
Regia – Brendan Muldowney (2022)
Non può essere sempre Ti West e non si può sempre parlare di film del peso di X (anche se ne riparleremo venerdì, oramai dovreste sapere anche in che modalità); ogni tanto, anzi, ogni spesso, diciamo le cose come stanno, si ha solo bisogno di un horror di buona fattura per rilassarsi, provare qualche spavento classico, anche un po’ di maniera che non ha mai fatto male a nessuno, e far scorrere un lunedì sera senza troppi scossoni. Ecco, se cercate una cosa del genere, The Cellar è esattamente il film che fa per voi, almeno fino agli ultimi 10 minuti.
Ho usato il termine classico perché The Cellar è davvero, per stile, messa in scena, uso degli spazi e persino dei jump scare, un’operazione di stampo classicista. Il suo spunto di partenza lo abbiamo visto decine di volte, come conosciamo già i tipi umani rappresentati dai suoi personaggi principali. Poi, dimostrando una certa scaltrezza, introduce quel paio di elementi di originalità, senza che tuttavia vadano a intaccare la struttura di base del film, e verso la fine ti si rivolta contro rivelando la sua vera anima e riuscendo addirittura a sorprenderti. Insomma, non è per niente male.
The Cellar è l’espansione di un cortometraggio che, nel 2011, fece un discreto rumore, The Ten Steps. Vi consiglio di guardarlo, ma non di notte e non se siete da soli. Io vi ho avvisato, poi fate voi. Ovviamente, un film di 90 minuti non può avere dalla sua la caratteristica principale e più pregevole di uno che di minuti ne dura 9, ovvero l’essenzialità e la mancanza di spiegazioni per ciò che vi accade. Se un corto ha bisogno di una situazione efficace, un lungo ha bisogno di una storia e l’irlandese Muldowney, che dirige e sceneggia, si industria come può a crearne una in grado di portarlo proprio dove andava a parare il suo corto, solo che questa volta ha un budget per farci vedere dove sta andando a parare.
Una famiglia compra all’asta una grande casa della quale non conosce le origini, ma non ha molta importanza: Keira (Elisha Cuthbert che torna all’horror dopo 15 anni) e Brian (Eoin Macken), l’hanno acquistata per i loro due figli. Il posto è vecchio, un po’ polveroso, ha bisogno di una rinfrescata, ma può diventare una casa bellissima lavorandoci sopra.
Certo, la figlia adolescente Ellie non è proprio entusiasta della cosa, e non perde occasione per farlo notare, con una certa crudeltà, a Keira.
Capita che una sera Keira e Brian debbano lavorare fino a tardi, e che Ellie rimanga da sola con il fratello minore Steve. Capita che vada via la luce e che Ellie debba scendere in cantina a riattivare l’interruttore. La ragazza ha paura, la cantina non le piace per niente, ma Keira, al telefono, le dà un consiglio: conta i gradini per distrarti, io resterò qui in linea per tutto il tempo. I gradini della scala che porta in cantina sono dieci. Quando Ellie arriva in fondo, la madre la sente continuare a contare fino a quando non cade la linea. Lei e il marito si precipitano a casa, ma Ellie è sparita senza lasciare traccia. Brian e la polizia sono certi che si sia allontanata di sua volontà, ma Keira comincia a indagare sulla storia della casa e sospetta che non si tratti di una fuga adolescenziale, ma di qualcosa di molto più inquietante e malvagio.
