Regia – Rob Reiner (1990)
I film più famosi sono sempre quelli che mi mettono più in difficoltà, perché arrivo ultima a spenderci qualche parola sopra ed è, temo, già stato detto tutto. Sopratutto Misery è forse anche più complicato di Shining, perché almeno con il film di Kubrick ci si può giocare la carta del rapporto controverso col romanzo. Qui invece siamo sulla fedeltà quasi assoluta, escluse alcune giustificatissime licenze dettate dalla necessità di stringere i tempi e di rendere anche più accettabile la vicenda a un pubblico ampio. Misery è, a oggi, l’unico adattamento da King ad aver vinto un Academy Award (quello per Kathy Bates) ed è stato il film che ha riportato l’horror alla notte degli Oscar, da dove mancava dai tempi di Jaws. È anche il film responsabile di aver lanciato la serie di thriller “di prestigio” degli anni ’90, il più delle volte horror puri mascherati da thriller per essere accolti con maggiore magnanimità da pubblico e critica e, insomma, si porta dietro un’eredita non di certo leggera. Nell’anno del Signore 2020 è anche un film con parecchi elementi problematici, cosa che non ne ridimensiona affatto le qualità e l’eccellenza, ma che comunque va presa in considerazione senza aver paura di macchiarsi di reato di sacrilegio.
Sappiamo tutti che Misery, il romanzo, nasce da un sogno fatto da King in aereo, e possiamo affermare, senza psicanalizzare troppo lo scrittore che mai sia, che sia stata una conseguenza diretta del suo stato psico-fisico non particolarmente esaltante, ai tempi, ma di sicuro riflette il rapporto non sempre equilibrato e felice che si viene a instaurare tra il creatore di un’opera e i fruitori di quest’opera, gente nota ai più come fandom.
Ora, esiste, per fortuna, una differenza sostanziale tra il semplice lettore/spettatore e il fan. Non so se King è stato un profeta, se avesse, già all’epoca della stesura del romanzo, intuito con largo anticipo come si sarebbe trasformata la relazione, già di per sé complicata, tra autore e fan con l’abbattimento della sacrosanta barriera che dovrebbe separare i due elementi, ma Misery è, logicamente esasperata, una rappresentazione anche piuttosto fedele di quello che accade quando i fan si trovano tra le mani l’oggetto della loro adorazione. Che fa molto presto a diventare odio, se le cose non vengono fatte come dicono loro e quando dicono loro.
Insomma, io me li immagino quelli che si vestono da Darth Vader a 50 anni che spaccano a martellate le caviglie di Ryan Johnson finché non gira The Last Jedi secondo i loro desiderata. Non è un’immagine poi così paradossale, se ci pensate bene, e io credo che dobbiamo solo ringraziare qualunque divinità voi preghiate se esiste ancora un certo grado di separazione geografica tra gli svariati “fan numero uno” che si aggirano per la rete e registi, scrittori, sceneggiatori e showrunner, persino attori, spesso confusi dai fan con i personaggi che interpretano. In altre parole, la psicosi di Annie Willes è molto contemporanea e attuale, e ha più risonanze con ciò che viviamo tutti i giorni sui social che non la realtà del 1987 (anno di pubblicazione del romanzo) e del 1990, quando l’infermiera tutt’al più appariva come una caricatura grottesca, uno spauracchio uscito, appunto, dall’incubo di uno scrittore.
Perché, andando proprio a ridurre il tutto ai minimi termini, Misery parla di un rapporto di potere che, a causa di circostanze fortuite, si rovescia: per Annie, l’eroina inventata da Paul Sheldon e di cui si vuole liberare, stufo di continuare a scrivere quella robaccia, rappresenta il suo intero mondo; è al centro della sua limitata immaginazione, è il suo conforto, è la sua unica compagnia. Dal canto suo, Paul non conosce Annie, la sua esistenza gli è del tutto indifferente e il suo amore per la sua creatura letteraria (e di conseguenza per Paul stesso) lo imbarazza e lo ripugna un po’ all’inizio, lo terrorizza quando si rende conto della trappola mortale in cui è caduto.
