Ma tu guarda se mi tocca parlare di La La Land

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Che è quanto di più distante e alieno dagli argomenti solitamente trattati qui dentro, nonché distante e alieno dalla sottoscritta, perché è un musical, e conoscete tutti il rapporto conflittuale che ho io con i musical. Ma non ho intenzione di recensirlo, anche se, ve lo dico subito, l’ho adorato, nonostante sia un musical, e suppongo solo grazie a Chazelle che non sbaglia un colpo neanche se lo paghi per farlo.
Il mio “giudizio critico” sul film termina qui. Non ho intenzione di difenderlo dai suoi ogni giorno più numerosi detrattori, che si sono avventati a frotte tipo avvoltoi dopo gli entusiasmi iniziali o proprio a causa degli entusiasmi iniziali. Quelli che la mia amica Kara Lafayette chiama L’esercito dei cagatori di minchia.
L’argomento del post non è La La Land in quanto tale, ma quell’interpretazione ideologica dei film che io credevo fosse morta e sepolta e invece pare stia tornando prepotentemente alla ribalta. Chi mi legge da un po’ dovrebbe sapere che è un tema che mi sta molto a cuore. Ne abbiamo discusso qualche settimana fa.
Tanto per capirci, io non ho mai negato in vita mia l’esistenza dei film politici o di propaganda. Ma questo non significa che sia corretto interpretare ogni film in senso politico o propagandistico, soprattutto quando l’interpretazione è arbitraria e fatta apposta per confermare i propri pregiudizi.
Ecco, con La La Land (ma è solo l’esempio più recente) sta succedendo proprio questo.
Sono uscita dal cinema pensando di aver assistito a una sorta di requiem del sogno inteso in senso hollywoodiano e poi ho scoperto che invece avevo visto un film reazionario, razzista e sessista.
Prima è arrivato questo folle articolo del Guardian e poi questo, più argomentato e ragionato de Il Post, che ne riprende un altro, di un critico americano, apparso qui.
Allora, o non ci ho capito niente io (cosa possibilissima) o qui qualcuno sta svalvolando.

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Partiamo dalla prima parte dell’articolo de Il Post, quella dedicata in maniera più specifica al jazz: secondo l’autore, La La Land diffonderebbe un’idea del jazz sbagliata, perché troppo conservatrice, troppo rivolta al passato, in quanto ignora volutamente tutta una parte di jazz moderno dal valore indiscutibile.
Non ho intenzione di infilarmi nel ginepraio delle competenze e dei gusti musicali, sarebbe ridicolo e non mi riguarderebbe neppure. Però, siamo sicuri che il film di Chazelle voglia asserire in maniera oggettiva quale tipologia di jazz abbia più valore di un’altra? O forse è solo il personaggio a pensare che il jazz da lui suonato e amato sia migliore di altri? O ancora, andando a semplificare al massimo, Sebastian, il protagonista del film interpretato da Ryan Goslin, ha delle preferenze musicali?
Come ce le ho io, come ce le ha l’autore dell’articolo, come ce le ha sicuramente Chazelle, che di jazz è un cultore e un esperto e che sul jazz ha costruito la sua carriera da regista.
Le preferenze musicali di Chazelle coincidono con quelle di Sebastian? Può darsi. Ma è necessario porsi questa domanda?
Io credo di no, io credo che sia del tutto inutile, e anche un po’ sciocco, cercare l’identificazione tra personaggio e autore o credere che le idee, i gusti, gli atteggiamenti di un personaggio rappresentino l’ideologia di un film.

