
Regia – Julia Ducournau (2021)
Viviamo in tempi folli e meravigliosi: se negli ultimi 3 mesi fossi vissuta su Marte, non avessi seguito il festival di Cannes e qualcuno mi avesse detto che questo film ha vinto la Palma d’Oro, gli sarei scoppiata a ridere in faccia e gli avrei detto che non era gentile giocare così coi miei sentimenti. Uscita dalla sala, venerdì sera, non c’era verso di farmi smettere di sorridere. Si vedeva anche sotto la mascherina che avevo un ghigno stampato in faccia da un orecchio all’altro. Voi mi conoscete ormai, e anche piuttosto bene, e quindi sapete che io il cinema dell’orrore lo amo tutto senza fare grosse distinzioni di sotto-generi o filoni. Ho le mie preferenze, questo sì, ma più di tutto il resto, dell’horror mi piace quella capacità, unica, di fotografare il reale raccontando l’assurdo.
Lo è sempre stato, anche nei suoi momenti peggiori, ma mai come in questo periodo l’horror è all’avanguardia. I festival, in teoria, servono anche a premiare e a indicare al grande pubblico le avanguardie, e io lo capisco se qualcuno ha rosicato male perché è rimasto indietro, perché questa idea che, attraverso l’irruzione del mostruoso attraverso lo schermo diventi possibile parlare del contemporaneo in maniera più incisiva di una quarantina di drammi condominiali ambientati nelle palazzine della Roma bene, può sembrare disdicevole, ma è così, e bisognerà prima o poi farsene una ragione.
Cinema francese e horror sono stati, almeno per larga parte dell’inizio del secolo, quasi sinonimi; poi la faccenda è andata in calando, ma non si è spenta del tutto. La New French Extremity non è mai morta, si stava solo trasformando, si stava adeguando ai cambiamenti storici, a una mentalità differente, era impegnata nel complesso passaggio dal nichilismo assoluto dei primi anni ’00 al nuovo sguardo su una nuova umanità di Titane. In un certo senso, l’horror estremo francese ha smesso di pensare soltanto a distruggere, anche se quel lavoro distruttivo andava compiuto, e ha iniziato a creare. Titoli recenti come Revenge, Climax e Raw, esordio di Ducournau, sono sempre caratterizzati dall’essere estremi e viscerali, ma possiedono uno sguardo più leggero, colorato, esplosivo. Dalla marcia funebre a una festosa orgia splatter.
Titane chiude il cerchio che alcuni giovani registi francesi hanno cominciato a tracciare alla fine degli anni ’90: la New French Extremity parte come movimento d’autore radicale, viene fatta propria dal cinema di genere, e ora Ducournau riconcilia le due cose, e tira fuori il “filmaccio” d’autore definitivo.
“Parla di una donna che si scopa un polpo”
“Parla di un tizio che diventa una mosca”
“Parla di una ragazza che resta incinta di un’automobile”
C’è poco da mettersi a fare esercizi intellettuali: sono tutte idee da serie B, ma sono anche grandi film d’autore. E, in fondo, il body horror è forse stato il sotto-genere che, più di tutti gli altri, è riuscito a conciliare alto e basso, triviale e cerebrale, carne e poesia; spesso accusato di esistere per puro gusto di scandalizzare o per provocazione fine a se stessa, il body horror ha sempre fatto storcere il naso alla gente per bene. Sputare su uno slasher è facile, poiché la sua è una natura dozzinale, ma col body horror bisogna fare attenzione, poiché è impossibile non vedere cosa implichi, a meno di non mettersi una benda sugli occhi e rifiutarsi di vederlo, e allora la reazione è quella di sminuirlo, di ridurlo alla stregua di un bambino che dice la parolacce davanti agli adulti.
Considerando che l’horror, andando proprio a sintetizzare, è un bambino che dice le parolacce di fronte agli adulti, si diverte a farlo e sa che non c’è nulla di male, sono accuse che tornano al mittente con una pernacchia.
Però, ribadisco, non c’è nulla di più efficace, per mortificare il lavoro artistico altrui, di metterlo nello scaffale della “provocazione tanto per”.
Credo che Ducournau ne sia perfettamente consapevole, e infatti ha confezionato un film che osa addirittura essere (orrore!) divertente: è pieno di umorismo, certo deviato, ma sempre di umorismo si tratta, e in un paio di scene strappa più di una risata, a dimostrazione del fatto che orrore, repulsione e disgusto vanno sempre a braccetto con l’ironia più tagliente. Ma del resto, anche Raw era così: intratteneva alla grande, aveva ritmo, era colorato, giocoso nel suo rapporto con la messa in scena dell’orrore, e anche nel raccontare il corpo umano come campo di battaglia metaforica, politica e, allo stesso tempo, concreta e tangibile.
