Doveva essere uno degli horror di punta della scorsa stagione cinematografica, la nuova uscita della A24, in questo caso in collaborazione con il BFI, e quindi con la superiore razza britannica. Ma la pandemia aveva altri programmi e Saint Maud se ne è rimasto in magazzino, in attesa di poter uscire in sala fino a quando la distribuzione si è rassegnata e ha optato per una release limitata nei pochi cinema ancora aperti, in contemporanea con l’arrivo del film in VOD e streaming.
Saint Maud è un esordio e la sua regista, Rose Glass, è nata nel 1990; Saint Maud ha ricevuto la bellezza di sedici nomination ai prossimi British Independent Film Awards, che si terranno il 18 febbraio. Vedremo quanti premi si porterà a casa e di quale peso, ma già così è un risultato stupefacente, e se volete conoscere la mia umile opinione, se li meriterebbe tutti, anche se si va a scontrare con un sacco di pezzi grossi.
Se c’è una categoria specifica di horror in grado di mettermi seriamente a disagio è l’horror religioso. Non saprei spiegarne in maniera razionale i motivi, ma credo dipendano dal mio rapporto conflittuale (eufemismo) con la spiritualità e, a un livello più epidermico e di stampo visivo, dall’iconografia cristiana che ho sempre trovato terrorizzante in ogni suo aspetto. Saint Maud appartiene al filone, ma lo affronta da un punto di vista inedito e originalissimo. Si potrebbe quasi parlare di un esorcismo “al contrario”, nel senso che il ruolo del salvatore è rovesciato rispetto alla tradizione cinematografica cui siamo abituati, ma andiamo con ordine.
Maud (Morfydd Clark) è una giovane infermiera privata che va a lavorare a casa di un’ex ballerina e coreografa malata terminale, Amanda (Jennifer Ehle). Maud si è da poco convertita al cristianesimo e la sua è ora una fede totalizzante, è ciò che le dà uno scopo nella vita, un ruolo ben determinato in un universo altrimenti incomprensibile e anche un senso di importanza e sicurezza spesso deragliante in pura presunzione. E infatti si mette in testa di salvare l’anima di Amanda che, nonostante la malattia, beve come una spugna, fuma come una ciminiera e ha persino una relazione con una donna molto più giovane di lei. Maud è convinta che, in un momento così importante della vita di una persona come quello prossimo al trapasso, sia necessario concentrarsi sulle faccende spirituali, ritrovare Dio, e si arroga il diritto di essere lei la guida di Amanda. Soltanto così compierà il suo destino, oltre a riempire il vuoto affettivo ed esistenziale che caratterizza la sua esistenza quotidiana.
Maud non è un personaggio piacevole con cui avere a che fare, e non deve essere stato piacevole interpretarla anche per Clark, che ci si è messa anima e corpo, annullandosi del tutto nella parte, trasfigurandosi nella pelle di questa ragazza che parla con Dio, ne sente la presenza, ne viene posseduta in un’estasi dalle connotazioni quasi erotiche. Ma il nodo centrale di tutto il film è proprio il dubbio sull’identità del Dio di Maud: e se non si trattasse affatto di Dio? Se fosse invece qualcos’altro, molto più sinistro e malevolo?
Per questo parlavo, poco sopra, di esorcismo al contrario: la presunta salvatrice è a sua volta in preda a una possessione di un’entità non meglio specificata, e sì, potete anche chiamarla Dio se vi aggrada, ma la nomenclatura non ne modifica l’essenza, punitiva, sadica, beffarda, come non ne modifica la natura da truffatore.
Può anche darsi, nonostante sia un’interpretazione più banale e, a mio avviso, meno convincente rispetto a quella soprannaturale, che tutto avvenga nella testa di Maud, che non esista alcun essere divino o demoniaco che dir si voglia e gli avvenimenti narrati nel film siano soltanto il frutto di una mente sconvolta dal rimorso, dal senso di colpa e dalla solitudine, che ha trovato un rifugio e uno scopo nella religione. Molti indizi ci fanno capire che prima era una persona molto diversa, e le è capitato qualcosa, quando lavorava in un ospedale, che ha completamente modificato la sua indole e la sua scala di valori.
Maud sta espiando, la sua continua ricerca del dolore ci fa intuire quanto un evento del suo passato recente abbia influito sulla sua conversione, quanto la ricerca di un significato per quello che le è accaduto (e non sapremo mai nei dettagli) sia stata la causa scatenante dell’aver trovato Dio.
Ma, a pensarci bene, le due interpretazioni non si contraddicono per forza: Maud cerca Dio e trova un’altra cosa, la confonde con Dio, con tutte le conseguenze del caso. Eppure, ci suggerisce in maniera molto sottile Rose Glass (anche sceneggiatrice), è la mente di Maud il terreno in cui si svolge il film. Se mi chiedessero di cosa tratta Saint Maud, risponderei soprattutto di un tentativo di dare ordine al caos, di avere delle spiegazioni, di far quadrare i nostri traumi e il senso di inutilità che spesso ci assale, all’interno di un disegno più grande di noi e possibilmente intelligente, per quanto imperscrutabile.
È meglio non comprendere i piani che qualcuno ha in serbo per noi rispetto all’essere consapevoli che non esiste alcun piano.
Saint Maud rientra alla perfezione nella tipologia di horror che ha reso famosa la A24: atmosfere rarefatte, ritmo compassato, cinema di genere e d’autore che convivono tranquillamente senza pestarsi i piedi a vicenda, e anzi, traendo linfa vitale l’uno dall’altro. È un film piccolo, ma molto coraggioso, e superbo dal punto di vista estetico, con un cast che è quasi del tutto al femminile e offre interpretazioni da non credere ai propri occhi.
Ennesima dimostrazione di come l’horror sia in grado di assumere tante forme differenti, affrontando i temi più scabrosi e complessi con la potenza eterna delle sue metafore e del suo linguaggio fiabesco.
Vedetelo, perché qualunque sia la vostra posizione in merito a faccende religiose o spirituali, vi lascerà una traccia addosso, un segno profondo, una cicatrice.
Decisamente un gran film, anche se a livello puramente emotivo non mi ha coinvolto più di tanto proprio per la “sgradevolezza” della protagonista, interpretata divinamente da Morfydd Clark (Un nome che tra qualche mese sarà sicuramente sulla bocca di tutti anche grazie alla sua partecipazione all’imminente serie del Signore degli Anelli). Però dal punto di vista cinematografico-registico non c’è assolutamente nulla da eccepire, un esordio pazzesco (la regista ha la mia età, questo mi fa sentire molto inutile). A livello stilistico non c’entra nulla, ma dal punto di vista tematico il film mi ha ricordato “Frailty” di Bill Paxton.
Sì, non è un film che mira al coinvolgimento, è comunque raggelante e ha una protagonista con cui non si può entrare in sintonia, perché è lei la prima a mettere un muro.
Tu pensa che la regista ha 12 anni meno di me 😀
Notevole, film che mi inquietato in molti punti, Morfydd Clark e’ una piacevole scoperta per me, qualche punto oscuro al passato di Maud non ci e’ stato spiegato, ma va bene cosi, anche se qualche idea mi sono fatto.
Curioso il fatto che le 2 protagoniste hanno recitato in film differenti ma con il titolo simile,
Morfydd Clark in Pride and Prejudice and Zombies e Jennifer Ehle in Pride and Prejudice.
Un 9 meritato.
Grazie a Lucia per l’ottima recensione.
“iconografia cristiana che ho sempre trovato terrorizzante in ogni suo aspetto”, ah quindi non sono l’unica. Questa cosa mi consola…