Regia – John R. Leonetti (2017)
Lo volete un horrorino da vedere in sala in queste caldissime giornate, che al cinema c’è l’aria condizionata impostata su Polo Sud e tutti voi che soffrite il caldo ci andate a nozze?
Proprio di horrorino si tratta, un film che non sfigurerebbe in un’edizione del Ciclo Zia Tibia 2037, non saprei come spiegarlo meglio di così: rapido (solo 90 minuti la versione PG13), divertente, a modo suo originale, senza rimandi e strizzatine d’occhio agli anni ’80, fatto a misura di ragazzino, ma non di ragazzino deficiente, ecco.
Vi giuro che non gli avrei dato una lira quando sono andata a vederlo un paio di giorni fa. È che quest’anno l’offerta di horror da vedere al cinema è micragnosa e, una volta tanto che ne esce uno, non andarlo a vedere è peccato. Il regista è quello di Annabelle e dell’ancora peggiore Wolves at the Door. Questa volta la Blumhouse non c’entra niente, ma lo stile produttivo è estremamente simile, come del resto anche l’estetica, perché Leonetti è il direttore della fotografia fisso di James Wan e certe similitudini si notano. Insomma, c’era da partire più che prevenuti e invece devo ammettere di essere rimasta piacevolmente sorpresa.
Un po’ Wishmaster, un po’ Final Destination, un po’ Ai Confini della Realtà, Wish Upon è l’ennesima rivisitazione del classico racconto La Zampa di Scimmia, portato al cinema direttamente o in maniera apocrifa centinaia di volte, un canovaccio che ha sempre il suo fascino, e che in ogni variazione apportata alla storia originale, è sempre andato a indagare il prezzo che paghiamo per vedere esauditi i nostri desideri. Una cautionary tale che continua a funzionare a distanza di secoli: anche il racconto di Jacobs non è di sicuro il primo ad affrontare questa tematica, ma nel suo brutale schematismo, nella sua semplicità, si presta a ogni tipo di adattamento.
Ora, Wish Upon non è sicuramente il più riuscito; la palma spetta infatti a Bob Clark e al suo La Morte dietro la Porta, ma è una bella variazione sul tema, con persino degli sviluppi non del tutto prevedibili.
La vicenda è quella di un misterioso carillon con delle iscrizioni in cinese ritrovato tra la spazzatura dal padre della protagonista Clare (Joey King), che non è quello che tutti noi definiremmo una ragazzina felice: ha perso la mamma, suicida, quando era piccolissima ed è stata lei a ritrovare il corpo; viene sistematicamente bullizzata dai suoi compagni di scuola, perché non è bellissima, non se la passa bene da un punto di vista economico e suo papà (un Ryan Philippe riesumato dal tubo catodico dove era rimasto sepolto per anni) sbarca il lunario trovando oggetti vendibili nell’immondizia; come ciliegina sulla torta, il ragazzo che piace a Clare non la degna di uno sguardo neanche per sbaglio. Ce n’è abbastanza per fare di lei la classica outsider del cinema horror e la vittima designata dei suoi stessi desideri.
L’iscrizione sulla scatola, quel poco che Clare, grazie al fatto di studiare cinese a scuola, riesce a decifrare, dice infatti che, a disposizione di chi la trova, ci sono sette desideri. Quasi per gioco, la ragazza ne esprime uno e, il giorno dopo, si avvera. Solo che, insieme all’esaudirsi del desiderio, arriva anche un prezzo da pagare, che la scatola riscuote prontamente: dopo aver suonato per qualche minuto una strana musichetta, il carillon si chiude e qualcuno muore. Ovviamente sembrano incidenti e a Clare non viene automatico di fare un collegamento con la scatola e, per un po’, continua a esprimere desideri, fino a quando non è costretta dalle circostanze a rendersi conto di avere sulla coscienza una discreta quantità di cadaveri.
Wish Upon ha due motivi principali di interesse: il primo sono le morti, il secondo l’imprevedibilità. Su entrambi vanno fatti dei distinguo, ma procediamo con ordine.
Abbiamo detto che a ogni desiderio espresso segue una morte che deve sembrare un incidente, perché la scatola, o l’entità che nella scatola si cela, agisce un po’ allo stesso modo della Signora con la falce in Final Destination. Abbiamo quindi un ritorno a quel tipo di atmosfere, con dipartite casuali scaturite però da una concatenazione di eventi mossa da un burattinaio invisibile. È un peccato che la migliore sequenza del film l’abbiano spoilerata con una clip messa online pochi giorni prima della distribuzione del film in sala, ma ce n’è almeno un’altra davvero ben orchestrata, soprattutto perché coinvolge due personaggi in montaggio alternato e lo spettatore è spinto a stare in ansia per entrambi, non sapendo quale dei due ci andrà a lasciare le penne.