È logico che su un lettore o su uno spettatore normale, l’autore non eserciti alcun potere: leggi il libro o guardi il film, ti piace o non ti piace, la faccenda muore lì. Certo, ci possono essere varie gradazioni. Ho vissuto molti libri e molti film sul piano personale, ho ammirato e anche, non me ne vergogno, adorato alcuni registi e scrittori, ma non ho mai sperimentato la vera frustrazione del fan, ovvero non essere ricambiata nel mio amore e, andando ancora più a fondo in quella psicosi collettiva che è il fandom moderno, accampare un ruolo di qualunque tipo nella creazione di un’opera, pensare anche di sfuggita, che poiché quell’opera era importante per me, io avessi dei diritti su di essa e sul suo creatore.
E tuttavia il fan, non il lettore/spettatore normale, è convinto di avere dei diritti e desidera che il rapporto di potere tra lui e l’autore di turno si ribalti, se non proprio con le dinamiche descritte nel romanzo e nel film, in maniera molto simile.
In fin dei conti, Annie Wilkes perde le staffe quando si accorge che Misery è morta, e Paul Sheldon è suo prigioniero fino a quando non scriverà il romanzo che vuole lei. Siamo a una versione un po’ meno civilizzata delle petizioni per costringere i network televisivi a rigirare da capo stagioni intere di una serie. Non sto dicendo che tutti gli spettatori di GoT che hanno firmato quella petizione siano delle Annie Wilkes potenziali, ma che la mentalità da cui derivano le due reazioni è la medesima.
Poi lasciate perdere gli elementi problematici di cui sopra, molto più forti nel romanzo rispetto al film, che vogliono Annie ridotta in quelle condizioni sostanzialmente perché non corrisponde ai canoni di bellezza comuni: Annie è brutta, quindi è sgradevole, quindi è pazza. Un’equazione di una faciloneria imbarazzante, ma tutto sommato funzionale a un racconto dove il personaggio è come un orco cattivo delle fiabe. Chiunque può essere Annie Wilkes, se comincia a pensare di avere diritto di parola nel processo creativo di un’opera.
Io con Misery ho un rapporto molto particolare, perché è stato il primo romanzo di King che ho letto in inglese, nel lontanissimo 1996, e in seguito ho consumato la videocassetta del film (ancora mi ricordo il multone del videonoleggio). Per un po’ di tempo, credo sia addirittura stato il mio film preferito e, più della celeberrima sequenza del martello, ero atterrita da quella in cui Annie fa bruciare a Paul il suo manoscritto. Quello è il momento in cui Paul smette di esercitare il proprio potere di autore sul fan e Annie realizza il sogno proibito di legioni di scalmanati su Twitter: distruggere ciò che a loro non piace, o meglio, distruggere ciò che non fa parte dell’universo narrativo sul quale hanno costruito la propria vita.
Infatti, quand’è che Sheldon si riappropria del suo ruolo di autore? Quando brucia a sua volta il manoscritto del romanzo di Misery voluto da Annie, perché al fan non interessa veramente l’opera, al fan interessa soltanto il potere.
Rivedere Misery oggi, a distanza di 30 anni dalla sua prima apparizione nelle sale, è più agghiacciante di allora. Quello che era solo un thriller perfetto per scrittura, messa in scena e interpretazioni, oggi ha acquisito un’altra statura, quella del monito inascoltato. Perché non soltanto i Paul Sheldon della situazione stanno diventando sempre più marginali, ma i grandi studios al timone delle saghe più popolari stanno scientemente creando un esercito di Annie Wilkes da manipolare a loro piacimento.
Vedremo fino a che punto sono manipolabili e prepariamo i pop corn.
Rob Reiner ha fatto un lavoro incredibile con questo film, riuscendo a creare una tensione e un ritmo perfetti e senza mai annoiare lo spettatore nonostante la situazione. Reiner si era già dimostrato stupendo con Stand by me e con Misery firma una delle trasposizione migliori di King.
hai saputo descrivere in modo perfetto (come sempre, d’altronde) il vero tema dell’opera. sono sicura che tutti quelli che hanno visto il film ricordano benissimo la scena delle gambe e del martello (io per prima distolgo sempre gli occhi, non ha perso nulla della sua efficacia), ma quanti effettivamente si saranno fermati a riflettere su tutto il resto? io l’ho rivisto l’anno scorso e ho immediatamente pensato (lieta di vedere che non sono stata l’unica) proprio alla famosa petizione dei fans di GoT. c’è un confine molto sottile tra passione e ossessione.
