Regia – Brandon Cronenberg (2020)
Ci ha fatto aspettare la bellezza di quasi 9 anni, ma quel maledetto raccomandato di Cronenberg figlio è tornato con un ottimo horror che tiene tranquillamente testa al suo esordio (in questi casi si usa l’aggettivo folgorante) e, per alcune cose, lo supera addirittura, come per esempio un maggior controllo della messa in scena, già mirabile in Antiviral, ma che qui raggiunge vette di perfezione estetica da far girare la testa.
Ora io so che c’è un dibattito in corso, capita sempre quando il regista di un film molto amato dalla nostra nicchia di spettatori si presenta con la sua opera seconda: è riuscito a reggere l’impatto delle enormi aspettative che gli sono state scaricate addosso in 9 anni di attesa? Come avrete intuito dalle primissime righe di questo post, la mia personale risposta è sì. Non solo Cronenberg è, come si suol dire, sopravvissuto all’hype, ma Possessor mi ha dato la forte impressione di un regista appena all’inizio di un lungo percorso creativo, un regista che ha ancora tantissimo da dire sul mondo contemporaneo, e conosce il linguaggio giusto per affrontare l’argomento.
Possessor racconta di un’assassina a pagamento, Vos (Andrea Riseborough), che lavora per una non meglio specificata organizzazione segreta. Ciò che è interessante, del suo (chiamiamolo così) mestiere, è il metodo con cui avvengono gli omicidi: Vos, grazie a una tecnologia che utilizza impianti cerebrali, letteralmente possiede i corpi altrui e li spinge a uccidere i bersagli scelti dalla sua organizzazione, così da non lasciare alcuna traccia. È indispensabile, infatti, che una volta consumato il delitto anche l’ospite muoia, suicidandosi. In altre parole Vos, che entra in simbiosi con corpo e mente della persona di cui ha assunto il controllo, ogni volta deve uccidere se stessa, oltre che la vittima designata, altrimenti non è possibile tornare nel proprio, di corpo.
A dirlo è complicatissimo, ma il modo in cui, in una sequenza d’apertura che è come un balletto ipnotico che si conclude in un bagno di sangue, Cronenberg la mette in scena lo fa sembrare un’operazione di routine, di una semplicità imbarazzante.
Ed è forse questo il primo elemento da prendere in considerazione in Possessor: la sua fluidità nella narrazione di concetti niente affatto immediati, che tuttavia arrivano allo spettatore senza alcun ausilio di lunghe spiegazioni. Antiviral, in questo, era un po’ più involuto, tendeva ad avvitarsi su se stesso. Non andava a detrimento della qualità complessiva del film, ma qui è segno di una grande maturità acquisita da Cronenberg. Possessor è un film altamente complesso, ma è più scorrevole di Antiviral.
È anche più violento, molto ma molto più violento: nella versione uncut, quella da me visionata, ho dovuto distogliere lo sguardo dallo schermo un paio di volte, perché Cronenberg ci va davvero giù pesante come un carro armato: Vos non fa mai un lavoro pulito, da un colpo di pistola e via, e questo non solo permette a Possessor di sfoggiare una bella galleria di atrocità con effetti speciali pratici da manuale, ma è anche un importante nodo del racconto, perché serve a mettere a nudo uno dei due temi principali del film, ovvero l’identità; l’altro è il controllo sempre maggiore che organismi quasi onnipotenti hanno sulle nostre vite. Si tratta comunque di temi strettamente collegati, anzi, interdipendenti l’uno dall’altro.
Il mondo di Possessor è un mondo dove l’identità individuale non ha più alcun senso, è un retaggio del passato, anche se gran parte della popolazione ancora non lo sa.
La guerra tra corporazioni si combatte a botte di assassinii su commissione, e ad andarci di mezzo, sono i nostri corpi manovrati come burattini.
Vos per prima non possiede un’identità propria, tanto che, alla fine di ogni missione, la deve ricostruire, sempre che sia la sua, sempre che ne abbia davvero una. Dopo l’incarico portato a termine all’inizio del film, la vediamo cercare di imitare se stessa prima di rivedere l’ex marito e il figlio ed essere da loro riconosciuta.
Perché Vos è un parassita che si attacca alle vite altrui, ma il processo non è unilaterale; succede anche il contrario, ovvero che l’ospite assimila qualcosa della vita del suo controllore. Uno scambio che avviene non solo a livello mentale, ma anche a livello organico.
E qui a me dispiace molto fare un paragone del genere, in quanto è evidente che Brandon Cronenberg sia del tutto in grado di camminare sulle proprie gambe, e metterlo a confronto del padre è ingiusto nei suoi confronti, e tuttavia è come se il Cronenberg delle origini, quello arrabbiato, si fosse reincarnato in una sua versione stilisticamente più pulita, ma ancora più aggressiva, una versione che prende i vecchi temi a lui cari e li riporta, aggiornati, in un contesto storico e sociale molto diverso da quello della fine degli anni ’70. Questo spero non faccia intendere a nessuno la mia intenzione di sminuire il lavoro di Brandon Cronenberg: semmai è un modo per affermare che Brandon è un tipo di regista e di autore di cui abbiamo tutti molto bisogno.
Anche se in realtà, le ossessioni di Cronenberg padre riguardavano (ed erano lo specchio dei tempi) l’unione e la collisione tra la sfera biologica e quella tecnologica, mentre qui la carne esiste soltanto per essere fatta a pezzi in maniere sempre più traumatiche e spettacolari. Non nasce, in altre parole, nulla di nuovo. È un film di esseri smantellati e disintegrati.
