Prey

Regia – Dan Trachtenberg (2022)

La questione principale, e poco compresa, relativa al Predator originale del 1987 è che McTiernan vi stava prendendo per il culo. Sì, dico proprio a voi, figli degli anni ’80 cresciuti guardando Rambo II e Commando, e convinti che Predator fosse la storia di un gruppo di maschi tutti d’un pezzo, uomini che non devono chiedere mai, tutti azione e poco pensiero: vi siete sbagliati. Predator è una satira, che in alcuni casi sfiora la parodia, dell’action reaganiano. E lo so che è dura da digerire e rovina un sacco di infanzie, ma è ora che entriate nell’età adulta, perché anagraficamente ci siete già da un po’, e impariate a distinguere quando vi fanno le carezzine da quando vi menano per il naso.
Predator è sempre stata una, come dicono quelli bravi, destrutturazione dell’arroganza statunitense così come il cinema ce l’ha mostrata nel corso degli anni ’80. Ed è una cosa evidente, dichiarata, bisogna essere un po’ distratti per non rendersene conto. 

E sapete chi è stato particolarmente distratto? Chiunque abbia messo mano a uno dei sequel o remake o reboot del film del 1987, con una parziale eccezione per il secondo capitolo che arriva all’inizio degli anni ’90 e quindi, quasi per costituzione, scivola (non si sa con quanta consapevolezza) nel camp spinto sin dalle prime battute. A parte questo dettaglio, forse accidentale, ogni volta che si è tornati a parlare dell’alieno guerriero con le treccine, non ci si è voluti impegnare a proseguire sulle orme del capostipite, e quindi ironizzare sul modello di mascolinità considerato vincente all’epoca dell’uscita del singolo film. Se ci fate caso, di Predator ne è uscito uno nel 2010 e un altro nel 2018, e nessuno dei due ha mai nemmeno provato a replicare la sofisticata operazione di McTiernan, a dimostrazione del fatto che Shane Black è una truffa ambulante e, nella realizzazione del 1987, non ha praticamente avuto alcun ruolo di rilievo. 

Chi invece ha guardato Predator con grande concentrazione sono stati lo sceneggiatore Patrick Aison e il regista Dan Trachtenberg, responsabili di questo particolarissimo film che prende la sfortunata saga iniziata nel 1987 e finalmente la porta nel XXI secolo. Non è affatto contraddittorio che Prey sia ambientato nel passato, nel 1719 a voler essere precisi, e sia quindi una sorta di prequel del capostipite, cosa che ha fatto, per ragioni a me del tutto incomprensibili, fatto salire le vibranti proteste del fandom maschile. Ma mai quanto il fatto che, questa volta, a interpretare il ruolo principale sia una giovane donna. Ancora peggio, una giovane donna Comanche, che signora mia, dove andremo a finire se pure a combattere con gli alieni ci mettiamo le femmine e nemmeno sono bianche? Il crollo di tutto ciò che la civiltà occidentale ha sempre rappresentato non può che essere dietro l’angolo. E magari, aggiungo io. 

Naru (Amber Midthunder) vorrebbe diventare una cacciatrice come suo fratello Taabe (Dakota Beavers), ma pare non esserci particolarmente portata. Mentre, con la sua cagnolina Sarii, segue le tracce di un cervo, assiste all’atterraggio della navicella del predator sulla terra. Ovviamente, Naru non ha idea di cosa abbia appena visto. Per lei si tratta di un fulmine. Solo che il predator è davvero arrivato sul nostro pianeta, e si mette lui in caccia, alla ricerca di un avversario degno di lui. L’intera costruzione narrativa del film si basa da un lato su questa ricerca dell’alieno, che passa dai serpenti ai puma, agli orsi e, infine, agli esseri umani, e dall’altro sui tentativi di Naru di mettere alla prova se stessa di fronte al fratello e alla sua tribù. Come tutti ci aspettiamo, i due personaggi entreranno in rotta di collisione, ci saranno morti e feriti e si arriverà, per forza di cose, allo scontro finale. 

La domanda che ci si dovrebbe porre quando si parla di Predator è se sia la mera forza bruta a sconfiggerlo o la tattica e la strategia. L’alieno è un cacciatore esperto ed è sì molto potente e possiede una tecnologia superiore alla nostra (lo era negli anni ’80, figuriamoci nel 1719, anche se qui è più rudimentale), ma è soprattutto un tizio che sa come si mette in scacco la propria preda. Non a caso, il titolo del film è Prey, perché il ruolo di preda e cacciatore si scambia spesso nel corso della vicenda, come si modificano i rapporti di potere tra i personaggi umani, e come si invertono le dinamiche interne alla tribù e al gruppo di cacciatori che, da un certo punto in poi, dovrà vedersela con il mostruoso ospite venuto dallo spazio profondo. 

Profondamente ferita da esperienze pregresse (il Predator del 2018 è un insulto all’intelligenza umana, aliena e artificiale), mi sono avvicinata a Prey con poche aspettative. Era comodo su Disney Plus, avevo un mezzo pomeriggio libero nel corso di un’estate abbastanza movimentata e ho scommesso soprattutto sul regista, che nel 2016 mi aveva regalato un horror bellissimo, 10 Cloverfield Lane. Ci ho sperato, e non perché io abbia poi chissà quale legame con Predator, ma perché ci tenevo a che ne uscisse fuori un buon film, mi incuriosiva questo cambio di prospettiva e trovavo anche molto intelligente l’idea di ambientare lo scontro umano vs alieno in un’epoca poco frequentata dal cinema di fantascienza. 
Credo sia stato compiuto un ottimo lavoro, sia da un punto di vista estetico che concettuale, e senza tralasciare il fattore intrattenimento, che è molto alto.

