Regia – Alexandre Bustillo, Julienne Maury (2017)
A suo modo, Leatherface è un film coraggioso, nel senso che rifiuta di riproporre lo schema narrativo di ogni film (e ogni epigono e imitazione) dedicato a Faccia di Cuio e famiglia e la butta sul road movie, un po’ come aveva fatto Rob Zombie nel suo The Devil’s Rejects, opera a cui questo Leatherface deve molto, molto più che all’originale di Tobe Hooper, se vogliamo dirla tutta.
È anche vero che, dopo tre seguiti più o meno ufficiali del film del ’74, un remake, un prequel e un film che non si capiva cosa esattamente fosse, ma a guardarlo da vicino era solo un cumulo di concime, e dopo che tutti questi film raccontavano la stessa, identica storia con qualche variazione sul tema, farci vedere ancora una volta il gruppo di giovani incauti che finisce alla fattoria dei Sawyer per essere fatto a brandelli, poteva essere stancante. Senza annoverare i vari Wrong Turn, Casa dei Mille Corpi e un qualunque survival con i redneck uscito dal 1974 ai giorni nostri.
Va dato dunque atto allo sceneggiatore Seth M. Sherwood (che non ha poi questo entusiasmante curriculum) di aver tentato di intraprendere una strada un po’ diversa, come va dato atto alla Lionsgate di aver assoldato due registi che conoscono il loro mestiere, e non il primo prestanome raccattato per strada, per cui almeno la garanzia di una confezione curata, unita alla certezza che Bustillo e Maury non hanno alcuna inibizione per quanto riguarda il reparto trippe e frattaglie, c’erano.
Tuttavia, siamo proprio sicuri che i due francesi fossero la scelta più adatta a una restaurazione della saga? Se andiamo indietro nel tempo e torniamo alle origini del mito, sappiamo tutti che il primo Non Aprite quella Porta era tutto tranne un film splatter. Violenza sì, marciume quanto ne volete. Ma il film di Hooper non è famoso per gli sbudellamenti in campo. Ed è stato questo che Nispel non ha proprio capito quando ha girato il suo remake del 2003. Sempre che Nispel abbia mai capito qualcosa in vita sua.
Quel senso di sporcizia, di degrado, di abbandono non lo puoi ricostruire e non puoi sostituirlo con il sangue finto a secchiate.
Con le dovute differenze, dettate dal fatto che Bustillo e Maury a Nispel se lo rigirano su un dito e se lo portano a spasso col guinzaglio, anche in Leatherface viene commesso lo stesso errore.
Non è un tragedia, intendiamoci: Leatherface è un godibilissimo B movie, che dura appena 90 minuti, ha un gran ritmo e quindi fila via veloce, tra fucilate in faccia, decapitazioni, gente mangiata viva dai maiali e martellate sulla nuca. Si fa apprezzare per la sua brutalità e per il fatto che gli effetti speciali truculenti sono tutti realizzati dal vero e, quando la CGI c’è, a stento si vede. È un horror luna park a base di gore da cui si esce soddisfatti, ma non è niente più di questo; sostanzialmente è innocuo e, anche nelle sequenze a più alto tasso di efferatezza, non colpisce mai sul serio, non dà mai l’impressione di voler turbare lo spettatore o di lasciargli qualcosa da ricordare. Continuando con il paragone precedente, Leatherface è un giro sulle giostre di cui ti dimentichi non appena hai posato i piedi a terra.
Non che ci sia qualcosa di male, in questo. Non tutti i film che escono devono per forza essere dei capolavori e anzi, la capolavorite fa più vittime di Faccia di Cuoio e di tutti i suoi colleghi messi insieme.
E tuttavia, pensando ai nobili antenati di Leatherface 2017, un pizzico di rimpianto c’è.
O forse no. Forse non poteva essere diverso, forse più di questo, oggi, non è possibile fare, forse una saga esausta e spremuta in ogni modo possibile e immaginabile non è più in grado di turbare o impressionare nessuno e pensare di rivitalizzarla, quando le ragioni della sua esistenza riposano in un’altra epoca, è semplicemente sciocco. Ci teniamo dunque il nostro giro sulle giostre e siamo contenti così.
E, ve lo giuro, sono contenta: in una scala che va da 10 a Non Aprite quella Porta 3D, il film di Bustillo e Maury si situa anche abbastanza in alto, prima di tutto perché può vantare la presenza di due attori veri come Stephen Dorff e Lili Taylor, il primo uno sceriffo psicopatico che è filiazione diretta di William Forsythe ne La Casa del Diavolo; la seconda, una mamma Sawyer forse un po’ troppo pulitina e poco laida per essere la genitrice (e zia) di cotanto mostro, ma comunque bravissima.