Se Antiviral era un film raggelante nel suo totale distacco dai personaggi e anche dagli eventi narrati, Possessor è un film feroce: c’è la stessa mancanza di pietà o di calore, su questo non bisogna farsi illusioni, ma è accompagnata da una furia distruttiva che non risparmia niente e nessuno. Possessor è viscerale ed estremo, pur con una struttura più lineare e una storia più accessibile, ti respinge per il carico di violenza cui sottopone lo spettatore, per il modo perfetto in cui rappresenta la coabitazione forzata di due entità in un unico corpo, animate da intenti opposti: la prima vuole mettere fine all’esistenza di quel corpo per tornare nel proprio; la seconda cerca a tutti i costi di sopravvivere. Il tutto nell’indifferenza generale, che è un altro dettaglio non da poco da prendere in considerazione.
Ed è, credo, proprio l’indifferenza in cui si svolgono i fatti a fare da collante alle due tematiche principali di cui parlavamo sopra, perché Possessor potrebbe benissimo essere una rappresentazione iper tecnologizzata della realtà del lavoro all’interno di una società a capitalismo avanzato. Un grado di alienazione che è molto simile ad avere un intruso nel cervello, o a essere noi l’intruso nell’esistenza altrui, un rapporto tra persone che è, appunto, parassitario e tende a spogliare l’individuo delle sue caratteristiche fondamentali.
Se ci fate caso, non esiste alcuna autorità nel modello sociale proposto da Possessor, se non quella economica; Vos non lavora per il governo, perché non c’è alcun governo, e se esiste, è debole e non ha più alcun ruolo; il mondo di Possessor è privo di legge e gli esseri umani diventano strumenti in mano alle grandi corporazioni per far fuori i loro rivali o oppositori.
A parte l’idea agghiacciante di essere posseduti (ed è molto simile, nella resa scenica a una vera possessione demoniaca), non siamo così distanti dal nostro, di mondo. Non si può neppure parlare di distopia, infatti, ma soltanto di una versione un po’ più avanzata di ciò che ci circonda. Tutto è tremendamente familiare e allo stesso tempo ancora distante.
Ma per quanto?
Per fortuna che questo e’ piu’ “accessibile”, speriamo non delude le mie aspettative.
Grazie Lucia per le tue recensioni illuminanti.
Sì, è molto più accessibile di Antiviral. Però resta un incubo d’autore di altissimo livello.
Come hai descritto il modo in cui la protagonista “prende possesso” dei corpi altrui mi ha fatto pensare a un pezzo di bravura del nostro Flanagan in Doctor Sleep, sai?
Molto leale da parte tua rendere in qualche modo omaggio al padre parlando del figlio, dato che Conenberg Senior non è esattamente nelle tue corde. (Io amo molto il padre ma francamente il suo lavoro dopo “Spider” non è roba per me. E sono uno che si è ANNOIATO PROFONDAMENTE durante “Crash”. Abbatetemi).
Bene che il Pargolo abbia intrapreso un percorso stilistico di valore. Speriamo che i tempi tra una pellicola e l’altra diminuiscano.
Diciamo che su Cronenberg Senior la penso come te: da Spider in poi, anche basta (con un soft spot per History of Violence, che adoro). Però, anche nella sua carriera precedente, non amo tutto tutto di lui. Alla fine, tende sempre a lasciarmi con una sensazione addosso di freddezza e distacco.
Infatti (e presto nel parleremo qui sul blog), io anelo un remake di Scanners diretto magari proprio di Flanagan.
Bellissima rece Lucia.
Io l’ho adorato (e visto che ho poco tempo stamattina ti spammo direttamente cosa ne ho scritto, è al n. 2 della top dell’anno per me: https://rateyourmusic.com/list/Blissard/film-2020/)
Per me quest’anno è difficilissimo scegliere un preferito. Certo che questo mi ha dato un bello scossone. E per fortuna doveva essere un anno mediocre per l’horror 😀
Ecco, una cosa che ho dimenticato di scrivere, e che tu sottolinei, è la bellezza sublime della colonna sonora!
Me lo recupero appena possibile.
Uno specchio non troppo distorto della nostra realtà..un film glaciale e violentissimo,ma assolutamente geniale.. certo,i debiti nei confronti del padre sono evidenti,come se ci fosse un filo rosso (organico?) che unisce due generazioni,due pensieri,due visioni speculari di un cinema a mio avviso necessario… bellissima recensione.
Per poco direi, per rispondere alla domanda finale. Comunque a me è piaciuto molto, forse anche più di Antiviral e quindi credo che sia il film della conferma per Brandon Cronenberg.
Brandon ci ha fatto aspettare, vero, ma da quanto hai scritto sembra proprio ne sia valsa la pena!
E sì, possessione (tecnologica) dei corpi a parte, ho anch’io paura che il futuro descritto in Possessor purtroppo si stia avvicinando a grandi passi… 😦
Degno figlio di tanto padre, diciamolo. E anche questo titolo mi prende da matti
Impressionante! Sono molto colpito dal tuo articolo e sono molto colpito dalla storia di questo film. Mi affascina parecchio il metodo che utilizza Vos per portare a termine i suoi obiettivi e mi interssanti anche il fatto che la protagonista non abbia quasi un’identità. L’articolo mi ha davvero sorpreso e non vedo l’ora di vedere il film!