
Creata da Rebecca Sonnenshine (2022)
Neanche l’avessi fatto apposta (e no, non sono in grado di programmare i miei pasti, figuriamoci gli articoli del blog), questa settimana è uscita fuori tutta dedicata al found footage, e in ogni sua forma: quello a bassissimo costo del cinema indie, quello che si mette in competizione (e la vince) con i blockbuster, e oggi quello televisivo, anche se parlare di found footage per Archive 81 è abbastanza riduttivo: quello del filmato ritrovato è soltanto uno dei linguaggi utilizzati da questa serie, sbarcata su Netflix il 14 gennaio e diventata un piccolo caso. Non avrei mai creduto che una narrazione con questi ritmi potesse sfondare, e invece Archive 81 è stata vista e apprezzata da tantissime persone. La cosa non può che farmi piacere, dato che si tratta dell’unico prodotto televisivo intimamente lovecraftiano disponibile al momento. Sì, torneremo a breve su questa affermazione. Ma prima, cerchiamo di capire cos’è Archive 81.
Innanzitutto è una serie prodotta da James Wan e tratta da un podcast uscito nel 2016 e strutturato come un radiodramma. Anzi, possiamo tranquillamente parlare di radiodramma, soprattutto se pensiamo che una delle fonti di ispirazione principale dei suoi creatori è War of the Worlds di Orson Welles. Ciò che tuttavia ci interessa qui è che il podcast stesso usava la tecnica del found footage come perno di tutta la vicenda. Non so perché, e forse andrebbe fatta una riflessione a riguardo che adesso non ho voglia di fare, ma se i film found footage o mockumentary te li tirano letteralmente dietro e continuano a spuntare da ogni angolo, la stessa cosa non si può dire per le serie tv, che si contano sulle dita di una mano e credo ne avanzino pure un paio.
Io, che sono una romantica, faccio risalire la ritrosia televisiva ad appropriarsi di questo specifico linguaggio allo shock culturale causato da Ghostwatch nel 1992. Ma, in maniera molto più semplice, sarà in realtà dovuta al fatto di somigliare troppo alla programmazione televisiva ordinaria. Insomma, c’era un cortocircuito linguistico in atto, tutt’oggi non ancora risolto. E infatti, le poche serie che si sono presentate come found footage (mi viene in mente The River) non hanno avuto una lunghissima vita. Altra storia sono invece le web series, magari quelle amatoriali e/o ispirate a dei creepypasta. Lì di materiale ce n’è quanto ne volete, e sarebbe divertente farci una ricerca, avendone il tempo.
Tornando ad Archive 81 che come al solito divago troppo, racconta di un restauratore di materiale video, Dan, che riceve l’incarico di riparare e digitalizzare delle vecchie videocassette risalenti al 1994 profondamente danneggiate dal fuoco.
Erano appartenute alla studentessa Melody, che le aveva usate per riprendere la sua ricerca su un condominio di New York e la varia umanità che lo popolava, il Visser. Nessuno sapeva cosa fosse accaduto nel palazzo, se non che, a un certo punto e per ragioni imprecisate, era stato distrutto da un incendio. Melody è data per morta, insieme a tutti gli abitanti del Visser.
Dan non ha idea del perché gli sia stato offerto questo lavoro. Oltretutto, il suo committente (un immenso Martin Donovan) pone anche delle condizioni bizzarre, e sembra sapere ogni cosa di Dan, anche della morte della sua intera famiglia proprio in un incendio. Ma paga molto bene e così Dan accetta e comincia il suo restauro in una villa isolata in mezzo ai boschi.
Succederanno cose, nel 1994 e nel 2021.
Devo ammettere di aver avuto qualche difficoltà, all’inizio, con Archive 81. Non mi ha presa subito e ho fatto fatica ad aggiustarmi al suo andamento, nonché a empatizzare con il protagonista Dan, interpretato da Mamoudou Athie, bravissimo anche lui, ma stranamente apatico e molto poco reattivo. Al contrario, Melody, nel 1994 (Dina Shihabi) è un personaggio molto più facile con cui entrare in sintonia, come del resto la situazione al Visser solletica sin dall’inizio la curiosità, piazzando quel paio di dettagli fuori posto che fanno drizzare le antenne e focalizzando l’attenzione sulla weirdness degli inquilini e i segreti che nascondono.
La verità è che Archive 81 ci mette comunque un bel po’ a ingranare, ma non è che diventa bello o interessante da un certo punto in poi: lo è sempre, e tutto ciò che viene seminato nei primi tre episodi torna molto utile nei successivi. In altre parole, non si tratta di un inizio “sbagliato”: è tutto voluto e sta a noi farci ipnotizzare da questa vicenda di orrore cosmico a lenta combustione.
Perché di orrore cosmico parliamo. Non è uno spoiler, è palese sin dal titolo italiano della serie che è “Universi alternativi”. Come al solito, si tratta di un’aggiunta didascalica e anche non del tutto corretta, ma che la barriera tra presente e passato, e tra il nostro mondo e un qualcosa di alieno che sbircia da un indeterminato altrove, sia molto sottile e facile da infrangere è un elemento che ci viene offerto quasi subito. Anzi, questa “sottilità”, per usare un termine kinghiano, è la chiave per decifrare Archive 81.
Ora, è un discorso che qui è stato fatto molto spesso: esiste il cinema tratto da Lovecraft e quello lovecraftiano, che non ha affatto bisogno di creature tentacolari per essere tale. Al contrario, un racconto per immagini si può definire lovecraftiano quando riesce a riportare il senso di smarrimento di fronte all’enormità che Lovecraft era così bravo a rendere su carta.
