Mi è capitato, nel fine settimana, di leggere due articoli, entrambi a loro modo molto interessanti: il primo, scritto dal critico cinematografico del Guardian Steve Rose, lo trovate qui; il secondo, in risposta a quello di Rose, lo trovate qui, a firma di Nia Edwards-Behi. Capisco se non avete voglia di leggerli, quindi cerco di fare una rapidissima sintesi. Secondo il critico del Guardian, esiste una nuova categoria, anzi un nuovo sotto-genere che lui ha chiamato post-horror e che consisterebbe in quell’ondata di horror più o meno d’autore usciti negli ultimi anni, riscuotendo un buon successo critico, anche da parte della critica non di settore, o addirittura diretti da “autori” che con il genere non hanno mai avuto molto a che spartire. Tanto per capire di cosa stiamo parlando, due esempi trattati anche su queste pagine sono The VVitch e Personal Shopper. In pratica, sempre secondo Steve Rose del Guardian, questi film (lui prende spunto da It Comes at Night, che però qui deve ancora arrivare) usano l’horror forzandone le regole fisse e prestabilite. Una cosa che proprio, fino a questo momento, secondo Steve Rose del Guardian, non si era mai fatta.
Al che Ewdards-Behi gli risponde che, insomma, non è esattamente così e che la sua teoria sul post-horror non è altro che parte di una lunga tradizione di snobismo e pigrizia della critica nei confronti dell’horror.
Questo, ovviamente, sintetizzando al massimo concetti un po’ più complessi. Se volete approfondire, avete i link.
A me la definizione post-horror in sé non dispiace. La trovo affascinante, solo che il critico del Guardian la usa, sempre a mio modesto parere, con le stesse grazia ed eleganza con cui maneggerebbe una mannaia da macellaio e soprattutto la usa senza avere la minima cognizione di causa a proposito del genere di cui sta parlando, il che è piuttosto grave, se il tuo intento è fornire una nuova chiave interpretativa per l’horror… pardon, il post-horror contemporaneo.
Post-horror, secondo l’umile parere di una che di horror ne ha visti più di un paio in vita sua, è l’horror allo stato liquido che si è infiltrato nel cinema tutto negli ultimi vent’anni, non è l’horror d’autore, che è sempre esistito e sempre esisterà. E anzi, la storia dell’horror è la storia di come i suoi codici e le sue regole vengono progressivamente infranti da quelli davvero bravi, una cosa che non è cominciata ad accadere nel 2017, come dice Steve Rose del Guardian, ma che va avanti almeno dagli anni ’30, da quando James Whale prendeva per i fondelli i censori mentre preparava La Moglie di Frankenstein, e ancora da prima, dalle origini stesse del cinema.
Invece, Steve Rose afferma che il post-horror (scusate la traduzione improvvisata) è questo: “Più di ogni altro genere, l’horror è governato da codici e regole: i vampiri non si riflettono negli specchi; la final girl deve sopravvivere; gli avvertimenti dell’addetto alla stazione di servizio/ mistico nativo americano/ anziana signora inquietante rimarranno inascoltati; alla fine il male sarà sconfitto o almeno spiegato, ma non in modo tale da escludere la possibilità di un seguito. Le regole sono la nostra torcia elettrica mentre ci avventuriamo nei territori dell’ignoto. Ma, da un certo punto di vista, le regole hanno reso l’horror il regno di ciò che Donal Rumsfeld descriverebbe come il conosciuto sconosciuto. Non c’è da stupirsi se alcuni registi hanno cominciato a chiedersi cosa succede quando si spegne la torcia. Cosa succede quando ci si allontana da queste regole ferree e si comincia a vagare nel buio”.
Esimio Steve Rose del Guardian, ogni singolo horror di una certa rilevanza da Caligari a oggi si è posto questa domanda prima di lei e prima del regista ventottenne di It Comes at Night o di quello poco più che trentenne di The VVitch.
Il punto del cinema horror è tutto qui: sorprendere lo spettatore togliendogli le sicurezze dettate dalle regole ferree, regole che ormai sono oggetto di parodia da più di vent’anni e che sono costantemente messe in discussione, perché è nel metterle in discussione, fingendo di seguirle, seguendole fino a un certo punto e poi sterzando all’improvviso, stravolgendole del tutto, che sta la capacità del regista di turno di realizzare un buon film.