La La Land è un film nostalgico e, allo stesso tempo, modernissimo. Lo è perché la nostalgia è la cifra narrativa dominante del cinema contemporaneo e perché Chazelle ha bisogno di ammantare Sebastian di un’aura romantica e fuori dal tempo per sostenere sia la vicenda amorosa che quella legata alla realizzazione professionale e artistica dei due personaggi: sono esigenze narrative senza soddisfare le quali il film non esisterebbe. È necessario che Sebastian sia conservatore da un punto di vista musicale, ma non vuol dire che lo sia Chazelle o che La La Land sia un manifesto del conservatorismo jazzistico.
La questione non si pone proprio, per quanto mi riguarda: La La Land non è un trattato di storia del jazz che ne dimentica una parte importante. È un film, una storia inventata e, se qualcuno vuol raccontare la storia di un giovane jazzista innovatore, prego, si accomodi, quello è il set. La La Land ne racconta un’altra e lo fa con estrema coerenza, stilistica, contenutistica e musicale.
È vero che esiste una linea molto sottile tra l’essere nostalgici e l’essere reazionari, ma non è questo il caso. È sicuramente una lettera d’amore al passato e, allo stesso tempo, la celebrazione del suo funerale, ma non nega validità al presente e al futuro.

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Ma passiamo al pezzo forte dell’articolo, ovvero l’accusa di razzismo. Uno dovrebbe solo sghignazzare in maniera scomposta per un paio di settimane, però pare brutto e quindi proviamo ad argomentare.
La La Land sarebbe un film razzista perché Sebastian è un bianco con la presunzione di “salvare il jazz”. Sonora stronzata numero uno. Sebastian non si presenta come il salvatore universale della musica jazz. Al massimo, lui vorrebbe salvare uno storico locale jazz che ora è diventato un posto dove si balla la samba e si servono le tapas. La sua missione non è poi così universale: è uno sfigato che fa fatica a sbarcare il lunario, a cui tocca suonare ai matrimoni musica di merda anni ’80 vestito come un imbecille per tirare su qualche dollaro, un individuo triste, frustrato, malinconico, ma con una passione enorme per la musica.
La volontà ecumenica di Sebastian esiste solo nella testa del critico Ira Madison III e degli altri che si sono riempiti la bocca di un paio di termini amatissimi dai SJW di ogni dove: whitewashing e appropriazione culturale.
Perché Sebastian, bianco, si permette di insegnare ai neri a suonare il jazz.
Che è la sonora stronzata numero due.
Sebastian non vuole insegnare proprio a nessuno come si suona il jazz, esprime solo le sue idee in materia. Sì, lo abbiamo detto prima, sono idee molto rigide, ma prive di qualsivoglia connotazione razziale.
Sono pronta a scommettere tutti i miei averi che, se Sebastian non fosse stato bianco, si sarebbe comunque trovato il modo di tacciare il film di razzismo, magari parlando dello stereotipo del nero squattrinato e jazzista.
Si arriva persino ad alterare il senso di una battuta del film, pur di farlo rientrare a forza nel disegno razzista e questa è una mossa di una scorrettezza che non può passare sotto silenzio. Ma forse non è neanche una scorrettezza e il problema è più profondo: si sente quello che vogliamo sentire perché si accordi con la nostra linea di pensiero e confermi un’idea che esiste a priori. Vuol dire che ci si è spinti un po’ troppo oltre.

Vedete, io sono una che ci tiene alla rappresentazione delle minoranze nel cinema americano, ci faccio caso, ci sto attentissima e sono felice che, negli ultimi anni, siano cambiate molte cose. Credo che il cast multietnico e fortemente caratterizzato di Rogue One (tanto per fare un esempio) sia una vittoria enorme e che sia giusto, doveroso, fondamentale dare dei ruoli di spessore ad attrici e attori non bianchi.
Ma proprio perché è un argomento serio, sputtanarlo in questo modo non è solo folle, è anche controproducente e si finisce per prestare il fianco ai razzisti veri, non distinguendo più la discriminazione in quanto tale dalla semplice scelta dell’attore che il regista riteneva migliore.
Anche perché, lasciate che vi spieghi una cosetta su come funziona l’industria cinema, miei cari difensori delle cause perse: è l’attore che vende il film, ed è l’attore che, con la sua sola presenza, spesso permette al film di venire prodotto. Ryan Goslin porta gente al cinema e, se io regista mi presento ai finanziatori con Goslin, è molto probabile che mi diano subito semaforo verde per far partire un progetto ambizioso, coraggioso e a rischio come La La Land. Se mi presento con, per dirne uno a caso, Michael B. Jordan, mi fanno una pernacchia. È giusto? No, ma è come funziona. Presto non sarà più così e attori di ogni provenienza e colore della pelle avranno lo stesso peso commerciale di un Goslin, ma ancora non ci siamo arrivati. E no, non ci arriveremo più rapidamente chiamando razzista ogni singolo film di Hollywood tranne quelli che piacciono a noi.

