Ciclo Zia Tibia 2017: Il Fantasma dell’Opera

 Regia – Dwight H. Little (1989)

Cerchiamo di tornare alla normalità, anche se rimettermi a parlare di film cazzeggioni mi riesce più difficile del solito. Ma è pur sempre estate e siamo pur sempre su un blog che rispetta le sue tradizioni e quindi che ne dite di una versione gore (e tuttavia molto fedele) del romanzo di Leroux interpretata da Robert Englund? C’è modo migliore per scacciare la tristezza? Io credo di no.
Eppure il destino di questo film non è dei più allegri: il regista veniva dal quarto capitolo della saga di Halloween, quello che aveva segnato il ritorno di Michael Myers dopo la sfortunata parentesi in cui l’assassino di Haddonfield non appariva. Il giudizio dei fan su Halloween 4 non è affatto unanime, tra chi lo giudica spazzatura e chi ne esalta il coraggio, soprattutto per un finale molto spregiudicato e tra i migliori dell’intera serie di film. Io appartengo alla seconda categoria e sono certa che, se le avventure di Michael si fossero concluse lì, passando il testimone omicida alla piccola Jamie, sarebbe stato per tutti tanto di guadagnato.
Non andò così, ma Little ne uscì comunque bene. Dopo qualche film d’azione e un episodio della serie tv Freddy’s Nightmare, aveva l’occasione di far partire una saga tutta sua: Il Fantasma dell’Opera partiva infatti con un seguito già in cantiere. E perché no? C’era l’attualizzazione di una delle storie più adattate per il grande schermo, c’erano tonnellate di sangue e c’era un protagonista che era un’icona vivente. C’erano, insomma, tutte le caratteristiche per sfondare nel circuito horror degli anni ’80.
Solo che gli anni ’80 erano arrivati alla fine e si avvicinava a grandi passi quel periodo desertico in cui l’horror sarebbe stato relegato al mercato dell’home video, con poche uscite degne di nota e una generazione intera di registi promettenti spazzata via.

Purtroppo il seguito, che doveva vedere un Robert Englund scatenato nella Manhattan contemporanea, non ha mai visto la luce, perché il film andò così male da rimanere in circolazione solo per tre settimane e Little è stato risucchiato nel circuito delle serie televisive, dove è ancora attivo. Il suo contributo alla causa cinematografica consta di opere di enorme levatura artistica come Free Willy 2, mentre potete trovare la sua firma in qualche puntata di Arrow e Agents of S.H.I.E.L.D.
Anche i critici ebbero un gran gusto ad avventarsi sul cadavere de Il Fantasma dell’Opera, stroncato praticamente da tutti i pochi che sono riusciti a vederlo.
Ma non da me, non qui.
Si tratta di un carrozzone girato con un stile pesante e barocco, con un Englund incontenibile e unico mattatore della scena, un paio di sequenze ad alto tasso di sangue indimenticabili e il solito, trito ma sempre efficace binomio amore e morte.
So che mi toglierete il saluto, ma se si escludono il film muto del 1925 e la rivisitazione in chiave rock di De Palma, questo è il miglior adattamento per il grande schermo del romanzo di Leroux.
Almeno Erik non canta e scuoia vive le sue vittime per indossare la loro pelle e nascondere così il suo volto sfigurato in seguito a un patto col demonio. Ho la vostra attenzione?

Il film comincia nella New York degli anni ’80 con una giovane soprano, Christine (Jill Schoelen), che deve fare un’audizione ed è in cerca di un qualcosa di originale e diverso dal solito per esibirsi. Grazie a una sua amica (che la accompagna anche al pianoforte ed è Molly Shannon alla sua prima apparizione), trova in un archivio un vecchio spartito, il Don Juan Triumphant, a firma di Erik Destler, un compositore vissuto alla fine del XIX secolo e, pare, responsabile di diversi omicidi. Nonostante questo macabro retroscena, la musica dello spartito è proprio quello che Christine stava cercando. Ma proprio durante la sua audizione, un attrezzista distratto le fa cadere in testa un sacco di sabbia e lei sviene e si risveglia nel 1881, a Londra, durante l’allestimento del Faust.
Qui le cose si fanno subito un tantino bislacche, perché il prologo (e l’epilogo) del film sembrano attaccati con lo sputo. Anzi, non sembrano, lo sono proprio perché dovevano servire da gancio per il famoso sequel mai girato e, nelle intenzioni, da ambientare tutto in epoca contemporanea. La storia vera e propria del film si svolge nel 1881, e allo spettatore ci vuole qualche istante per adattarsi e capire che Christine non ha viaggiato nel tempo, ma è semplicemente una versione alternativa e ottocentesca della cantante che ha visto per i primi dieci minuti.
Poco male, perché Englund appare in tutto il suo carisma e, senza neanche darci il tempo di capire cosa sta succedendo, ha già fatto fuori un povero cristo.

