Lo splatter. Corpi fatti a pezzi. Sangue che imbratta le pareti. Occhi strappati via. Stomaci squarciati e intestini dati in pasto a una folla di invasati cannibali. Uno sfrenato baccanale di sadismo, automutilazione, masochismo e morte. Visioni dell’inferno che sembrano uscite dal Dario Argento delle Tre Madri e un accanimento sulla carne che invece arriva dritto dal Fulci più estremo e viscerale.
Non guarderete Baskin per la sua trama. La conoscete già: una squadra di poliziotti riceve una chiamata da una zona periferica della città, un posto fuori mano, noto perché si racconta qualche aneddoto su delle messe nere e delle persone scomparse, sede di una antica stazione di polizia del XIX secolo. Sapete già cosa li attende, in quella vecchia stazione abbandonata. Non è una sorpresa.
Non guarderete Baskin per lo stile di Evrenol, perché si vede che è ancora acerbo, che questo è un esordio in cui ha voluto buttare dentro un po’ di tutto e mostrare al mondo ciò di cui è capace e, a parte un abuso fuori scala di soggettive tremolanti in ambienti bui illuminati solo dai fasci di luce delle torce, non c’è moltissimo da segnalare.
Lo guarderete per la stessa ragione per cui, dopo tanti anni di visioni più o meno sanguinolente, più o meno forti, vi piace ancora sguazzare nel sangue. Lo guarderete perché ha un’estetica così selvaggia e primordiale da riportare il cinema splatter (categoria dell’horror purtroppo sempre più destinata a diventare parodia) quasi alle sue origini.
Ed è sempre così, quando manca una tradizione in materia. O si va sul citazionismo spinto o si cerca di fondare un qualcosa che non esiste. E quindi, questo horror turco possiede la freschezza degli esperimenti, la faccia tosta di spingersi oltre i limiti e la violenza liberatoria di chi si diverte a far casino per partito preso.
Questo è Baskin. Una scheggia che procede alla velocità del suono di efferatezza in efferatezza e non si vergogna di niente, perché non ha niente da perdere.
Non parte subito forte, Baskin. Ha un’introduzione, che serve a presentare la squadra di agenti destinata a passare una pessima notte, abbastanza lunga. I vari protagonisti non vengono approfonditi individualmente, ma solo per quanto riguarda le dinamiche di gruppo. Poliziotti del turno di notte, che si conoscono e lavorano insieme da tanto tempo, in pausa a un ristorante prima che il loro giro di pattuglia cominci. C’è il novellino, il capo anziano e con un ruolo paterno, il bullo, lo sbruffone, quello da poco entrato nella squadra oggetto degli scherzi altrui.
Eppure, in questa atmosfera di normalità cameratesca, alcuni dettagli non tornano. Qualcuno si sente male, ha una sorta di crollo nervoso. E quella carne che mangiano a cena è particolarmente strana e di dubbie origini.
L’atmosfera si fa sempre più straniante, fino a sconfinare in toni onirici e surreali, quando i nostri si avvicinano col furgone al luogo della chiamata e investono un uomo. O, meglio, credono che si tratti di un uomo, ma non possono stabilirlo: il furgone esce fuori strada e finisce in un corso d’acqua e, chiunque sia finito sotto le ruote, sparisce nel nulla.
Cercare una qualunque forma di coerenza narrativa, da questo punto in poi, è un’impresa disperata. Bisogna solo lasciarsi sommergere dalle secchiate di sangue e materia organica che Evrenol ci tira in faccia e accettare l’andamento onirico e allucinato delle visioni di morte e frattaglie che i protagonisti si trovano ad affrontare nel loro viaggio all’inferno.
Sì, c’è un culto orgiastico all’interno della vecchia stazione di polizia e c’è un sacerdote capo, che tortura e uccide uno dopo l’altro i poliziotti, mentre declama i precetti dettati dalla sua particolarissima visione del mondo. Ma il tutto avviene come se fosse un sotto-livello di un sogno fatto di infinite stratificazioni. Un incubo di cui stiamo vedendo appena una delle possibili facce. Quasi che ogni angolo della stazione, ogni perversione intravista di sfuggita, ogni figura coperta di sangue e mutilata che si aggira per quei corridoi avesse una sua storia da raccontare e la sceneggiatura ne avesse scelta una tra milioni. E forse, ciò che ci è concesso di vedere non è l’inferno, ma un minuscolo frammento di esso.
Esplosivo. Ecco, questa è una definizone che mi sembra a Baskin calzi a pennello. Non sto qui a dirvi che si tratta di un film non per stomaci deboli. Se siete lettori abituali di questo blog, lo stomaco forte ce lo avete tutti. Come ho ripetuto più volte, non ci vuole niente ad avere lo stomaco forte, basta aver visto sei o sette film di un certo tipo e lo stomaco si rafforza da sé. Ma Baskin, più che per stomaci forti è per chi riesce a sostenere gore estremo non abbinato all’ironia. Se si esclude, infatti, la sezione iniziale, con i poliziotti che cazzeggiano tra loro al ristorante (e anche lì, ci sarebbe da discutere, perché c’è comunque un’atmosfera pesantissima) Baskin non usa mai la violenza in chiave comica o grottesca. La usa per colpire e far del male. Nessun alleggerimento comico, nessuna battuta che porti un briciolo di sollievo. Se scegliamo di entrare nella vecchia stazione di polizia, dobbiamo sapere che stiamo per finire in un mattatoio.