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L’ultima osservazione e poi vi lascio, che vi ho già ammorbati abbastanza. Arriviamo, finalmente, al sessismo, altro tema trattato più volte da queste parti (l’ultima è stata anche abbastanza eclatante), e altra problematica su cui non credo mi si possa accusare di essere distratta o poco attenta.
La giornalista del Guardian dice che Sebastian è paternalista nei confronti della co-protagonista Mia, perché la fa sentire stupida, ignorante e inferiore perché lei non ascolta jazz e lui sì. Rivendica poi la libertà di ascoltare musica fatta da escrementi di vacca. Nessuno vuole togliere alla giornalista questa libertà, ma non bisogna essere uomini o donne per sapere che i Duran Duran sono rumenta del tutto priva di dignità. Che poi, dici che La La Land è sessista e poi confermi lo stereotipo della femmina che non capisce niente di musica, vuol vivere beata nella sua ignoranza e ne va pure fiera?
Ma l’articolo del Guardian è come la musica dei Duran Duran. Sterco. E non andrebbe neppure preso in considerazione. Quello de Il Post è più pericoloso, perché ne fa una questione seria, arrivando quasi all’opinabile conclusione che La La Land sia la messa in scena di una fantasia suprematista del maschio bianco su donne e minoranze varie.
Ora sarò obbligata a fare un po’ di SPOILER sul film. Siete avvisati.
A volte, prima di straparlare, i film andrebbero non dico capiti, ma almeno visti, e definire La La Land sessista è indice di una sola cosa: non lo avete visto e, se lo avete fatto, non lo avete capito.
Sebastian e Mia non sono l’uno superiore all’altra, sono soltanto molto diversi. In un film Hollywoodiano vecchia maniera, quelli a cui La La Land guarda con nostalgia, queste differenze stridenti sarebbero state appianate dal sentimento che lega i due protagonisti. Ma La La Land è, lo abbiamo detto, un film modernissimo che guarda al passato e, allo stesso tempo, lo nega e ci fa vedere che, nel presente, quel presente spogliato dal romanticismo, l’amore non basta. E infatti i due si lasciano e Chazelle ci nega il lieto fine, che invece appare in una sorta di realtà alternativa, ciò che sarebbe accaduto se La La Land fosse stato davvero un musical degli anni ’50.
La diversità tra i due è una delle chiavi principali del film: diversità di gusti, di atteggiamento, di stili di vita. Nessuno insegna niente a nessuno, in La La Land. Come accade in moltissime coppie, formate da persone che non sono la copia conforme l’uno dell’altro, ci si trasmettono le reciproche passioni, i reciproci interessi, i reciproci gusti. Io ti parlo di quello che amo, tu mi parli di quello che ami. E così Mia parla a Sebastian del cinema del silver screen, e Sebastian parla a Mia del jazz, che lei inizia ad apprezzare.
Succede spesso, sapete. Non è una novità. Io, grazie a una mia ex (che ora è la mia migliore amica. Ciao Francini!) ho ascoltato musica che non avrei mai e poi mai ascoltato, se non l’avessi conosciuta.
L’atteggiamento di Sebastian è presuntuoso? Sì, è il suo personaggio. Non vi piace? Cambiate film. L’atteggiamento di Mia è remissivo? Ma proprio per niente. E il fatto che arrivi anche lei ad apprezzare e a conoscere il jazz fa di lei solo una persona dalla mente aperta. Insomma, non un’analfabeta che rivendica la libertà di sentire musica di merda, tanto per dire, eh, senza voler offendere nessuno.
Tutto questo pippone perché?
Perché sono stufa marcia di avere a che fare con queste prese di posizione. Mi hanno sfiancata, mi hanno distrutta e stanno arrecando al cinema, alla narrativa e alla libertà (questa sì) creativa in generale, dei danni incalcolabili. E non solo: stanno avendo un effetto deleterio sulle quelle stesse cause nobili e sacrosante che, in teoria, dovrebbero difendere.
Noi che ci teniamo dovremmo fare attenzione per primi a non eccedere, a non vedere il male ovunque. Perché se è vero che dalla nostalgia alla reazione il passo è breve, lo è anche dalle accuse immotivate alla censura.

