Baby Driver

 Regia – Edgar Wright (2017)

Non so se ve l’ho mai detto, ma a me i film infarciti di musica dall’inizio alla fine non sono mai piaciuti più di tanto. E non perché, come dice un losco figuro, di cui non voglio fare il nome e di cui non linkerò mai l’articolo, nella sua recensione di Dunkirk, un bravo regista è in grado di fare a meno della musica. No, io ho delle ragioni più prosaiche: l’eccesso di musica mi distrae e mi tira fuori dal film. È ovvio che la musica sia uno degli elementi di un film più adatto a manipolare le emozioni e farne a meno è spesso un gesto radicale e coraggioso, ma questo farne a meno deve avere un senso (ce l’ha in Silence, di Scorsese), come anche riempire il proprio film di musica, dall’inizio alla fine, deve avere una motivazione ben precisa. O una scusa in cui lo spettatore possa credere.
Baby Driver, l’ultimo film di Wright, atteso dalla sottoscritta per mesi, dato che altrove è uscito all’inizio dell’estate, è pieno, zeppo, strabordante di musica e non c’è una sola sequenza che ne sia del tutto priva. È quasi tutta musica di repertorio (scelte interessanti, mai scontate, da intenditore) ed è onnipresente.
Parto da questa considerazione perché mi aiuta a definire sia il genere di appartenenza di Baby Driver sia la sua parentela con la filmografia di Walter Hill: Baby Driver è scritto, girato, coreografato e montato come un musical, anche se nessuno canta (quasi nessuno, dai) e, per fortuna, i dialoghi non sono mai presentati nella forma canzone.

Però, esattamente come i musical, è un film la cui struttura si posa sulla colonna sonora, le cui scene sono state concepite avendo in mente dei pezzi musical ben precisi e poi dirette e, ancora in seguito assemblate in moviola, al ritmo di quei pezzi: inseguimenti, a piedi e in macchina, sparatorie, rapine, o anche semplici passeggiate del protagonista Baby dalla caffetteria all’ufficio del boss per cui lavora, sono stati orchestrati da Wright come altrettanti balletti. In questo senso, Baby Driver è un’opera molto originale, innovativa quasi, nonostante abbia comunque dei precedenti: mi viene in mente il Romeo + Juliet di Luhrmann, che aveva un’impostazione in qualche modo analoga.
Eppure, anche i precedenti non possono vantare la perfezione del meccanismo ritmico del film di Wright, una perfezione raggiunta dopo tanti film che si muovevano comunque in quella direzione, a partire dalla scena famosissima di Don’t Stop me Now in Shaun of the Dead, fino ad arrivare alla rissa nel pub con gli alieni in The World’s End. Ma ce ne sarebbero a bizzeffe di esempi calzanti su come Wright ha sempre utilizzato la musica nei suoi film e come è sempre stato eccezionale quando si trattava di cucire una sequenza su una canzone.
Nel caso di Baby Driver, tuttavia, è l’intero film ad avere questa struttura.

Il che ci rimanda a Walter Hill, non tanto a quello che ci viene in mente automaticamente quando leggiamo il titolo del film di Wright: Driver e Baby Driver non hanno poi molto in comune, come sottolinea anche Fausto nella sua recensione. Certo che il secondo è una citazione diretta del primo, ma è un accostamento superficiale, quasi di maniera. Protagonisti tendenti al mutismo, bravissimi a guidare, invischiati in trame criminali più grandi di loro. In realtà, Baby Driver ha molto più in comune con I Guerrieri della Notte e con Strade di Fuoco che con Driver, e quindi è assimilabile ai film più sperimentali di Hill, quelli dove la musica assumeva un ruolo preponderante e dove combattimenti e sparatorie erano coreografati come i numeri di un musical.
Come vedete, torna tutto. Poi è vero: lo stile di Wright, così funambolico e sopra le righe, è diversissimo da quello di Hill, ma non ve lo devo dire io. Dovreste saperlo benissimo da soli.

Ma ricordo così, di sfuggita, che Hill è stato tra i primi a usare la musica di repertorio non solo come accompagnamento diegetico alle immagini, ma come tappeto sonoro che dava tutto un altro significato alle scene. Lo ha fatto inizialmente proprio con I Guerrieri della Notte, quando la musica della radio diventava il cuore pulsante della fuga dei protagonisti. E infatti Wright cita proprio il brano Nowhere to Run, una delle colonne portanti della musica del film di Hill.
Sempre Hill è stato uno dei pionieri della contaminazione tra linguaggio cinematografico e linguaggio del videoclip (che all’epoca di Strade di Fuoco stava appena nascendo), contaminazione che oggi non fa più effetto a nessuno, tanto è entrata a far parte del cinema, e neanche è più lecito chiamarla contaminazione. E allora Wright che fa? Fa riappropriare il cinema della sua dimensione musicale, crea un musical senza parole, tutto fatto di immagini e dove ogni gesto, ogni chiusura di sportello, ogni sparo sono montati in perfetta sincronia con le battute della canzone che in quel momento Baby sta ascoltando.
La giustificazione narrativa, per alcuni poco solida, per la sottoscritta impeccabile, della presenza quasi ossessiva della musica nel film è data dalla patologia di cui Baby soffre, l’acufene, un problema all’udito che consiste nel sentire un fischio continuo. Per metterlo a tacere, Baby non si separa mai dalle sue cuffiette e dalla sua collezione di I-Pod, ognuno con una playlist diversa a seconda dello stato d’animo del momento.