Certo che esistono horror che si attengono scrupolosamente alle regole del genere o sotto-genere di appartenenza, sono quei film che regalano al pubblico la stessa esperienza controllata di una giostra, ovvero nobile intrattenimento che, se fatto bene, è sempre una gioia da vivere. Ma questo avviene in ogni genere cinematografico codificato. Quello che non viene compreso da critici come Rose (non è lui, è un atteggiamento generalizzato) è che forse l’horror, tra tutti i generi cinematografici è quello che più degli altri ha provato profonda insofferenza per le regole autoimposte e ha sempre tentato di scrollarsele di dosso. Per farlo, ha dovuto sciogliersi in altri generi, entrare nel linguaggio del cinema d’autore, della commedia, del dramma, persino del musical. Oggi, l’horror è dappertutto ed è questo il motivo per cui è così difficile da definire e che manda in tilt la critica ufficiale. Chi però il genere lo segue da un bel po’ non resta poi così stupito dalla presenza di film come The VVitch, Personal Shopper, A Girl Walks Home Alone at Night e tutti questi titoli che hanno mandato in sollucchero i critici colti del pianeta. Noi lo sappiamo che l’horror è anche questo, lo è sempre stato, non è mera robaccia dozzinale situata appena un gradino sopra il porno. L’horror è il territorio privilegiato di simboli e metafore e se qualcuno pensa che tre o quattro autori si siano svegliati adesso e abbiano infuso l’intelletto in un genere decerebrato è perché gli mancano le basi minime per capire di cosa sta parlando. Ma senza stare a scomodare gente come Romero, Carpenter e Cronenberg che sarebbe vincere troppo facile, basta un film come Candyman (tra l’altro di un suo omonimo) per mandare all’aria tutto il discorso fatto da Rose a proposito di regole infrante giusto nel 2017 grazie a un paio di film.
Se ha davvero senso parlare di post-horror, facciamolo guardando dove si è andato a inserire l’horror ultimamente: guardiamo che effetto ha avuto mischiarlo con il western, con il noir, con il cinema d’avventura, andiamo a guardare come l’horror ha perso gradualmente le sue caratteristiche di genere cinematografico per diventare a tutti gli effetti un modo di interpretare il mondo e raccontarlo.
Per quanto mi riguarda, l’horror è una specie di infezione: Personal Shopper, Brimstone, Bone Tomahawk sono tutti film infettati dall’horror, perché definirli horror in senso stretto sarebbe un errore, ma non possono prescindere dall’horror, ognuno a suo modo, ovviamente.
E allora, che cos’è l’horror, o meglio, cosa è diventato?
Bella domanda, davvero una bella domanda. Io non credo di saperlo e più film etichettati genericamente come horror vedo, più sono confusa e meno capisco, perché al di là del suo carattere virale, è un genere (una modalità, un’intenzione?) molto vivo e in forma smagliante.
Per concludere con le parole dell’articolo di Nia Edwards-Behi: “Rose asks, “what happens when you stray beyond those cast-iron conventions [of the genre] and wander off into the darkness?” Answer: you get more horror films.”
Niente più che questo, esimio Steve Rose del Guardian, niente più che questo.
L’atteggiamento dei critici cinematografici nei confronti dell’horror allora è lo stesso dei critici letterari nei confronti del fumetto. Qui hanno inventato il “post-horror”; lì, quando si sono dovuti scontrare con l’evidenza che certi fumetti sono dei capolavori della letteratura, hanno inventato il termine “graphic novel” per non dar la soddisfazione al fumetto e poter continuare col proprio snobismo.
Esatto, e nonostante l’invenzione di termini roboanti, l’atteggiamento non cambia.
Come ho già detto altrove, credo si tratti di un fenomeno abbastanza comune quando unavasta fetta del pubblico generalista “scopre” un genere che fino a quel momento era stato ignorato o considerato marginale: qualcuno sente la necessità di “dare dignità al genere” per sottolineare come, OK, quello di prima era pattume, ora è diverso, è roba per gente con una certa cultura.
Di solito ilpasso successivo consiste nello sdoganare un paio di autori/registi e tornare ad ignorare tutto il resto.
Per la fantascienza è successo con Dick e con Gibson, e con tutti quei romanzi che sono “fantascienza ma anche una profonda meditazione sul rapporto fra l’uomo e bla bla bla bla” – qui da noi si erano inventati l’eticheta “narrativa di anticipazione”.
Col fantasy, esiste il caso del “realismo magico”.
Con l’horror adesso c’è il “post-horror”.
Infatti questa cosa di “sdoganare” l’horror per un pubblico più “colto” rispetto a quei deficienti che lo seguono, avviene più o meno ogni 15 anni, quando arrivano le ondate di film horror che raggiungono un particolare favore critico. Poi il genere torna a essere spazzatura.
Come diceva Brian Aldiss, si torna “ai bei vecchi tempi in cui eravamo equiparati alla pornografia, epotevamo fare quello che ci pareva” 🙂
E si stava molto meglio, infatti 😀
Sono contento: meno male che oggi, nel 2017, c’è chi sperimenta con l’horror cercando di stravolgerne i cliché!