Manca, a differenza di Final Destination, il gore. Però, anche qui, non disperate: è prevista una versione con una decina di minuti in più e Leonetti stesso ha detto che è quasi tutto materiale tagliato per ottenere la classificazione PG13.
L’imprevedibilità è un altro fattore interessante, e non perché lo svolgimento della trama non sia scontato: lo è. Sappiamo benissimo che Clare esprimerà quasi tutti i desideri, sappiamo che non riuscirà a fermarsi per avidità anche quando verrà a conoscenza del prezzo da pagare e sappiamo a che le persone intorno a lei rischiano grosso. Quello che crediamo di conoscere è il climax finale, che di solito implica un confronto con l’oggetto maledetto, il mostro di turno o il demone o chi per lui che porta al ristabilimento dello status quo, magari con la protagonista finalmente consapevole che la sua vita non faceva poi così schifo e lezioncina morale annessa.
Ecco, mi ha stupito molto il fatto che Wish Upon non sia andato in quella direzione e abbia preferito prenderne un’altra, più cattiva e spietata, differente dal ritorno all’ordine che è un pedaggio da pagare per ogni horror commerciale che si rispetti.
In questo senso Wish Upon potrebbe essere uno di quei film che negli anni ’80 hanno fatto la fortuna del genere, un b-movie macabro e rozzo, con la giusta componente sardonica, un horror che ti aspetti di veder presentato da un anfitrione scheletrico che sghignazza scompostamente sulle disgrazie dei protagonisti e ci fa anche le battutacce sopra.
Tutto questo, senza essere affatto nostalgico o ammiccante, anzi. Wish Upon, come del resto anche Annabelle, è molto moderno come stile e messa in scena e fa parte della schiera di horror commerciali ma girati con gusto ed eleganza, magari un po’ patinati, ma piacevolissimi da vedere. Del resto, Leonetti è un direttore della fotografia e i suoi film sono tutti estremamente curati da quel punto di vista.
Se vi capita, per passare un’oretta e mezza in allegria e spensieratezza, andate in sala a vedere Wish Upon. Non vi cambierà la vita, ma sarà una piacevole sorpresa.
Piccola curiosità che non c’entra niente: il fratello maggiore di John, Matthew Leonetti, è anche lui un direttore della fotografia e, tra le altre cose, ha lavorato in Poltergeist (quello vero, mi raccomando). Da poco, ha praticamente confermato in via ufficiale quello che sapevamo tutti da sempre: è stato Spielberg a dirigerlo.
Ora posso morire in pace.
tu pensa, non gli avrei dato un centesimo (colpa del trailer, che per come é stato montato lo faceva sembrare una grandissima bambinata)! :O ma del resto non avrei degnato di uno sguardo nemmeno “ouija: origins of evil” se non avessi letto la tua recensione (e non me ne sono affatto pentita, anzi!), quindi darò una chance anche a questo 🙂
Ecco, il paragone è perfetto: più o meno il livello è quello. Niente per cui strapparsi i capelli, ma una cosa dignitosa e fresca.
Poi fammi sapere 😉
Beh, sembra proprio che Wish Upon sia “un po’ ” di tutto quello che può andarci a genio 😉
Così, a occhio e croce, ho pure l’impressione che sia un adattamento del racconto di W.W. Jacobs assai migliore -oltre che più libero- dell’ultimo da me visto, The Monkey’s Paw di Brett Simmons (dove c’era poco da ricordare, a parte la performance di Stephen Lang)… è praticamente impossibile che riesca a vederlo in sala (una sola, razza di spreconi!) prima che lo tolgano, ma lo recupererò lo stesso.
P.S. Ooh, finalmente Matthew Leonetti l’ha detto chiaro e tondo! 🙂
Sì, ecco, ci sono tutti gli ingredienti al posto giusto e vanno a formare un insieme che non è indimenticabile, ma piacevole.
A tutti quelli che hanno avuto la sfortuna di non avere sale vicine in cui lo proiettassero, dico sempre: consolatevi con il fatto che lo vedrete in versione integrale 😉