Ma anche senza condividere il suo stesso problema, l’idea di muoversi a tempo di musica, di plasmare il mondo che ci circonda al ritmo delle canzoni che ascoltiamo, è una cosa di immediata e facile identificazione. Quasi tutti i giorni, anche noi ci facciamo i nostri musical in testa. Io per prima, in bicicletta, non mi separo mai dalle cuffie e la percezione di ciò che ho intorno cambia, proprio grazie alla musica.
E qui spunta un’altra caratteristica in comune con il cinema di Hill: la componente fantastica. Solo apparentemente, infatti, Baby Driver è una prima incursione di Wright nei territori del cinema più realistico, un film di inseguimenti e di rapine. Ma Wright, un film realistico, in vita sua non lo ha mai fatto e Baby Driver non fa eccezione, perché di favola si tratta. Con morti ammazzati, certo, ma sempre una fiaba.

Baby Driver segna un momento importante nella carriera di Wright, è una sintesi esemplare della sua poetica, rappresenta il culmine di ciò che, fino a ora, ne ha definito lo stile. Questo ragazzo di 43 anni, con appena sei film all’attivo e la statura dei registi capaci di fare della propria opera un oggetto di culto. In Baby Driver c’è tutto quello che lo ha resto riconoscibile: lo spirito cinefilo, le evoluzioni acrobatiche della macchina da presa, la bravura nel tratteggiare i personaggi, l’imprevedibilità delle situazioni, la voglia di stupire, divertire, lasciare lo spettatore, al termine della visione, con un sorriso ebete stampato in faccia.
E che bello quando il cinema è una macchina che distribuisce gioia.
In un momento di crisi nera per i grandi studios e per i blockbuster, sono questi i film che salvano la baracca. Che serva da lezione a Hollywood: il pubblico ha smesso di smaniare dietro ai giocattoloni ed è tornato a essere avido di cinema.
Ottime notizie, da ogni punto di vista.

 

 

5 commenti

  1. Da ignorante totale della filmografia di Hill ho letto il tuo post con piacere incredibile: tempo permettendo mi guarderò tutti i film che hai citato e riguarderò da capo Baby Driver, per esaltarmi ancor di più e per dimenticare il doppiaggio italiano indecente. Per adesso, mi limito a dire che è una delle pellicole più belle dell’anno e l’ennesima conferma della grandezza (e della simpatia) di Wright!

    1. Assolutamente Strade di Fuoco è il vero papà di questo film. Anzi, quasi quasi richiedo un bell’on demand sul Bollalmanacco!

  2. enricotruffi · ·

    Sulla carta a me Edgar Wright non dovrebbe neanche piacere, non mi fa impazzire il cinema citazionista, “cool”, autoreferenziale, e come te non amo l’eccessivo uso di colonna sonora di repertorio (servirebbe un bel confronto impietoso fra questo e altri film di Wright con quel pasticcio di Suicide Squad, a questo proposito). Sulla carta. Perché ogni volta questo cineasta se ne esce con film che sono emozionanti lettere d’amore al Cinema, che mandano a casa tutti i seguaci tarantiniani con soli 10 minuti, e se mi dovessero chiedere qual è stato il film più bello che ho visto quest’anno risponderei subito “Baby Driver”, dimenticando volutamente i difetti del film (se ne ha) e altre opere più impegnate uscite quest’anno.

    1. Ma anche per me è così: sulla carta il suo cinema è agli antipodi con la mia concezione di cinema. Il citazionismo mi ha davvero rotto le scatole e fatico a sopportarlo. Ma Wright ci mette tanto di quel cuore che neanche ti accorgi del suo citazionismo.

      1. Giuseppe · ·

        “Scegli le citazioni che ami -proprio come ami il lavoro che hai scelto- e darai l’impressione di non citare mai, neanche per un solo fotogramma in tutti i film che farai nella tua vita”… beh, forse Confucio non l’aveva detta proprio in questo modo ma è probabile che così Wright l’abbia intesa (e anche Baby Driver sarebbe lì a dimostrarlo, no?) 😉

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