Cerdita (Piggy)

Regia – Carlota Pereda (2022)

Torniamo a parlare di horror spagnolo, sempre foriero di grandi soddisfazioni, e cominciamo subito col dire che, nella mia top 20 di fine anno, che sarà enunciata (insieme a quella di Marika) nell’episodio speciale di Nuovi Incubi, rischio di avere la bellezza di due film provenienti dalla Spagna. Il primo è diretto da un colosso del cinema del terrore europeo (indovinate voi chi) e il secondo è questo esordio in un lungometraggio di una regista che ha all’attivo parecchi corti, tra cui quello che ha fornito lo spunto per questo film, un segmento di un horror antologico uscito nel 2021 e diversi episodi di serie tv. Di Cerdita si parla con un certo interesse da circa un anno, perché ha debuttato al Sundance a gennaio, ottenendo un’accoglienza molto calorosa, poi si è fatto il suo consueto giro per i vari festival, compreso l’immancabile Sitges, è uscito in Spagna (e negli Stati Uniti) a ottobre e sta facendo un figurone un po’ dappertutto. Figurone meritatissimo, dato che io di rado ho assistito a una roba del genere nella mia oramai lunga carriera di spettatrice horror.

Cerdita è la storia di Sara, una liceale che vive in un piccolo paese sperduto da qualche parte in Estremadura. È estate, un’estate rovente e Sara, quando non deve studiare o aiutare i suoi nella macelleria di cui sono proprietari, se ne va a fare un bagno nella piscina locale, stando ben attenta a capitare lì negli orari meno affollati. Anzi, possibilmente quando non c’è nessuno, dato che la ragazza è sottoposta a costante bullismo da parte delle sue coetanee per via del suo corpo non conforme. Un bel giorno, le sue aguzzine pensano bene di portarle via vestiti e zaino mentre lei è in acqua, così da obbligarla a farsi tutto il tragitto di ritorno a casa in costume da bagno. Peccato che le ragazze vengano rapite da un serial killer. Sara vede in faccia l’uomo, vede le altre venir portate via su un furgone, ma, anche per ovvi motivi, non muove un dito per dar loro una mano. Sembra quasi sviluppare un certo tipo di legame con l’assassino, che nei suoi confronti si pone come una sorta di vendicatore dei torti subiti. Ma Cerdita non è un film come tutti gli altri, e ciò che accadrà a Sara, all’uomo misterioso che rapisce e uccide giovani donne, e alle sue vittime, è decisamente imprevedibile.

Nonostante si tratti, e lo abbiamo detto tante volte, di un genere molto vicino agli outsiders, nemmeno l’horror è mai riuscito a venire davvero a patti con i personaggi grassi. Al contrario, nell’affrontare questa particolare problematica, non è molto dissimile dal cinema “rispettabile”. Alla fine, se sei grasso, finisci sempre relegato sullo sfondo: o sei una vittima o fai da spalla ad altri personaggi magri, quasi sempre per evidenziare quanto la tua esistenza faccia schifo rispetto alla loro, oppure sei direttamente il mostro, il cattivo, la minaccia. Difficile, se non impossibile, trovare un horror in cui una ragazza grassa sia la protagonista assoluta, l’eroina, la final girl. 
Cerdita è qui per cambiare tutto. Grazie a una prova d’attrice impressionante di Laura Galán, nonché alla regia attenta e precisissima di Pereda, abbiamo una nuova icona da mettere accanto alle final girl più famose della storia del genere, e quando vedrete Sara camminare lungo una stradina di campagna con il corpo ricoperto di sangue, capirete perché. Come dicevo in apertura, roba mai vista. 

Cerdita è il nomignolo che le sue compagne di scuola danno a Sara; questo già dovrebbe farvi capire che il film è una visione dolorosa, almeno per la prima mezz’ora. Ci sono un paio di sequenze che hanno tutte le caratteristiche per innescare delle reazioni traumatiche e io devo ammettere di essere stata costretta a mettere in pausa e alzarmi per sgranchirmi per gambe, perché su certe cose finisco sempre per essere turbata. Anche perché, nel caso di Cedrita, il racconto è tutto dal punto di vista di Sara. È il soggetto del film, non l’oggetto di scherno dello sceneggiatore o regista di turno, non so se è chiaro. C’è proprio un salto di prospettiva che ti fa vivere l’intera vicenda nei panni di questa ragazza vessata dai coetanei e poco capita dagli adulti. Invisibile fino a quando qualcuno non si accorge del suo peso e, per questo, condannata a subire di tutto solo per il fatto di esistere in un corpo che non corrisponde a certi parametri. La sola idea che un personaggio come Sara possa essere eroico è rivoluzionaria. Ma la strada per arrivare a essere l’eroina della sua storia è lunga, tortuosa, disseminata di ostacoli. Credo perché Sara per prima non riesce a vedere se stessa in quel ruolo. Il pubblico non riesce a vedercela perché è abituato a considerare un corpo come il suo un qualcosa contro cui puntare il dito, il bersaglio di una burla crudele, al massimo, se si è benintenzionati, l’oggetto di una pietà che maschera il ribrezzo. 