31 commenti

  1. Troverei divertenti – se non li trovassi spaventosi e pericolosi – quelli che si indignano per il razzismo percepito nel fatto che persone appartenenti a una certa razza non siano rapresentate secondo i più bassi cliché razziali.
    Tutte le persone di colore, paiono sottintendere gli articolisti, conoscono “geneticamente” il jazz megliodi qualunque bianco. Un po’ come dire che hanno il ritmo nel sangue – e chi non lo dice è razzista.
    Un po’ come l’argomento – nell’articolo del Post – per cui spiegare il jazz a una donna è offensivo perché ci sono donne che fanno jazz. E allora? In quale modo questo rende tutte le donne automaticamente “jazz savvy”?
    E ricordo ancora l’indignazione di alcuni, perché nell’ultimo Tarzan un uomo cresciuto in Africa spiegava l’Africa a un uomo cresciuto in America. Razzista e offensivo, poiché l’americano era di colore – e quindi l’Africa la conosceva… boh, a livello genetico? Aveva anche quella nel sangue, assieme al ritmo?
    Lo ripeto – sarebbero spaventosamente ridicoli se non fossero ridicolmente spaventosi.

    1. Ma, e l’ho anche scritto, se il protagonista fosse stato nero e non bianco, si sarebbero inventati la storiella del ruolo stereotipato e il film sarebbe stato ugualmente razzista.
      Stessa cosa con Tarzan: a (paradossalmente) ruoli invertiti, ovvero il nero che spiega la giungla al bianco, il film sarebbe stato accusato di fare del razzismo dando una rappresentazione distorta del personaggio di colore.
      Non se ne esce. O meglio, se ne esce se ognuno parlasse solo di quello che lo tocca da vicino: i bianchi devono parlare solo di “cose da bianchi”, i neri di “cose da neri”, i maschi di maschi, le femmine di femmine.
      In questo modo, azzeri qualunque forma di creatività, ma fai felici i SJW.
      E infatti è ridicolmente spaventoso.

  2. dal punto di vista dei detrattori, l’esercito dei cagatori di minchia è composto da quelli che di stracciano le vesti per questo film, ovvio.
    Chazelle è bravo da far spavento, “Whiplash” è uno dei miei film preferiti e “La La Land” è sicuramente uno splendido musical che fa leva in modo prepotente su sentimenti, ingenuitá, classicismo, cc. ecc.. (anche se mi ha fatto venir voglia di strapparmi via gli occhi e i c…. a differenza di una cosa dirompente come “Romeo + Juliet” di Luhrmann, ma quello coi musical è un problema mio).

    Dal canto mio – al netto delle accuse di razzismo e conservatorismo di cui sopra, mosse da gente che dovrebbe riempire il proprio tempo libero con attivitá più gratificanti tipo spalare la merda – condivido il post in cui sostieni che di questi tempi la gente non conosce mezze misure: o capolavoro di straziante bellezza, o insulto all’arte da prendere pubblicamente a sassate.
    Secondo me è un bel film.
    Che non mi piace affatto, ma un bel film.

    1. No, in realtà, se leggi il post di Kara è ben spiegato che “il cagatore di minchia” non è uno che esprime entusiasmo per un film, il che è perfettamente lecito e legittimo, ma quello che gli va, appunto, a cagare la minchia, per puro sprito polemico.