Perché è il taglio stesso del film a essere pulitino e poco laido: Bustillo e Maury li conosciamo, sono due fighetti tutti stile e inquadrature giuste anche quando ti ricoprono le pareti di un appartamento di sangue. Non sono patinati quanto Nispel (che vabbè, per lui essere patinato significava smarmellare tutto in giallo), ma hanno un’eleganza e una ricercatezza innate che, con una storia simile, fanno un po’ a cazzotti. Infatti il film funziona soprattutto nella parte ambientata all’interno di un istituto psichiatrico per minori, mentre scricchiola un po’ quando entra nei territori tipici di Tobe Hooper: i teschi appesi alle pareti, i resti umani per i corridoi, la sporcizia, è tutto sistemato a puntino, non dà affatto la sensazione di entrare nel regno del caos e della follia.
E sapete che c’è? Va benissimo così, perché non ha senso riproporre nel 2017 il cinema di Tobe Hooper. Ha più senso, sebbene tirato per i capelli, l’ennesimo reboot di Halloween previsto per l’anno prossimo, dato che lo slasher è un genere che si adegua con facilità maggiore al modo di intendere l’horror contemporaneo e, per quanto molti vogliano far passare The Texas Chainsaw Massacre per uno slasher, siamo proprio su un altro pianeta.
Leatherface è un film con tutti i difetti e i pregi dell’horror odierno non indipendente; funziona alla grande a un livello di ricezione superficiale, è bello da vedere, è realizzato con una professionalità che il povero Hooper nel ’74 se la sognava (anche se è girato in una Bulgaria fatta passare per il Texas), ma non fa mai male, non va mai a fondo, non si sporca mai davvero le mani con l’angoscia, la disperazione, l’orrore viscerale.
Da un certo punto di vista, Leatherface è il film più interessante uscito dall’eredità di Non Aprite quella Porta, da un altro è una pietra tombale su qualsiasi ambizione di voler costruire qualcosa a partire da quell’eredità.
Ma, lo ripeto, ci accontentiamo. Non mi aspettavo niente di diverso.
leggendo il tuo post mi sono tornate in mente alcune scene del remake (specie tutto quel giallo, che era davvero fastidioso): ecco, quel film per me è l’orrore puro. un vero obbrobrio, ancora di più se visto (come avevo fatto ingenuamente io) subito dopo il capolavoro originale. non nutrivo molte speranze su questo “leatherface” ma un’occhiata ce la darò comunque quando uscirà in dvd. mal che vada saranno 90 minuti senza infamia e senza lode 🙂 bellissima recensione, come sempre!
Il remake di Nispel è uno dei peggiori servizi mai resi al cinema horror, anche perché ha dato il via all’ondata di remake del decennio scorso, che erano tutti uguali, tutti sulla scia di quel primo obbrobrio.
Questo se non altro ha una sua dignità.
Grazie 🙂
Questo era uno di quei film che volevo andare a vedere al cinema insieme a Baby Driver e La fratellanza. Alla fine i miei amici hanno votato per La Fratellanza. Il film mi ha soddisfatto molto e spero di recuperare le altre due pellicole (mi sono già perso The Devil’s Candy, mannaggia a me).
Ecco, nonostante i registi coinvolti io non avevo praticamente nessuna aspettativa riguardo a Leatherface: la pietra miliare del cinema di Hooper appartiene al suo tempo, appunto, e per questo qualsiasi remake/prequel/sequel/reboot ovviamente non potrebbe più “parlare” nel linguaggio (sporco, folle, malato) che l’ha resa celebre… ben inteso, alla fine mi fa piacere che -con tutti i limiti del caso- ne sia comunque venuto fuori un prequel dignitoso (e non offensivo nei confronti del capostipite, come lo era invece il remake/puttanata di Nispel), ma forse da adesso in avanti è davvero il caso di lasciare Faccia di Cuoio alla sua meritata pensione. E, a proposito di Halloween, visto che il reboot pare prevedere di nuovo l’umanizzazione di Michael Myers, mi chiedo se anche lì non sia arrivato il momento -non più rimandabile- di passare definitivamente ad altro (si vuole un personaggio realistico e meglio in sintonia con le paure del pubblico contemporaneo? Benissimo, ma a questo punto lo si crei ex-novo, lasciando finalmente in pace Michael)…
Per quanto mi riguarda, sarebbe il caso di lasciar riposare in pace Michael, Jason, Leatherface e Pinhead, lasciarli nei film e nell’epoca a cui appartengono, ma questo è un discorso lungo e complesso: fino a poco tempo fa, a incassare erano soltanto seguiti e remake. Quest’anno, le cose sembrano aver cominciato, lentamente, a cambiare.
Però è ancora tutto da vedere: quegli stessi spettatori che si lamentano perché Hollywood non propone idee originali, poi vanno in sala a vedere solo idee che di originale non hanno niente.
Vedremo come si svilupperà la situazione nei prossimi anni e speriamo che anche il pubblico cominci ad avere gusti più evoluti.