The Cellar ha almeno due aspetti molto interessanti, il primo narrativo, il secondo estetico: invece di andarsi a cercare la solita maledizione, paventata persino da alcune leggende che circolano in relazione alla casa (ci abitava una strega, qualcuno ha venduto l’anima al demonio), la sceneggiatura cerca di intraprendere una strada meno battuta e anche più complessa, non riuscendoci sempre e facendo anche un po’ di confusione, ma è comunque un tentativo da apprezzare in un horror che, lo abbiamo già detto, si pone come una classica storia di casa infestata per poi svelare che no, non si tratta proprio di quello. Il suo vero volto il film lo porta alla luce molto gradualmente, ed è questa gradualità a essere efficace: Muldowney sa che, a partire dall’assunto “c’è una cantina che fa scomparire la gente” non ha poi delle carte meravigliose da giocarsi, e non commette l’errore di mostrarle tutte e subito per agganciare lo spettatore all’inizio e poi restare senza altre opzioni che alzare il volume e fare i numeri da circo. No, lui è furbo, gestisce tutto con adeguata lentezza e accompagna una vicenda che sì, in alcuni momenti scricchiola, con un’estetica così morbida e avvolgente che quasi non ci si fa caso.
A parte qualche scena di raccordo e una di spiegone, The Cellar si svolge per la sua totalità all’interno della casa appena acquistata dai protagonisti, una casa che ancora non è caratterizzata dalla loro presenza: sono arrivati da poco e non fanno neppure in tempo a svuotare gli scatoloni che Ellie scompare. A quel punto, occuparsi dell’arredamento passa in secondo piano. È quindi un ambiente colto proprio nel bel mezzo di una trasformazione interrotta ed è uno spazio che, per i personaggi, è ancora poco familiare.
Muldowney sfrutta molto bene la natura transitoria del luogo principale della sua storia, gioca proprio sulla scarsa confidenza tra esso e la famiglia che ci è andata ad abitare: un’improvvisa perdita di corrente, in una casa che si conosce, può causare al massimo un’alzata di spalle, ma in una che, al contrario, è ancora ignota e non vissuta (non da noi, almeno) assume tutt’altra valenza. E così, la macchina da presa si concentra su tutti gli angoli ciechi e bui, sui corridoi impolverati, su armadi a muro che nascondono pertugi fatti di tenebre. Più che fare paura, The Cellar è sottilmente sinistro; più che sui jump scare, dispensati col contagocce, è il film di progressiva costruzione di un’atmosfera opprimente.
Ora, se non lo avete visto, vi conviene fermarvi qui.
The Cellar ha un gran da fare nel depistare lo spettatore verso uno scenario alla The Changeling (c’è persino la pallina che rimbalza sulle scale), tanto per capirci. Ma ha un’anima de li mortacci nostri, ovvero, è un film così Fulciano che io a un certo punto mi aspettavo entrasse a palla il tema de L’Aldilà, perché siamo ai limiti del plagio. Mi ero anche fatta lo screenshot di un’inquadratura, ma poi non ho voluto inserirla, nonostante la sua evidente bellezza: era troppo rivelatrice della natura più profonda del film, che si trova davvero a metà tra Quella Villa Accanto al Cimitero (dopotutto parliamo di cantine) e L’Aldilà. Manca lo splatter ma, da un punto di vista concettuale, di rado ho assistito a un film contemporaneo con una comprensione così accurata del pessimismo cosmico di Lucio Fulci e delle sue implicazioni.
Da un horror quasi “per famiglie”, non mi aspettavo un finale così beffardo e gelido.
The Cellar potrebbe essere scambiato per uno di quegli horror “a formula”, nati sulla scia del successo dei vari The Conjuring, magari condito con un paio di intellettualismi in più. Poi si arriva agli ultimi 10 minuti e il regista ti prende a ceffoni per averla solo pensata, una bestialità del genere.
Non è un film eccezionale, non è nemmeno bellissimo: si limita a essere buono e a funzionare come un trattore diesel vecchio di 30 anni, fino a quel guizzo, a quel colpo di coda che all’improvviso lo trascina su tutt’altro livello.
Bastano 10 minuti a rivalutare l’intera visione di un film? Dipende dai 10 minuti. In questo caso sì.
Lo trovate, tanto per cambiare, su Shudder.
Le storie aventi a che fare con le cantine mi affascinano (e mi spaventano in ugual misura), quindi lo recupererò 😉 Qui poi mi pare di sentire degli echi del primo Lovecraft, nella fattispecie per il triste destino riservato all’occultista Harley Warren…