  3. Blissard · ·

    Per quanto strano ti possa sembrare detto da uno come me, che – come si evince dalla prosopopaica discussione tra i commenti ad Arrival – tende a cercare un sottotesto politico o educativo in ogni pellicola, trovo aberranti le critiche dal sapore politically correct imperanti nella critica cinematografica “seria”.Questa cosa per cui se nel film non c’è una percentuale sindacale di coloured, gay, minoranze religiose e/o musicali allora c’è del marcio la trovo aberrante.
    Faccio un film nel quale il protagonista ama il jazz classico e si preoccupa per il fatto che sta scomparendo, e c’è qualcuno che mi viene a dire: 1. è bianco, quindi non può amare il jazz come un nero; 2. se fosse una persona seria, amerebbe anche il jazz contemporaneo… bah….
    A questo punto accusiamo Gene Kelly di preferire i tempi in cui le donne non avevano parola perchè in Singing in the Rain ammette di ammirare il cinema muto…

    Per tornare a La La Land, devo ammettere che dopo una mezzora di film mi sono ritrovato ad odiarlo: la pacchianata danzereccia iniziale in autostrada mi ha irritato, i primi balletti di Emma Stone li ho trovati legnosi, lo sfoggio di virtuosismi registici spesso inutili e gratuiti mi ha fatto storcere il naso. Poi, gradualmente, i personaggi hanno iniziato a prendere consistenza, i virtuosismi sono diventati funzionali, le canzoni e i balli hanno cominciato a “comunicare” qualcosa, le banalità su Hollywood sono state sostitutite da un amore profondo per il Jazz e per il cinema classico. Ho trovato il film di Chazelle una celebrazione/omaggio dal musical hollywoodiano anni 40-50 che per fortuna non rinuncia ad un nucleo emozionale in favore dell’asetticità postmoderna dei soliti omaggi-sberleffi contemporanei, e alla fine posso dire che mi è piaciuto anche un bel po’.

    1. No, non mi pare affatto strano. Credo che siano due piani molto diversi di approccio ideologico.
      Che poi io non sia d’accordo con entrambi, è un altro discorso. A me non piace l’approccio ideologico in quanto tale, perché parte dall’ideologia e poi guarda al film. Ma resta il fatto che questo particolare modo di criticare un film, andando a cercarsi apposta razzismo o sessismo dove non ci sono è molto più pernicioso.

  4. parlando di un altro dei casi recenti, c’è anche chi si è “indignato” perché in Arrival, dopo l’aneddoto dei canguri, Whitaker risponde “ricorda cosa è successo agli aborigeni: una razza superiore li ha invasi e sterminati”. come si permette di parlare di RAZZA SUPERIORE!?!

    1. Eh, ma Arrival è stato anche tacciato di militarismo e antiabortismo.
      Il risultato è che oggi, scrivere e dirigere un film (o scrivere un romanzo) è come camminare sulle uova. Ed è pericolosissimo.

  5. Kara Lafayette · ·

    Parlare bene, con senso critico, di un film non ha la stessa rilevanza del parlarne furiosamente male. Questo mi sembra l’andazzo, ormai. Quindi l’esercito dei cagatori di minchia è composto da detrattori che passano il tempo a trovare nelle loro strane meningi, argomenti bislacchi per distruggere.
    Possiamo affermare che “vende” di più un affossamento che un elogio.
    Grazie della citazione! ❤

    1. Sì, una stroncatura fa centinaia di visite in più di un articolo che parla bene di un film.
      Potrei scrivere: La La Land (o altro titolo di successo a caso) è caccapupù!!111 e farei molte più visite di questo articolo.

  6. Avendo visto il film col mio ragazzo accanto posso confermare comunque un’ironica punta di maschilismo che è totalmente avulsa da quello descritto dalla giornalista del Guardian (una pazza). A un certo punto, durante la scena a tavola, Mirco si gira e mi dice “E belin, non vi va mai bene niente. E se non ho il lavoro devo cercarmi il lavoro figo, se ho il lavoro figo con John Legend non sono più quello di una volta… ma che palle!”
    Questo giusto per stemperare i toni di polemiche che non dovrebbero nemmeno esistere, non con un film del genere, perché va bene fare della sana critica ma fare la punta al ca**o in questo modo no andando a scomodare problemi assurdi no, dai!

    1. Ma sì, battute di questo tipo ci stanno in ogni storia d’amore che, a un certo punto, vede un qualunque tipo di conflitto.
      Ma da qui a parlare di sessismo, ci passa un abisso.
      La giornalista del Guardian è folle, davvero.

  7. Francini te salutat 😀 ❤

    1. Quale onore!

  8. applausi a questo pezzo da uno che non sopporta le ideologie e le censure di ogni tipo.