Come per il discorso già fatto sul found footage, le serie tv capaci di offrire quel tipo così particolare e specifico di atmosfera sono molto rare. E no, Lovecraft Country compie un altro tipo di operazione: instaura un dialogo con Lovecraft nel tentativo di metterne in luce tutti gli elementi problematici, ma anche quelli che possono ancora parlare a noi contemporanei.
Archive 81 non si pone in comunicazione diretta con Lovecraft, ma è lovecraftiano come lo sono parecchi film di Justin Benson e Aaron Moorhead, che non a caso dirigono i due episodi migliori della serie, tanto per chiudere il cerchio. Coglie, narrando una storia che all’apparenza non ha nulla a che spartire con l’immaginario dello scrittore, quella sensazione di vivere in bilico, e allegramente inconsapevoli, sull’orlo di un abisso pronto a inghiottirci da un istante all’altro, l’idea che ci sia qualcosa di cattivo, o ancora peggio, di indifferente alla nostra esistenza, che è trattenuto soltanto da una fragilissima membrana e potrebbe piombare qui da un istante all’altro, se le circostanze diventassero favorevoli.
Ancora più estremo e lovecraftiano, come concetto, è quello che ci vede, in sostanza, come esseri primitivi e selvatici, pronti a farsi sedurre senza curarsi delle implicazioni morali, dalle sirene dell’altrove.
A questo, aggiungete anche l’uso della tecnologia delle due epoche in cui la serie è ambientata, quella analogica degli anni ’90 (e si vedrà anche della pellicola degli anni ’20, a un certo punto: non credo che la scelta del periodo storico sia casuale) e quella utilizzata in maniera massiccia da Dan per riportare in vita il simulacro di Melody sepolto sotto i nastri delle vecchie videocassette, e avrete uno splendido esempio di come si porta la concezione dell’universo lovecraftiana nel XXI secolo e la si modifica fino a renderla quasi irriconoscibile e nuova.
Archive 81 è l’ennesima prova della straordinaria (multi) forma dell’horror in questo momento, che ormai dura quasi da una decina d’anni, così straordinaria che persino Netflix tira fuori cose egregie e, nell’ambito del genere, non sbaglia un colpo da mesi.
La speranza è che Archive 81 sia autoconclusiva o che diventi un prodotto antologico alla maniera di American Horror Story, perché la conclusione, al netto di qualche spiegazione di troppo, è stata molto soddisfacente e certi mondi è sempre meglio lasciarli avvolti nel minimo sindacale di mistero, è sempre meglio non azzardarsi a esplorarli fino in fondo.
Devo darle un’altra chance, ho visto la prima puntata e l’ho abbandonata, non amo la forma seriale e purtroppo tendo a mollare alla prima perplessità. Mi ha colpito in negativo il fatto che di Lovecraft non c’ho visto niente, ma il giudizio limitato alla prima puntata vale quello che vale.
Guarda, la prima puntata è introduttiva e ancora non si addentra nel concetto di orrore cosmico. È una serie che ingrana dopo un po’, diciamo che al quarto episodio tira fuori la sua vera natura, ma secondo me vale la pena.
Cosa dire in più? Nulla. Una bella serie, mi ha preso molto e mi ritrovo molto nella tua recensione. Se proprio devo trovare il pelo nell’uovo avrei tagliato un episodio nella evoluzione generale della storia a livello di lunghezza generale e non mi è piaciuta molto l’estetica del villain. Ma sono aspetti veramente marginali.
Molto carina l’ambientazione anni 20 che “spezza”ad un certo punto il ritmo.
PS: la vecchia personaggio inquietantissimo!
Io avrei tagliato qualche minuto a ogni episodio, e alla fine sarebbe stata una serie con episodio in meno 😀
A volte si dilunga troppo e troppo si compiace della sua stessa lentezza.
E poi, nell’ultima puntata ci sono un paio di spiegoni di troppo pure un po’ reiterati, e io voglio che il mio orrore cosmico rimanga poco definito.
Esatto, l’orrore cosmico è come.la povertà ne “la grande bellezza”: non va raccontato, va vissuto!
La serie è piaciuta molto anche a me e spero si concluda così. Ho scoperto da poco questo blog, approfitto per ringraziarla di quanto condivide.
Anche io dopo il primo episodio sono rimasta un po’ perplessa e non ho continuato, però da quello che scrivi sembra invece essere uno di quei prodotti proprio nelle mie corde. Quindi continuerò sicuramente.
Sapete che c’è? Che figata!
(ATTENZIONE, potrei scrivere qualcosa di SPOILEROSO).
Ci ho visto dentro un sacco di roba/significati (li tocco appena). All’inizio mi ha rimandato, già alla prima puntata (forse troppo, in effetti) a mille altri film e racconti, però nel proseguo mi ha lo stesso appassionato e sorpreso (pur andando – anche – lì). Mi sono innamorato dei protagonisti, anche di Dan (ho apprezzato il suo carattere “apatico e poco reattivo” riconducendolo alle sue vicende di vita e anche perché io mi sto scoprendo riflessivo e poco loquace in questo periodo, per cui ho empatizzato molto). L’amicizia tra Dan e Mark è commovente (e non solo quella). Ho percepito nella storia, oltre all’orrore cosmico (e alle conseguenze del suo “fascino”) anche qualcos’altro di molto umano, empatico, disinteressato… (che magari non basta, ma che c’è).
Stuzzicante recensione, anche per aver fugato la mia paura riguardo a un titolo italiano a rischio di spoiler eccessivo, mentre invece leggo che fortunatamente c’è dell’altro… e quindi recupererò, a prescindere dalle lungaggini (comunque perdonabili, tutto sommato).