Intanto grazie ❤
Ma la faccenda di GoT è stata inquietante, come del resto la terza guerra mondiale scatenata dai fan di Star Wars con i nuovi film, il secondo soprattutto.
E ogni giorno ne spunta fuori una nuova. King ci aveva visto molto lungo 🙂
Annie era una dei villain di King che più mi ripugnava ma anche provavo una fortissima compassione. Perché pensavo a quanto la vita fosse stata cattiva con costei e lei non aveva gli strumenti per saper reagire. La follia delle persone comuni, insignificanti. A me quel tipo di cattivo da ragazzino mi interessava assai.
Il filmè strepitoso anche perché diretto da un regista che di solito fa altro, mi piace quando il genere horror finisce nelle mani di gente che fa commedie. E viceversa, amo queste uscite dai binari.
Sul discorso fandom concordo. Io ho una passione infinita per Moretti, Bianca e la messa è finita parlano di me in qualche modo, ma non vado ad assalirlo, nemmeno a chieder un autografo, due anni fa l’ho visto a Firenze, ma non ho fatto o detto nulla, perché non è mio amico, è un artiosta che ammiro. Amo i suoi film e non penso di aver nessun diritto su di lui.
Guarda, io una volta ho assistito a una master class di William Friedkin, ma non ho neanche avuto la forza di chiedergli di autografarmi il suo libro per paura di disturbarlo 😀
veramente nel romanzo è chiaro che Annie Wilkes è in quelle condizioni non solo o non tanto perchè è brutta (anche se questo enfatizza la generale sgradevolezza del personaggio ma losi fa pure con i personaggi maschili e non ci vedo niente di problematico) ma perchè è una assassina psicopatica che quando era infermiera era arrivata ad ammazzare i neonati
cioè non credo che nel romanzo la sua pazzia sia collegata direttamente al suo aspetto fisico. Comunque nella serie tv Castle Rock hanno fatto interpretare una giovane Annie Wilkes a Lizzy Caplan quindi questa presunta “problematicità” non esiste più
a proposito di fandom, Annie Wilkes oggi appare una fan anche abbastanza moderata se paragonata ad alcuni “fenomeni” che vedono e si leggono in rete
Sì, infatti ci salva soltanto la distanza fisica tra questi fenomeni e i loro idoli!
Alla fine non hai parlato del film/libro, o forse sì :D.
Per tutto ciò che hai scritto, che è meravigliosamente acuto e ahinoi contemporaneo…
Io direi solo una cosa a tutti i fandom : non ti piace come finisce un libro? Vuoi che un regista faccia QUELLO CHE VUOI TU? Bene. SCRIVI. O PROVA A FARE CINEMA. Non sei capace/non sei in grado/non hai un minimo di talento? MALE. Non puoi prendere le tue rivincite attraverso altri. La TUA vita è la conseguenza delle TUE scelte (anche perchè di solito il fandom non nasce in una capanna di fango in Bangladesh.
Ci deve essere una barriera nettissima che separa il creatore dal fruitore dell’opera. Il suo abbattimento a mezzo social è stato deleterio: anche perché, quando proponi a questi personaggi di creare qualcosa loro, se ne sono capaci, nasce una delle più grandi sciagure della storia dell’umanità: la fan fiction!
Già, chi poteva mai immaginare, quando uscì Misery al cinema, che con il passare del tempo l’Annie Wilkes di King avrebbe avuto la possibilità di diventare una figura così realistica. Ma, d’altra parte, gli anni ’90 erano un’epoca in cui, per rimanere in tema, con i fan di Star Wars si poteva ancora parlare… prima che i fandom involvessero nella forma attuale, rendendosi paradossalmente responsabili loro stessi della “morte” di chi avrebbero dovuto rappresentare, e cioè quel fan inteso come lettore/spettatore appassionato e competente (nel caso anche critico, certo, argomentando) che da parecchio tempo, purtroppo, viene sempre più spesso rimpiazzato da puri fanatici senz’arte né parte (e qui, ovviamente, includo i due estremi: i nostalgici dall’infanzia “rovinata” e i cultori del nuovo fine a sé stesso) 😦
P.S. Beh, trattenendoti dall’autografo l’idea per una fan fiction me l’hai data: ecco, il titolo potrebbe essere qualcosa come “Colei che ebbe paura di disturbare William Friedkin” 😉