostanzialmente delle avventure fantascientifiche con dei cattivi che facevano paura, soprattutto perché interpretati da gente come Donald Pleasance, Ray Milland, Christopher Lee e Bette Davis, e dei protagonisti bambini sottoposti a uno stress non indifferente. Niente di nuovo nel mondo Disney.
Nel caso de Gli Occhi del Parco (per una volta tanto, un applauso al titolo italiano) abbiamo il fenomeno quasi soprannaturale della Disney che prende e decide che sì, forse un film dell’orrore non sarebbe stato un’idea poi così malvagia.
Film dell’orrore che, per tutta una serie di circostanze, è uscito fuori molto meno potente di quello che avrebbe potuto essere e che, da un certo punto di vista, era.
L’horror per ragazzi è tra i generi più difficili al mondo, perché presenta delle problematiche che vanno risolte a botte di equilibrismi, e non sempre si riesce a restare in bilico tra la sacrosanta esigenza di spaventare e quella, altrettanto importante, di non essere eccessivi, tenendo presente l’età del pubblico cui ti stai rivolgendo. Come in esempi già fatti prima, spesso il risultato è quasi involontario oppure la materia è già così perturbante di suo, che anche edulcorandola il più possibile, il risultato finale resta comunque da incubo.
Non è questo il caso de Gli Occhi del Parco, che de L’Esorcista non può neppure essere considerato un lontano parente e che soffre di un paradosso tipicamente disneyano: prova con tutte le sue forze a essere adulto, ma si vede che qualcuno gli ha bloccato la crescita.
Alcuni film, come dice spesso il mio amico Davide, sono interessanti più per i loro processi produttivi che per il loro effettivo valore. Gli Occhi del Parco è uno di questi: un’operazione costruita a tavolino che, in linea del tutto teorica, doveva garantire alla Disney dei primi anni ’80 di far presa sui ragazzini svezzati con i loro film e che, nel frattempo, erano diventati adolescenti. Non pensate al colosso che la Disney è oggi, con le varie acquisizioni dei marchi e il monopolio pressoché totale dell’intrattenimento su scala globale. La Disney a cavallo tra anni ’70 e ’80 era una bestia molto diversa, non in prominenza assoluta sugli altri studios e anche un po’ in difficoltà perché incapace di adeguarsi ai cambiamenti enormi che il cinema stava vivendo, e la società con lui. C’era quindi un disperato bisogno di una svolta e questa fu individuata in lungometraggi non d’animazione rivolti a spettatori più grandi e smaliziati.
A dirigere il film c’era l’usato sicuro di John Hough, un professionista impeccabile, solidissimo, grondante classe british e avvezzo alle atmosfere cupe e, soprattutto, alle case infestate. Ma il povero Hough, che con la Disney aveva già lavorato, non poteva farci molto con la schizofrenia dello studio.
La sceneggiatura de Gli Occhi del Parco è stata rimaneggiata da non si sa quante persone e queste infinite revisioni avevano un solo motivo: era troppo dark, troppo spaventosa. Il materiale di partenza fornito dal romanzo viene alleggerito il più possibile, e il finale completamente stravolto e sostituito con uno più digeribile.
Ma questo non è ancora abbastanza.
Ron Miller è presente sul set quasi ogni giorno e bada personalmente a che molte scene, sulla carta piene di inquietudine, vengano abbassate di tono in sede di ripresa, entrando spesso in contrasto con il produttore Leetch e con lo stesso Hough che già deve tenere testa a Bette Davis e convincerla che non può interpretare il suo stesso personaggio trentenne, neanche con dosi abbondanti di trucco e portare il film a casa entro una certa data, per festeggiare i cinquant’anni di carriera dell’attrice.
Per fortuna, alla Davis basta visionare un paio di giornalieri per rendersi conto che, per i flashback, è fondamentale chiamare una donna più giovane. Purtroppo, la Disney dimostra di avere una lungimiranza ben scarsa: per rispettare i tempi strettissimi dovuti al cinquantennale, scelgono di segare tutta l’ultima sequenza del film e rigirarla senza effetti speciali, perché quelli richiesti non sarebbero mai stati pronti in tempo.