E quindi Sara all’inizio lascia che le sue torturatrici vengano portate via, non parla con la polizia, non dice la verità a sua madre, acconsente anche a che il killer si insinui gradualmente nella sua vita: è giovane, è spaventata, non è affatto l’eroina perfetta e santa che ci aspetteremmo, è arrabbiata, è rancorosa. E pure con una certa ragione, dico io. Forse, in un film americano, Sara si sarebbe davvero alleata con l’assassino per ottenere la sua sacrosanta vendetta, finendo tuttavia per ricadere nello stereotipo della mostruosità, dell’aberrazione, del grasso come sinonimo di reietto che non solo accetta la propria condizione, ma la amplifica. 
Però Cerdita è un’altra cosa. Cerdita ci vuole dare un modello differente di eroina horror, senza minimizzare o annullare la crudeltà degli altri e il dolore che patisce Sara nel subirla, ma senza nemmeno che questi diventino gli unici elementi atti a delineare la sua personalità e senza che il film lasci intendere che, in fondo, è colpa sua. 

Sara non è soltanto un personaggio ben scritto, è anche ben messo in scena: c’è un gran lavoro da parte della regista nell’inquadrare il corpo della sua protagonista senza mai cercare di nasconderlo o, peggio, di renderlo grottesco come spesso avviene al cinema con i corpi non conformi, quasi che non esistesse un linguaggio in grado di rappresentarli. E invece Pereda sembra lo abbia trovato e ci si trovi anche molto a suo agio, priva di qualsivoglia forma di pudore o timidezza. Cerdita è un film spietato, sgradevole, violento, ma non nei confronti di Sara; è un horror ruvido, che ha la trama di un torture porn dei primi anni 2000, ma si va poi a sviluppare in maniera molto originale e sorprendente; non lo si può definire gore perché molto spesso gli atti efferati compiuti dall’assassino sono lasciati fuori campo, ma in un paio di sequenze non lesina nel sangue, tanto che, nel finale, la nostra Sara ne è, proprio come le final girl della new french extremity, ricoperta dalla testa ai piedi. 
È un gran bel film di genere, Cerdita: funziona, ha ritmo, tiene col fiato sospeso, ha degli ottimi attori, ma soprattutto è una grandissima prova dietro la macchina da presa di questa regista esordiente che ha fatto ciò che nessuno aveva avuto la voglia di fare prima di lei. 
Cerdita è candidato a tre premi Goya. Speriamo se li porti a casa e che arrivi, in qualche modo, anche in Italia.

3 commenti

  1. Giuseppe · ·

    I film a tematica bullista mi fanno sempre un male boia eppure non posso fare a meno di guardarli ogni volte e, per tutti i motivi che hai elencato, Cerdita mi pare lo meriti in modo particolare…
    P.S. Non ricordo se te l’avevo già chiesto ma,, sempre a proposito di bullismo, l’avevi visto Tormented?

  2. alessio · ·

    Il bel corto da cui parte era una storia che stava in piedi da sé, questo lungometraggio che per i primi 12/14 minuti ricalca quasi fotogramma su fotogramma il corto di cui sopra l’ho trovato una bella sfida per dare (parafrasando Nabokov) a quel corto gli artigli di un lungometraggio. Missione riuscita. Scusami ma ti contesto l’audacia (più formale che di sostanza) della Pareda perché sì, Sara/Piggy è grassa ma la Galán è decisamente avvenente (e la discriminazione nella vita e, in parte, nelle sceneggiature è rivolta più verso i brutti che per i grassi: basta vedere l’ultima pubblicità della Intimissimi, piena di modelle curvy – come dicono quelli bravi – curvy ma da lasciare gli occhi sullo schermo). Anche il finale è poco coraggioso, io avrei preferito una carneficina, piena di senso di odio e voglia di vendette più che coprensibili perché alla fine i sentimenti che ci muovono e la cattiveria sono lì stessi per qualunque bilancia. E non diluiti dalla ciccia.

    1. Scusa ma che vuoi fare abolire la bellezza fisica? Se la regista ha voluto galan vuol dire che era adatta per il personaggio anche fisicamente e che per una pubblicità di intimo vengano ingaggiare fotomodelli o fotomodelle curvy o non curvy ma comunque bellocci/e mi pare legittimo

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