    1. Io più che altro non sopporto chi deve per forza trovare ideologia dove non c’è. Non ho nulla contro la politica in sé e non ho nulla contro il cinema politico. Mi urtano le interpretazioni capziose e ideologiche, quello sì.

  9. A me pare che di musicisti Jazz, assai bravi e importanti, bianchi ve ne siano. E che il sessismo sia in certi prodotti dove la donna serve solo per inquadrature anatomiche

    1. Eh, anche a me pare così. Ma evidentemente ci sbagliamo tutti quanti 😀

  10. L’approccio ideologico al cinema, oltre ad essere piuttosto limitato per un analisi vera e propria di un film, è spesso viziato da un’incapacità di vedere qualsiasi sfumatura; ragion per cui mi tocca sentire in giro che Silence di Scorsese sarebbe propaganda cattolica, Arrival antiabortista, La La Land sessista e razzista (assurdamente persino il GGG sarebbe un film che celebra l’autoritarismo con la regina Elisabetta, ma fatemi il piacere). Nella maggior parte dei casi davvero non capisco se il film lo abbiano visto o ne abbiano letto il riassunto su mymovies

    1. Io credo che, nella maggior parte dei casi, parlino di film che non hanno visto, per sentito dire.

  11. Giuseppe · ·

    La mia impressione è che pochi si rendano veramente conto di quanto si stia alimentando a dismisura una falsa percezione della polemica e della stroncatura, viste sempre più spesso come un qualcosa di autorevole, coraggioso e non allineato a prescindere: tutte caratteristiche da “spirito libero” capace di vedere e capire in un film quello che agli altri, poveri coglioni superficiali e conformisti con i loro pareri positivi ed entusiasti (nonché basati su argomentazioni e senso critico che la controparte sempre più spesso ignora), è negato. E questo, lo sappiamo bene, è ben diverso anche dal parlare negativamente di un film con quella cognizione di causa che non preclude assolutamente il confronto… è che purtroppo i cagaminchia del web si sentono autorizzati a procedere nella loro missione pure in virtù degli “illustri” esempi dati dalle firme presunte autorevoli: quell’articolo su La La Land è chiaramente una gran puttanata, ma è pubblicato sul Guardian (vuoi mettere la visibilità? Magari un giorno diventano anche loro talmente fighi da finire su di un grande quotidiano, dai!). Giusto un esempio per rimanere dalle nostre parti: qualche post fa, Lucia, nei commenti ricordasti come Fofi aveva giudicato Sully secondo una visione “Trumpianamente” preconcetta ed a me è ritornato alla mente come un bel po’ di anni fa, parlando del personaggio di James Bond, si superò definendolo sommariamente una sorta di mito per “maschi frustrati”. Certo, ai tempi non immaginavo ancora quanti “piccoli Fofi” si sarebbero sparsi nella rete 😦
    P.S. Da giovane io ascoltavo pure la rumenta, eh. Sì, proprio quei Duran Duran lì 😉

    1. Ma tutti da giovani abbiamo ascoltato la musica pop del periodo storico in cui vivevamo. Però da qui a dire che, se qualcuno tenta di allargare i nostri orizzonti, sta facendo paternalismo ed è “sessista” ci passa un abisso in mezzo.
      Rivendicare la propria ignoranza musicale come atto di femminismo a me pare folle 🙂

      1. Giuseppe · ·

        Decisamente! 🙂 Permettere di ampliare la conoscenza, far scoprire e apprezzare tutta quella buona musica (e, ovviamente, il discorso si può applicare a molto altro ancora) di cui magari sapevi poco o niente… ma anche nell’ottica come minimo “distorta” di quell’articolo, dove starebbero paternalismo e sessismo in tutto questo? E dove mai potrebbe avere un senso quell’atto di femminismo quando ci si tenga volutamente in una posizione marginale e limitata (e dovrebbe essere esattamente il contrario)? Davvero, certa gente usa i termini completamente a caso…

  12. Riguardo al jazz la penso come il post. Non è il cuore del film ma il discorso sul jazz non e’ marginale. L’idea conservatrice che ha Chazelle del jazz è evidente: tre film su tre parlano anche di questo. ” Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Se lo spettatore è interessato anche di musica e del discorso sulla musica, ciò può avere un peso non trascurabile.