Non ho moltissima voglia di tirare fuori i padri nobili dietro Titane: li conoscete tutti, forse tra un Cronenberg e uno Tsukamoto farebbe piacere vedere ogni tanto citato anche Carpenter e la sua Christine, ma non credo sia poi così importante: siamo nel 2021, e ogni singolo film ha dei padri nobili e discende da una tradizione, impossibile solo pensare il contrario. Il punto è come si riesce a non essere soltanto imitativi, a utilizzare gli spunti fondamentali che ci arrivano dal passato per parlare agli spettatori del XXI secolo e non in senso nostalgico, come mero riconoscimento di linguaggi e codici noti agli iniziati, ma creando un qualcosa che appartenga a noi, a questa epoca, a questi anni.
Titane parla innanzitutto di trasformazione, un processo che, a differenza di gran parte del body horror che conosciamo, è connotato in maniera neutra, né positiva né negativa. Sì, è dolorosa, è angosciante, squassa corpo e mente, e su questo non ci sono dubbi, ma la metamorfosi subita dalla protagonista Alexia, che è oltretutto duplice, in quanto non riguarda solo l’essere che porta in grembo, ma la sua stessa identità continuamente messa in discussione, in sé non conduce necessariamente al male, anzi; lo abbiamo detto prima: è una nuova umanità quella che sorge, ed è frutto dell’unione col metallo (e questa è la parte più scontata, se vogliamo), ma anche di creature dal genere indefinito, androgine, e di una forma di amore non normata. Ducournau non ci dà certezze su cosa avverrà dopo questa nascita mostruosa (e anche qui, il termine non ha connotazione negativa), ma possiamo ipotizzare la fine dell’eteronormatività e il collasso della tradizione, che tra l’altro collassa più volte nel corso del film.
In ogni caso, la visione di Titane lascia abbastanza scossi: è un trionfo di suoni, di colori, di musica, di gore e di violenza, ma c’è anche una strana forma di tenerezza, una sensibilità epidermica che ti fa vibrare come se il tuo corpo fosse attraversato da scariche elettriche. La sequenza d’apertura subito dopo il prologo, per esempio, lascia senza fiato perché Ducournau parte con l’acceleratore schiacciato a tavoletta e ti travolge in pochi minuti di cinema talmente grande da farti credere che abbia già sparato tutte le sue cartucce.
E invece no: il film non si calma mai, non si pacifica mai, è un’esplosione dietro l’altra, intervallata da brevi attimi sospesi sull’orlo di un dramma che sembra debba scatenarsi e distruggere tutto, ma di fatto non accade: al suo posto, si fanno strada l’accettazione dell’inaudito, la comprensione della diversità e, ancora, questa bizzarra, oscena, liquida forma d’amore in grado di curare ferite vecchie di decenni e di inaugurare una nuova era.
Non so se Titane sia un capolavoro: è presto per dirlo, e io stessa non sono neppure sicura di averlo capito del tutto. Non è importante che lo sia. È un film che ti toglie la terra sotto i piedi e ti costringe a camminare alla cieca in territori inesplorati, folli e meravigliosi come i tempi che stiamo vivendo.
E questo sì, questo è importante.
Buongiorno Lucia! Raw me lo ricordo,non male mi era piaciuto! Di questo Titane mi pareva di aver letto che sia uscita nei nostri cinema il 1 ottobre,il problema e che ho controllato i 2 multisala che posso raggiungere in automobile,e in nessuno dei 2 cinema l’ho trovato in programmazione,per qui temo che dovro attendere per visionarlo!
Ehhh…Ti ricordi quando rimembravo la mia prof, del Classico che m diceva che non dovevo leggere King? 😀
Bhe, feci in tempo a diplomarmi con un ghigno come il tuo quando Kathy Bates prese l’Oscar per Misery. E aggiunsi alla cara prof. “Ma quello che le da più fastidio, lo so, è che vinca l’Oscar una splendida attrice sovrappeso mentre lei spende metà del suo stipendio dall’estetista”.
Ero un adolescente rancoroso.
Qui c’è un salto di livello mica da ridere.
Alla fine l’horror ha fatto l’home invasion nel salotto buono del cinema. e noi siamo ancora vivi. E ghignamo.
Guarda, io spero con tutto il cuore che questo home invasion dell’horror (tra l’altro definizione azzeccatissima) nei salotti buoni faccia più vittime possibile 😀
P.s.-Quelli che rinfacciano la “provocazione tanto per” solitamente sono adoratori di Lars Von Trier. Quando si dice la coerenza.
bella recensione, anche io ne ho parlato (ma sulla pagina FB); che dire, quando il film è finito tutti in sala sono rimasti qualche secondo a contemplare i titoli di coda 😂
ma a me è piaciuto
Alla tua puntuale recensione mi permetto soltanto di aggiungere che, fra i suoi meriti, c’è anche quello di aver fatto invecchiare di colpo Nanni Moretti 😉
Forse è il suo merito maggiore 🤣