Regia – Vincent Paronnaud (2020)
Voi Parronnaud non lo conoscete, però lo conoscete lo stesso, perché è il co-sceneggiatore e co-regista di Persepolis e non è neppure nuovissimo al genere horror, in quanto ha diretto una sorta di parodia di un’invasione zombie qualche annetto fa. È comunque una sensazione strana, quella di ritrovarlo al timone di un thriller così convenzionale e lineare come Hunted, entrambi gli aggettivi non intesi in senso necessariamente negativo: Hunted vuole seguire uno schema classico, non ha alcuna intenzione di reinventare il filone della caccia all’uomo (in questo caso, alla donna): ci mette soltanto quella tonnellata di stile in più che riesce comunque a elevarlo al di sopra della media, e quel gusto tutto francese (anche se la produzione è franco-belga-irlandese) per mettere a disagio lo spettatore in ogni modo possibile e immaginabile.
Certo, dopo l’esperienza così rinfrescante di un film come Promising Young Woman, Hunted parte svantaggiato, ma non può essere sempre caviale e ogni tanto è anche bene tornare coi piedi per terra.
Devo ammettere che mi ritrovo qui a scriverne non in relazione a chissà quale entusiasmo, ma perché mi ha davvero creato dei problemi di sopportazione, almeno in alcune scene. Mi è parso di ritornare al periodo breve e intenso della new french extremity, anche se Hunted è girato in inglese e distribuito a livello internazionale dalla solita Shudder, sempre nei nostri cuori.
Ève (Lucie Debay) è in viaggio di lavoro per supervisionare la costruzione di complesso residenziale in un paese anglofono non specificato. Credo si tratti degli Stati Uniti, ma non viene mai detto con precisione dove ci troviamo. L’unica indicazione certa è che Ève è francese. Dopo una giornataccia e una discussione telefonica col presunto fidanzato, Ève decide di lasciare il cellulare in albergo e di andare a bere qualcosa in un locale. Subito arriva il coglione di turno che insiste a volerle offrire qualcosa, diventa pesante e molesto e viene fermato soltanto dall’intervento di un altro avventore, che pare una persona normale e tranquilla. I due ballano, ci scappa un bacio, e finiscono per appartarsi nell’auto di lui.
Ma ovviamente lui (accreditato nei titoli semplicemente come “The Guy”) è un pazzo sadico assassino con la fissa degli snuff movie e, insieme a un suo complice/succube, rapisce la povera Ève e la chiude nel bagagliaio, per portarla chissà dove a fare chissà quale orrida fine. Per fortuna, Ève riesce a liberarsi e a scappare, e comincia così la caccia nei boschi.
Come dicevamo all’inizio, Hunted ha una struttura molto lineare e riserva poche sorprese a livello narrativo. Ma ciò non gli impedisce di essere un film parecchio strambo. Un po’ perché trattasi in realtà di una rielaborazione della favola di Cappuccetto Rosso, cosa che si evince anche dalla felpa rossa con cappuccio indossata dalla protagonista; un po’ perché Paronnaud adotta uno stile caotico e viscerale che mette a durissima prova i nervi di chi guarda. Più volte, durante gli 97 minuti di Hunted mi sono trovata a chiedermi se non sarebbe stato più efficace come film d’animazione, tanto è stilizzato il racconto e tanto i simbolismi usati da Paronnaud per dare un significato contemporaneo al fiabesco incontro tra una fanciulla e un lupo, sono a volte così invadenti da cozzare con l’apparente realismo della narrazione.
Cappuccetto Rosso è, lo abbiamo detto anche parlando di sue rivisitazioni molto più riuscite di questa, la classica cautionary tale; insegna alle bambine a non andarsene in giro da sole e a non fidarsi in generale. Ed è una lezione inculcata così in profondità nella coscienza di tantissime donne, che per noi è normale vivere in un costante stato di all’erta, un terrore perenne, ma sopito quel tanto che basta da permetterci di funzionare. Ma è una cosa abbastanza estenuante e quindi, prima o poi, capita di abbassare la guardia.
Ora, il punto è quanto sia corretto, lecito, valido da un punto di vista etico, fare dell’exploitation sulla vicenda di una donna che a un certo punto abbassa la guardia e la paga cara, perché, per quanto la vendetta finale violentissima sia dolce, restano sempre svariati minuti in cui abbiamo assistito a un film che rischia di scivolare nella pornografia della sofferenza femminile. E non perché Hunted sia esplicito in materia di violenza sessuale (non lo è, se si esclude qualche frammento dei video realizzati dal nostro maniaco), ma perché gioca tutto su quanto la sua protagonista riuscirà a sopportare prima di esplodere e diventare una furia.