Il film esce in distribuzione limitata nel 1980, viene macellato dalla critica e snobbato dal pubblico. E così la Disney lo ritira dalle sale, licenzia Hough, chiama altri sceneggiatori (pare che a un certo punto ci fossero centinaia di finali possibili per Gli Occhi del Parco) e il regista televisivo Vincent McEveety, non accreditato, per raddrizzare un film in cui tutto era andato storto.
Star qui a elencare tutti i finali, quelli che avrebbero dovuto essere girati, quelli che sono stati girati solo in parte e poi tagliati, quelli che sono effettivamente finiti in sala nel corso di quella prima, sciaguratissima distribuzione, e quello definitivo che tutti abbiamo visto, non è poi così importante. Di sicuro il finale previsto nella sceneggiatura originale aveva una marcia in più rispetto a quello, piuttosto piatto, che è stato usato al suo posto e che pare arrivare dal nulla ed essere attaccato in coda al film senza la minima costruzione narrativa, come in effetti è accaduto.
Ciò che però è davvero interessante, in tutta questa storiaccia, è la qualità tutto sommato alta de Gli Occhi del Parco, nonostante il disastro avvenuto nel corso della sua intera lavorazione.
È un film recitato da cani (se si esclude Bette Davis, che però inserisce l’attrice automatica), con le due sorelline protagoniste che passano un’ora e venti a strillare, come se fossero in uno stato di panico perenne, anche quando non c’è alcun motivo per cui aver paura; è un film sconnesso, dove i personaggi appaiono e scompaiono dalla scena quasi ci fossero botole nascoste nelle location, dove la vicenda ha un ritmo febbricitante, ma non voluto, non strutturato, delirante sul serio, ed evidentemente dovuto ai tagli subiti sia in sede di scrittura che di montaggio; un film che, al di là di tutto questo, se visto all’età giusta fa un certo effetto, ti fa entrare in un mondo oscuro e incantato.
Il merito è da attribuire a due fattori: le location sinistre utilizzate (si vede persino Hill House e molti set sono gli stessi di The Haunting) e la regia di Hough, che supplisce alle carenze recitative e alla sceneggiatura monca con la costruzione di un crescendo di misteri mai del tutto svelati, ma che creano un’atmosfera che avrà turbato i sonni di più di un bambino: la sequenza del rito di iniziazione che rimanda, senza essere troppo esplicita, a una ritualità occulta e pagana; quella dello scampato annegamento della protagonista in una pozza d’acqua; le varie apparizioni di uno strano individuo che vive in una catapecchia in mezzo al bosco con un gatto nero e un corvo; c’è persino spazio per una gara di motociclette con premonizione allegata che ricorda vagamente Final Destination.
Insomma, tante cose belle, immerse però in uno stagno di indecisione, timidezza e pudore.
E così si cresce e quello che da piccoli ci era sembrato agghiacciante ci appare come ridicolo. Succede, con gli spauracchi dell’infanzia e succede, a maggior ragione, con l’horror per ragazzi, genere di cui Gli Occhi del Parco è uno dei primi esemplari, se non il primo in assoluto, almeno per quanto riguarda il grande schermo. La cosa interessante è che ha inaugurato una formula che viene sfruttata ancora oggi, quella che poi sarebbe passata alla storia come “horror disneyano”, definizione usata di solito storcendo il nasino per riferirsi a campioni di incassi come Poltergeist.
Da un’idea tutto sommato campata in aria, nasce un filone intero, prolifico a con delle vette artistiche di un certo peso. Con tutti i suoi limiti, è un capostipite ed è adattissimo alla notte di Natale.
accipicchia che produzione travagliata! mi si stringe sempre un po’ il cuore al pensiero di tutti quei film che, per voleri “superiori”, sono stati macellati e snaturati, come in questo caso. tanto lavoro iniziale, magari ottimo, gettato alle ortiche. detto ciò, lo recupererò comunque 🙂 mi hai incuriosita non poco 🙂
Sì, prova a recuperarlo e vedi se ti ipnotizza, perché a me ha fatto questo effetto, anche se è pieno di limiti.