La storia de Il Fantasma dell’Opera, con l’ossessione morbosa di Erik per la giovane cantante e tutti i suoi tentativi di farla diventare famosa, sedurla e strapparla al noiosissimo fidanzato la conoscete tutti e non è proprio il caso che ve la racconti di nuovo, anche perché il film di Little la segue passo dopo passo, limitandosi a renderla più oscura e brutale. Il grosso rimpianto è che The Phantom rischiava di uscire con l’infamante X, ed è stato tagliato per ottenere la R: una sua edizione unrated è  tuttavia un sogno impossibile, dato che le scene tagliate sono tutte andate perdute nel corso degli anni. Ed è un peccato, perché il lavoro dell’equipe del make-up ed effetti speciali guidata da Michael Deak è da rifarsi gli occhi. Non si tratta soltanto del trucco di Englund, un volto orribilmente sfregiato che richiama per ovvi motivi le ustioni di Fred Krueger, ma anche delle varie scene in cui Erik si applica e si toglie la pelle delle sue vittime di dosso. Viene da sbattere la testa al muro dal desiderio di poter vedere una versione integrale degli omicidi perpetrati da Erik, perché si capisce che, dietro quelle sforbiciate di montaggio, si nascondeva una miniera di effettistica artigianale meravigliosa e grondante sangue. Ci dobbiamo accontentare dell’uomo senza pelle, ma ancora vivo nascosto nel guardaroba della diva principale dell’opera, perché è il massimo che vedremo. Si tratta comunque di un bell’accontentarsi, quindi non lamentiamoci troppo.

Per il resto, Il Fantasma dell’Opera è una stramba produzione che pare quasi di serie A: c’è tanto sfarzo in campo, tanta ricchezza, tante comparse e ambienti diversi. Un horror in costume che, in teoria, avrebbe dovuto incassare moltissimo per recuperare il budget e che la leggenda vuole ebbe anche dei costi spropositati in promozione. Tutto gettato alle ortiche.
Eppure ha un fascino incredibile, una sorta di potere magnetico che ti tiene incollato allo schermo a seguire le vicende di questo artista e assassino innamorato di una donna che mai lo ricambierà. Da un certo punto di vista, è quasi un ritorno al passato e alle origini del genere stesso, e infatti omaggia più di tutte le altre trasposizioni quella con Lon Chaney, da cui riprende in maniera (quasi) identica la scena del ballo in maschera, costume del fantasma compreso.


Sangue, violenza, musica, sentimenti viscerali e feroci delitti. Siamo in pieno territorio gotico, ma con il gore degli anni ’80 a fare da collante a una vicenda che vogliono farvi passare per romantica, quando è invece macabra e morbosa fino al midollo.
In fin dei conti, è un interessante esperimento di commistione dell’horror con il melodramma, una cosa che in passato era molto comune (dopotutto, i primi horror Universal e i film espressionisti arrivati dalla Germania, venivano chiamati melodrammi), e che poi è andata perduta quando il genere è uscito da castelli e segrete per andare a mordere la vita quotidiana.
Il Fantasma dell’Opera è un oggetto unico, per la sua epoca, letteralmente fuori dal tempo, vecchio e sorpassato in maniera voluta. Piacerà ai fan della Hammer, anche se credo lo conoscano già. Per chi invece non lo ha mai sentito nominare, è arrivato il momento di riscoprirlo e rivalutarlo, dandogli i riconoscimenti che merita.

8 commenti

  1. Peccato davvero,una serie horror persa che poteva anche rilanciare Englund e smarcarsi da Freddy,purtroppo non l’ho visto ,ma c’è anche l’orrenda versione di Dario Argento in cui i pochi minuti che visto mi hanno distrutto.
    Grazie al tuo blog ho visto Beneath di Fessenden.
    Piaciuto il pezzo che ho scritto?
    Un saluto Lucia

    1. Beneath è bellissimo!
      Sì, il pezzo mi è piaciuto. 😉

  2. Pirkaf · ·

    Era più bello il flipper del film. 😛
    Scherzi a parte, lo vidi in un’afosa estate del ’90 o giù di lì e lo ricordo con molto piacere.

    1. Mi stai dicendo che c’era un flipper dedicato a questo film? 😀

      1. Pirkaf · ·

        Sì, ci giocavo nel Bar sotto casa proprio nel periodo successivo al film.
        Era pure molto divertente.

        1. No, vabbè, ti sei un uomo fortunato!

  3. Giuseppe · ·

    Ricordo che c’era anche chi “accusava” Robert Englund di gigioneggiare un po’ troppo nel ruolo di Erik… e allora? Che non rompessero i coglioni, a me piaceva come gigioneggiava! 😉
    Peccato per il mancato sequel, Robert avrebbe potuto continuare a dare (tragico) corpo al suo ottimo personaggio…

    1. Ma se non gigioneggi quando fai Erik non gigioneggi mai! 😉

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