Credo che il signor Rose dovrebbe provare ad approfondire l’argomento, partendo però dalla fase di documentazione: potrebbe guardare un po’ di film pescati da vari decenni e registi, magari scoprirà qualcosa…
Più tardi darò un’occhiata ai due articoli linkati, per ora grazie 🙂
Infatti, dovevamo arrivare nel XXI secolo perché qualcuno finalmente si decidesse a sperimentare con l’horror. A noi bovini che lo seguiamo da anni ci è bastato vedere sempre lo stesso film 😀
ottime osservazioni, Rose torni a pensare a cose più alla sua portata
Eh, mi sa che è il caso 😀
L’articolo di Rose secondo me mette in luce i problemi di una critica cinematografica che si voglia porre come “oggettiva”.
Mi spiego: per andare sul personale, io sono amante del genere horror da quando avevo 3 anni, probabilmente anche prima, mentre altri generi ancora oggi non li digerisco appieno (il western, i musical, i film di arti marziali, e altri); sulla base di questo presupposto, la mia conoscenza del genere horror è inevitabilmete più sviluppata rispetto a quella di qualcuno che l’horror non lo mastica per niente, e al tempo stesso le mie lacune sugli altri generi sopracitati mi impediscono di avere piena cognizione di causa ogni volta che vedo un western o un musical. Un critico “di professione” magari non ama l’horror, ma si sente in dovere di parlarne diffusamente se il genere è in un momento di hype, col risultato che spesso ci fa la figura di uno che crede di avere scoperto l’acqua calda, o – peggio – di chi intende “noblitare” il genere solo concedendogli la sua attenzione: sta cosa del post-horror non si può sentire, suvvia… Caligari è post-horror, ed è del 1920…
Io capisco il tuo discorso, però credo che sia applicabile ai discorsi di natura generale tipo quello del Guardian, nel senso che un bravo critico, a mio parere, deve essere in grado di poter parlare con cognizione di causa di qualunque film. Però, se vuole affrontare un discorso approfondito su un genere in particolare, deve conoscerlo o almeno deve provare a studiarlo.
Parlare con cognizione di causa è già abbastanza complicato, se non ami il genere; essere in grado di valutare il singolo film lo è ancora di più (per fare un esempio, Mereghetti, che personalmente stimo, solo da qualche anno inizia a dare valutazioni sensate sui film horror, e ancora comunque i suoi giudizi sono da prendere con le pinze); senza parlare di chi, senza “frequentare” il genere, si lancia in dotte disquisizioni completamente fuori dalla sua portata.
Secondo me ogni critico ha i suoi punti di forza e i suoi di debolezza, sta a noi valutare quando il loro giudizio è attendibile e quando invece è inquinato per un motivo o per un altro. Ma qua entriamo sempre nell’annosa questione dell’oggettività del giudizio critico…
Tanto è scorrevole e assolutamente condivisibile l’articolo di Nia Edwards-Behi quanto invece è pesante, colpevolmente disinformato e del tutto fuori tempo massimo (l’unico a vagare nel buio, qui, da l’impressione di essere proprio lui) quello di Steve Rose… meglio si dia all’ippica. O alla post-ippica, magari.
Ecco, è completamente fuori tempo massimo: un articolo simile all’inizio degli anni ’80 poteva ancora avere qualche valore.
Mah, mi sembra un articolo figlio della necessità storicistica di dare un nome a tutto, di classificare ed etichettare : postmoderno, post horror, post verità e chi più ne ha più ne metta. Abbastanza interessante cercare di fare il punto della situazione, però credo serva un po’ di distanza storica per comprendere meglio. Forse c’è una tendenza alla contaminazione, forse un ritorno all’horror politico, ma in fondo queste cose ci sono sempre state (ricordo pochi horror che non fossero “politici” in qualche modo). La cosa che forse si potrebbe notare è un’intensificazione della produzione e maggiore attenzione generale a prodotti di questo tipo dagli anni ’10 del 2000 in poi, rispetto a fine anni 90 e inizi 2000, che potrebbe essere attribuita a una recente rivalutazione del cinema “di genere” (più virgolettato possibile) da parte di quella critica che più li snobbava in precedenza. Comunque ne passerà di tempo prima che l’affermazione “l’horror è il mio genere preferito” non mi causi occhiate perplesse da parte degli astanti. Grazie per portare alla luce queste discussioni interessanti in maniera ragionata e competente
L’articolo che intendevo all’inizio è quello di Rose, chiaramente
Il concetto di Steve Rose non mi ha convinto per niente, anzi ci ho letto un certo snobbismo per quanto riguarda il genere horror. Inizialmente pensavo che con post-horror si intendesse il nuovo tipo di horror che va di moda in questo ultimo periodo (film alla eThe Conjuring insomma) e invece mi sono ritrovato davanti questo. Diciamo che mostra una certa lacuna nella conoscenza della materia e ciò mi dispiace molto. L’horror ha una storia incredibilmente interessante e la sua evoluzione nel corso del tempo merita di essere approfondita e studiata.
Voleva semplicemente creare un nuovo termine hipster. Gli è andata male.