In questo senso, Baskin è esplosivo e ci riporta alle origini del gore, al suo significato primigenio, quello rabbioso ed eversivo. Perché, oggi, i corpi distrutti con svariate metodologie più o meno creative, portano di solito alla risata liberatoria. Non qui. Non in Baskin. Non si ride mai. Ci si cala nella disperazione della vittima inerme e non se ne esce più, neanche alla fine.
Il che, indovinate un po’, ci porta tra le braccia di Lucio Fulci.
Lo so, poi dite che sono monotematica e che vedo Fulci dappertutto. Ma non è colpa mia se, con gli anni, è diventato un nume tutelare per tantissimi registi di ogni parte del mondo.
Il gore, in Baskin, è quello della famosa trilogia della morte. E anche la narrazione non lineare, gli inserti onirici, lo scarso interesse per il racconto in sé, il procedere per accumulo di immagini disturbanti, il porre i protagonisti a contatto con un concetto di Male che non è sopprimibile, non svanisce con la fine del film, ma anzi, si estende dal film alla vita reale, sono tutti elementi tipicamente fulciani, che Evrenol utilizza nel suo film in maniera troppo studiata per non essere consapevole.
E poi ci sono gli omaggi diretti, come le tarantole e la deorbitazione dell’occhio. Per non essere del tutto ingiusta e di parte, devo ammettere che si sente, molto forte, la presenza di Argento, soprattutto se guardate il finale con attenzione. Vi ricorderà di sicuro qualcosa che avete già visto in passato.
Ma, nonostante questi rimandi che è doveroso riconoscere, Baskin è un’opera molto personale, anche ambiziosa, ed Evrenol dimostra di possedere, se non uno stile perfettamente controllato, una creatività furibonda e nessuna paura di osare.
Vado a memoria, ma non credo siano molti gli horror turchi ad avere una così ampia risonanza a livello internazionale.
Se volete assistere a un lungo incubo rosso sangue della durata di un’ora e venti, Baskin è il film che fa per voi.
Poi non dite che non vi avevo avvisato.
ti credo sulla parola, ma un tuo affezionatissimo lettore, con lo stomaco deboluccio ce l’hai: io. ^_^
Ma no, hai visto film ben peggiori di questo e ne sei uscito senza problemi 😀
Che bello leggere i tuoi post di prima mattina 😄 vedrò questo film.
P.S. Dopo Cannibal Holocaust e Martyrs lo stomaco é diventato insensibile
Infatti i nostri stomaci ormai sono foderati di amianto 🙂
Mio! Sai che a volte non sono per le mezze misure e se deve essere estremo voglio che lo sia fino in fondo!
E questo film lo è fino in fondo e non chiede scusa.
Lo cercherò!
L’ho trovato un po’ di giorni fa, ma devo ancora vederlo. Se dici che merita, gli troverò un po’ di tempo 😀
Sì, sì, merita. Fino a ora, è l’horror più violento del 2016. E chi siamo noi per dire no a tante frattaglie?
Una sana carneficina.
Ogni tanto ci vuole.
Sono onestamente tentato dalla tua recensione di andare a vederlo… Sebbene davvero non sia il mio genere di horror. Hai la qualità di farmi rivedere alcune mie storiche posizioni! Grazie
E’ il mio prossimo della lista, dopo l’appena recensito “The Invitation”. Quindi non leggerò per ora la tua rece 🙂 Tornerò dopo aver visto il film 🙂 Baci.
Un po’ dell’Argento dei bei tempi andati, un bel po’ di Fulci e anche qualcosina del Barker di Hellraiser, forse (per via dell’uso per nulla ironico del gore), il tutto contenuto in una personale opera al sangue che non ha paura di tenere il piede sull’acceleratore… Spero di farcela a vederlo. Sai, sono così sensibile e impressionabile 😉
Scena horror turca in fermento e tenuta d’occhio anche in occidente, considerato che del film ha fatto una recensione tempo fa persino il sito di Roger Ebert.
Eccessivo e disequilibrato ma dalle innegabili qualità espressive, ricco di elementi perturbanti anche nei segmenti apparentemente più neutri, Baskin è un torture porn metafisico, vicino nello spirito alle operazioni compiute da Fulci nei primi anni 80 e da Clive Barker poco dopo.
Possiede poi un merito non da poco: spinge a recuperare la filmografia orrorifica turca degli ultimi 10 anni; dopo averlo visto ho recuperato D@bbe (del 2006, ingegnoso adattamento lowbudget di una frase specifica del corano a spunti di pellicole nipponiche quali Kairo, Suicide Club e Ringu) e Semum (del 2008, possession movie dal budget sottozero e un po’ caciarone, ma anch’esso dotato di scene dalla forte carica perturbante).
Bella recensione sanguigna la tua, Lucia.
E’ proprio il film che fa per me! Grazie per il passaggio…ehm, consiglio😊
Visto! Valido!