Complimenti, bell’articolo.
Gli occhi del parco è uno dei film della mia infanzia (assieme ai vari Ritorno ad Oz, Qualcosa di sinistro sta per accadere e Il drago del lago di fuoco) e lo ricordo proprio per lo stesso effetto che fece a te.
Di recente è stato editato in Dvd in America con i 2 finali alternativi originali negli extra che cambiarono in favore di quello più soft, si possono trovare su YouTube. Sono davvero interessanti e molto più fantascientifici di quello che conosciamo. È un peccato che la Disney abbia buttato tutto alle ortiche per la paura di osare troppo.
Consiglio a tutti di vederli.
È una vita che non lo vedo – come tutto ciò che è Disney ma non troppo, sembra quasi che la casa se ne vergogni.
L’ho visto a tredici anni, credo in autunno: non faceva affatto paura, ma aveva atmosfera 🙂
A tredici anni sei già grandicello per aver paura de Gli Occhi del Parco. Se lo vedi alle elementari, soprattutto un paio di sequenze, rischia di rimanerti molto più impresso.
La Disney ha un po’ rinnegato quello che ha fatto nel periodo a cavallo tra i ’70 e gli ’80. Non è stato un momento facile, per loro.
A sette anni ho visto Poltergeist e mi aveva terrorizzato… forse avrei avuto gli anticorpi, contro Gli occhi del parco. O forse no, ma sarebbe già materia per la fantascienza sui mondi paralleli 😛
Un film davvero travagliato dalle ambizioni inespresse e irrealizzate: oggi come oggi lo potrei definire un affascinante se pur blando fanta-horror all’apparenza quasi senza capo né coda… sottolineo “quasi” perché quello che avrebbe potuto diventare qua e là si intravede ancora e, combinando il tutto con un pizzico di sano effetto nostalgia, direi anch’io che una visione natalizia la merita certamente. E visto che è l’ultimo post prima di Natale, allora BUON NATALE a te da questo tuo vecchio, scalcinato e fedele commentatore 🙂 ❤
Buon Natale a a te e, come sempre, grazie per esserci ❤
L’anno precedente Disney aveva fatto lo stesso tonfo – e probabilmente per gli stessi motivi – con “The Black Hole”, che avrebbe dovuto essere il “Guerre Stellari” della House of Mouse. Il che è abbastanza ironico, visti i risvolti recenti.
Il problema era probabilmente proprio la decisione di voler fare “il [mettici il titolo che ti pare] della Disney” – una mentalità sbagliata, perché i gusti del pubblico andrebbero anticipati, non inseguiti.
Non me lo ricordavo, comunque, questo – nonostante la presenza della Davis.
Grazie del recupero, e Buon Natale.
Sì, me lo ricordo The Black Hole e credo sia su Netflix proprio in questo periodo.
Il problema della Disney in quel periodo era proprio la mancanza di un’identità, che l’ha portata a cercare disperatamente di accalappiare il pubblico altrui.
Poi hanno pensato che comprarselo direttamente fosse un’idea migliore 😀
Buon Natale a te 🙂
Quest’anno, non avendolo mai visto – mea culpa – il mio film di Natale sarà Ammazza vampiri. Che ne dici, può andare? In ogni caso molti auguri.
Io credo sia perfetto per una bella serata natalizia 🙂
Tanti auguri anche a te!
Questo è uno dei film Disney che da bambino mi aveva davvero inquietato (assieme agli altri citati dall’articolo Qualcosa di sinistro sta per accadere e Ritorno ad Oz) e proprio per questo lo ricordo con piacere. Ho ancora la VHS che è l’unica edizione che è uscita in Italia.
Peccato che abbiano tolto il finale originale che era molto più fantascientifico e anche horrorifico per l’epoca, spiegava la soluzione del film in maniera molto più intrigante ed era visivamente più interessante.