Prey è un film contemporaneo per temi, spunti di riflessione, rappresentazione di categorie sempre lasciate ai margini del racconto e, da qualche anno a questa parte, pronte a conquistarne il centro; è un film che parla di ruoli di genere, di infrazione delle regole socialmente imposte, di colonialismo e di identità culturale. Ma parla anche, e ne parla benissimo, di un alieno alto più di due metri che è lì per cacciare, lottare, ammazzare qualunque creatura gli sbarri il cammino, e dei tentativi, spesso maldestri, di un gruppo di personaggi per accoppare lui. In questo è fedelissimo allo spirito dell’originale, anche perché Trachtenberg e i tecnici degli effetti speciali hanno preferito far ricorso il più possibile a trucchi di natura artigianale. Il predator non è realizzato in post produzione, è uno stunt in costume (Dane DiLiegro), e questo fa tutta la differenza del mondo. È un film solido, muscolare, terribilmente coerente e e coeso. Soprattutto è un film che ha capito il valore satirico di chi è arrivato prima di lui, e non si è limitato a capirlo, ma lo ha ricontestualizzato ai tempi attuali, facendo incazzare un sacco di gente con seri problemi di approccio all’età adulta. 
Quindi, se vi capita, vedetelo e affrontatelo privi di pregiudizi. 
Piccola chiosa per ringraziarvi tuttə dei commenti e dell’affetto che mi avete dimostrato nel post di mercoledì. Cambieranno alcune cose, ma di sicuro non cambierà il fatto che vi voglio bene. 
Alla prossima!

8 commenti

  1. Più che di “distrazione”, nel caso della cinematografia degli anni ’80, credo sia stata una scelta consapevole per assencondare una certa deriva ideologica – tutti i grandi franchise testosteronici del decennio cominciano col numero 2 … non è stupido e testosteronico Rocky, non lo è Rambo, non lo è Predator. Non lo è nemmeno Conan. I numeri 2 cambiano tutto questo, e spingono l’idea dominante dell’eroe ipermuscolare che vince picchiando più forte i nemici di quanto loro possano picchiare lui.
    Succede troppo spesso perché sia un caso o una “distrazione”.
    Direi quasi che si tratta di un dirottamento.

  2. Oh, finalmente. Ero stufo delle recensioni che “se non sei un marine di cento chili come lo batti l’alieno?”. Grazie.

  3. <>.
    Non ti piacerà: vedrai.

    1. Ops! sopra nel virgolettato citavo il tuo:
      “Il crollo di tutto ciò che la civiltà occidentale ha sempre rappresentato non può che essere dietro l’angolo. E magari, aggiungo io”.

  4. Bentornata Lucia,questo “Prey” l’ho visto,ma onestamente al di fuori del primo “Predator” l’unico altro film con l’alieno armato che ha trovato il mio consenso e’ stato “Alien VS Predator” di qui adoravo la storia dei visitatori dal cielo che incrociavano le loro vie con l’antico popolo umano,insegnadogli le arti costruttive ma al tempo stesso sfruttandoli come incubatori per creare il loro trofeo piu’ ambito,gli Xenomorfi,”Prey” ci tengo a precisarlo non e’ un brutto film,ma sono stato uno spettatore passivo durante la visione,il che’ di solito non e’ un buon segno,preferisco la spacconaggine tamarra di Paul W.S.Anderson che con il suo crossover fece incazzare tutti gli amanti della saga,ma mi pare che sia ancora oggi l’unico ad essere stato realmente creativo nel rielaborare la creatura e il suo rapporto con il pianeta terra in modo netto,comunque ciao ti mando un salutone Lucia😺!

  5. Giuseppe · ·

    I fumetti già avevano presentato una splendida protagonista cacciatrice fin dal 1990, Machiko Noguchi, personaggio chiave di Aliens vs Predator e di altre avventure successive… Nessuno, purtroppo, l’ha mai considerata a tal punto da pensare di portarla su grande schermo e certo questo non avverrà nemmeno con la Disney, indefessa e implacabile eliminatrice di ogni universo espanso appartenuto in precedenza ai fantascientifici franchise da lei acquisiti (fatto che mi rende sempre più difficile -per usare un eufemismo- approcciarmi senza pregiudizi ai prodotti della Casa del Topo) 😦

  6. Davide Locatelli · ·

    Ma anche io ho sempre ritenuto satira il primo predator. E già il primo film evidenziava che non era la tecnologia o l’ipertrofia a tener testa al Predator. Lo stesso Swarzy lo batte con astuzia e tecniche di caccia arcaiche. Che si avrebbe potuto utilizzare anche una piccola donna. D’altra parte come puoi pensare di battere sul piano fisico un essere che lotta con un grizzly e che tiene testa a marine di 100kg😁

  7. L’introduzione che hai scritto focalizza perfettamente il film del 1987, complimenti. “Prey” l’ho trovato pure io un buon film, niente per cui mi strapperei i capelli, ma fa esattamente quello che un blockbuster dovrebbe fae sempre, intrattenere e seppur superficilamente, innescare qualche riflessione.

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