Quindi lo si potrebbe tranquillamente ascrivere al settore cui fa parte anche la fiaba cui si ispira: Hunted è una cautionary tale: non andate da sole in un locale, state attente a chi conoscete, non appartatevi con nessuno perché rischiate grosso e, se ve la cercate così tanto da finire in fuga nei boschi, siate almeno abbastanza forti da ribattere colpo su colpo.
Che, se fosse davvero così, bisognerebbe andare a casa di Paronnaud a dirgli due paroline. O andrebbe fatto comunque, perché in parte è così, come ogni film di exploitation, filtrato poi attraverso uno sguardo esclusivamente maschile. Ma è anche un film molto consapevole della sua stessa natura e cerca (non sempre ci riesce, ma premiamo la buona volontà) di andare oltre il materiale da tarda produzione cormaniana fine anni ’70 con una messa in scena che è l’esatto opposto dell’exploitation.
Credo che Hunter possa essere definito come pura energia caotica in immagini; un film che funziona alla grande fino a quando non ti fermi un istante a riflettere su ciò che hai appena visto. Ma d’altronde è un’esperienza immediata che non richiede alcuna meditazione a posteriori. Esiste, ti scorre davanti agli occhi, ti elettrizza e ti riempie di adrenalina per una durata anche breve, ti impressiona quando è necessario, arriva persino a sconvolgerti in un paio di frangenti, eppure non è fatto per essere analizzato con cura, perché mostra la corda e porta a galla tutti quegli elementi problematici cui non si è avuto il tempo di pensare mentre i tuoi occhi cercavano di difendersi da cotanta aggressione.
Non so se ve lo consiglio: da un lato è un horror atipico che vive della sua discrepanza tra stile e ciò che viene raccontato, dall’altro può essere una visione frustrante, in alcuni momenti addirittura faticosa. O forse capita che, dopo Promising Young Woman, non riesco più ad assistere ai revenge movie con lo stesso sguardo di prima, e tutti mi sembra che manchino di un qualcosa. Forse il film di Emerald Fennel ha modificato la mia percezione e forse, in futuro, è destinato a modificare anche tutta una categoria cinematografica. Per ora, viviamo a metà tra una spinta verso il futuro e questi detriti, per quanto ottimamente realizzati, del passato. Vedremo come e se si evolverà la situazione.
Devo confessarti di avere avuto la medesima impressione, ovvero che la destrutturazione operata sul rape&revenge da Promising Young Woman sia stata una sorta di punto di non ritorno per il genere, perchè non solo palesa la modesta gamma di variazioni che il (sotto)genere può offrire, ma mette in discussione anche il valore catartico del revenge, operazione tentata (ma a mio parere in maniera non altrettanto radicale) in un altro grande film recente, The Nightingale.
A me Hunted è piaciuto, azzecca sia l’atmosfera fiabesca che la caratterizzazione dei personaggi e, proprio in ragione della sua “follia”, affronta il R&R da un’angolazione trasversale. Come sai, ho odiato cordialmente il lodatissimo Revenge per gli stessi motivi per i quali Hunted ti ha lasciato dubbiosa (più un’altra dozzina, se devo essere sincero), e ammetto che ormai il R&R “puro” non mi interessa o addirittura mi suscita puro fastidio.
Ma perché The Nightingale comunque, pur raccontando un milione di altre cose, non demolisce il linguaggio stesso del R&R come fa Promising Young Woman, quindi per quanto mi riguarda, siamo di fronte a un assoluto punto di non ritorno e sarà interessante vedere cosa succederà in futuro.
Hunted in parte si salva perché non c’è la parte rape, è più caccia all’uomo/survival puro, però il livello di exploitation sulla situazione woman in peril è identico a quello del classico R&R.
Io sono sempre affascinato da tutti quei film che prendono spunto da Cappuccetto Rosso. Questa è sempre stata una delle mie fiabe preferite (soprattutto quella originale di Perrault). Inoltre il suo stile potrebbe essere interessante, a mio avviso è un’esperienza da fare.
quindi un film che rappresenta una donna in una situazione di pericolo da cui esce con la sue forze sta facendo moralismo da “cautionary tale”? Non credo
Mi sono persa Promising Young Woman, ma mi sono persa parecchio in questo ultimo periodo della mia vita. Quindi lo recupererò sicuramente prima di molti altri (oltre a correre a leggerne qui da te), ma questo mi ispira notevolmente, soprattutto per il fatto di farsi apprezzare per l’immediatezza della visione, che di film così a volte ce n’è più che bisogno.