    1. Va bene, Chazelle è musicalmente conservatore, anche se, nell’intervista compresa nell’articolo in questione spiega che cosa intende per essere conservatori.
      ma, anche se fosse, questo fa di La la land un film reazionario? O ancora, questo implica che l’unico jazz possibile sia quell0?
      O, peggio, questo fa di La La Land un trattato di storia del jazz?
      Il cinema va criticato in questo modo?

  13. Non per questo..al limite per altri motivi. I suoi personaggi sono determinati a raggiungere, costi quel che costi, i loro sogni. Tutto il resto è corollario. Per raggiungere i loro scopi sono disposti a tutto..e questo è ancor più evidente in Whiplash..lotta all’ultimo sangue per un posto al sole. Questo è sufficiente per definire i film reazionari..o per giudicare il regista come tale? Per alcuni critici..magari politicizzati..magari di sinistra..cio è sufficiente. In ogni modo non ho problemi ad apprezzare film o libri il cui messaggio ideologico non mi appartiene. Continuerò a rivedermi i film di Don Siegel e a rileggere i libri di Heinlein…con gusto e senza problemi. Anche se…ecco c’è sempre quell’anche se…

    1. Sì, ma il ragazzo di Whiplash non è un personaggio positivo.
      E comunque non è lotta all’ultimo sangue, ma applicazione ossessiva.
      La critica “di sinistra”, qualunque cosa voglia dire questa definizione, ha evidenziato che ci sarebbe nei film di Chazelle questa esaltazione della competizione con annessa glorificazione del sistema capitalista e a me pare una forzatura macroscopica, perché si parla sempre e comunque di musica, e musica molto complicata da eseguire, come il jazz, dove se non ti metti sotto e non ti fai un culo tanto, non sarai mai in grado di emergere.
      Allora forse il problema sta proprio nell’emergere in quanto tale. Ma se scegli di fare il musicista, devi voler emergere in qualche modo, non ti va di restare nella mediocrità.
      Il “messaggio”, sia in Whiplash che in La La land, è più sottile e sfumato del successo a ogni costo.
      Né il ragazzino di Whiplash né Sebastian hanno successo come noi lo intendiamo. Sebastian alla fine apre solo il suo locale, il ragazzo di Whiplash riesce a impressionare il suo professore. L’unica ad avere successo è Mia.

  14. Si..la la land è più sfumato e non mi trovo d’accordo neanche con chi ha definito Whiplash una favola per gonzi di destra. Pero’ qualche dubbio lo insinua. Prendi il personaggio dell’insegnante..così simile per certi versi al caporale di Full metal jacket. Entrambi i registi, a mio avviso, trattano il personaggio non con distacco, prendendo posizione. Il caporale è una maschera grottesca deficiente, mentre l’insegnante, che utilizza analoghi strumenti di coercizione, ne viene fuori quasi come un eroe incompreso. Chazelle non fa altro che rivalutare la figura dell’insegnante dickensiano, brutale e sadico.

    1. O la figura di qualsiasi insegnante di un qualsiasi cartone giappo con cui siamo cresciuti…
      Oppure ricalca la dinamica del film sportivo classico, con il maestro un po’ aguzzino.
      Sono tante le interpretazioni, ma bisogna anche sottolineare che il finale del film rappresenta un enorme schiaffo morale per l’insegnante: il ragazzo “vince” improvvisando, facendo quindi una cosa del tutto imprevedibile e togliendo, in quel momento specifico, al suo maestro l’autorità.
      C’è anche la battuta: “Ti faccio segno io”.
      A me è parsa una rivendicazione.
      Poi sì, i dubbi ci sono sempre, il film è ambiguo, e su questo siamo d’accordo. Ma io apprezzo i film ambigui.

  15. […] articolo sul sito Il giorno degli zombie critica le critiche a La La Land, che è stato tacciato di essere un film reazionario, sessista e […]

  16. Naturalmstyc · ·

    Per niente d’accordo sui Duran.

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