
regia – John Andreas Andersen (2021)
Da qualche anno a questa parte, il cinema catastrofico scandinavo sta attraversando un periodo d’oro. Nel 2015 avevamo parlato di The Wave, che è stato il film responsabile della nascita del filone; alla regia c’era Roar Uthaug, l’uomo dal nome più bello del mondo e stella del cinema di genere norvegese dal lontano 2006, quando dirige Cold Prey. Poi Uthaug se ne va a Hollywood, dove lo chiamano a realizzare il reboot di Tomb Rider, non la migliore delle scelte di carriera per lui, ma questa è un’altra storia. Per dare un seguito a The Wave, che fu un grande successo in patria e all’estero, ci si affida ad Andersen, già ottimo direttore della fotografia di film del calibro di Babycall, tanto per dirne uno. Nel 2018 esce The Quake, in cui gli stessi protagonisti del film precedente devono vedersela con un terremoto che devasta Oslo. Non è bello come The Wave, ma solo perché si perde un po’ l’effetto novità e la sfiga cosmica del geologo Kristian rende faticoso sospendere l’incredulità. A parte questi dettagli di scarsa importanza, The Quake funziona alla grande e, come il suo predecessore, è di una cattiveria infernale.
The Burning Sea si svolge su una scala più piccola rispetto a The Quake: lì era una intera città colpita da un terremoto, qui parliamo di alcune piattaforme di trivellazione nel Mare del Nord che rischiano di colare a picco e creare una catastrofe ecologica perché, trivella che ti trivella, abbiamo combinato un bel guaio e ora tocca evacuare ogni singola piattaforma e sperare che non crolli tutto.
Spoiler: crolla tutto, ma non siamo a Hollywood, per cui i procedimenti di evacuazione procedono con ordine ed efficienza, tranne che in un caso. Una persona rimane bloccata su una delle piattaforme e la storia di The Burning Sea è tutta sul suo salvataggio.
In realtà, ma anche questa è una cosa comune a The Wave e a The Quake, The Burning Sea è un romance incartato dentro una confezione da disaster movie che riesce a funzionare in maniera egregia in entrambi gli ambiti, e a creare un equilibrio che è spesso irraggiungibile per gli omologhi statunitensi, con budget sei volte più elevati.
La differenza sta tutta nel modo in cui si sceglie di rappresentare i vari personaggi coinvolti, di sfuggire alla retorica da salvatori dell’intero universo conosciuto e di concentrarsi su un evento che si ha, realisticamente, la possibilità di tenere sotto controllo, anche se a costo di un enorme sforzo, individuale e collettivo. Per questo The Burning Sea è interessante sia su larga che su piccola scala: i due fattori si intrecciano, entrano in conflitto l’uno con l’altro, si ostacolano e, alla fine, trovano un punto d’incontro. Se il film è principalmente la storia di una donna che rischia la vita per andare a recuperare il suo compagno rimasto sulla piattaforma, larghissimo spazio viene dato anche a chi sta cercando di risolvere il problema più grande e più grave: la fuoriscita di petrolio che, se arrivasse sulle coste norvegesi, potrebbe generare un vero e proprio cataclisma. Il film è stato in grado di raccontare l’eventualità di questo orrore senza perdere di vista i suoi due protagonisti, e viceversa.
Certo, per come sono fatta io, la vicenda del geologo e della sua famiglia in The Wave e the Quake rientrava più nella mia sfera di interesse, ma anche così, si segue il film con trepidazione e non si respira un secondo fino alla fine.
C’è anche da aggiungere che i vari personaggi che incontriamo nel corso del film non sono eroi o superuomini, sono bravi professionisti intenti a fare il proprio lavoro al meglio delle loro possibilità, date le circostanze. Sono preparati, ma sono anche persone comuni, e anche questo è un dettaglio importante da tenere in considerazione: non c’è The Rock che salta da un grattacielo all’altro; c’è una scienziata che progetta robot subacquei alla ricerca di un sistema per tirare fuori se stessa, il suo compagno e un suo collega da una situazione molto complicata.
Ecco, più che su scala meno vasta, questa nuova generazione di catastrofici del Nord Europa si svolge su una scala più umana, nonostante i catastrofici americani vogliano farci credere che The Rock sia un semplice padre di famiglia. Qui gli attori hanno tutti l’aspetto di impiegati del catasto, e lo stesso fisico muscoloso.
Ricordando di sfuggita che l’investimento per un film come The Burning Sea è circa un decimo di quello riservato a una qualunque follia di Emmerich (che io adoro, sia chiaro, non fraintendetemi), gli effetti speciali, curati da Storm Studios, già all’opera in The Wave e The Quake, sono impressionanti e migliorano, diventando sempre più credibili, di film in film. Il collasso della piattaforma su cui si trova il nostro povero protagonista è da stropicciarsi gli occhi, ma è la presenza perenne e invisibile dei vfx a fare di questo lavoro un piccolo saggio su come utilizzarli in maniera massiccia senza che l’occhio dello spettatore ne venga sopraffatto. E vi assicuro che sono ovunque, perché quasi nulla è girato dal vero e alcuni ambienti sono interamente ricostruiti in post.
Poi sì, non è perfetto: The Wave era perfetto e The Quake gli andava subito dietro, in particolare perché si manteneva spietato e imprevedibile. Qui abbiamo almeno un personaggio che ha scritto in faccia: “morirò male” dal primo momento in cui entra in scena; aver scelto come cuore narrativo della vicenda una storia d’amore non lascia troppo spazio a mosse inattese o a svolte che ti fanno saltare sulla poltrona e poi maledire il regista; infine, il numero molto limitato di attori in campo toglie qualcosina alla gioia, tipica di un film catastrofico (pensate al Poseidon) di fare il toto morti.
Mi ricordo in particolare due personaggi che venivano ammazzati senza troppe cerimonie in The Wave e in The Quake e io, abituata alle regole non scritte del catastrofico americano, non riuscivo a credere ai miei occhi. Manca questo, in The Burning Sea, il brivido di non essere al sicuro, la sensazione di tensione palpabile che deriva dal saper rendere ogni singolo protagonista sacrificabile, senza plot armor che tenga.
Ma, minuzie a parte, rimane grande intrattenimento fatto con classe e con coscienza ecologica. Da proiettare nelle scuole.
L’aver abbandonato in parte la spietatezza e l’imprevedibilità dei film precedenti, anche in funzione di un nucleo narrativo forse ritenuto più appetibile a una vasta platea (la storia d’amore, appunto), può certo aver fatto perdere qualche punto a The Burning Sea, sì. Ma comunque avercene, di film catastrofici capaci di distaccarsi dal canone a stelle e strisce (nulla contro Emmerich -tranne Godzilla, ovvio 😛 – ma, ogni tanto, ci sta bene avere un’alternativa) …