Gretel & Hansel

Regia – Oz Perkins (2020)

Perkins da queste parti ci piace un sacco, ma fino a ora aveva il problema di essere un magnifico incompiuto: i suoi due film precedenti erano sorretti da un insieme di suggestioni visive e non da una struttura narrativa propriamente detta. Il che va benissimo, non ci formalizziamo, però ero molto curiosa di vederlo alle prese con una forma di racconto tra le più vecchie del mondo, quella della fiaba. Finalmente, mi pare che Perkins abbia portato a casa un’opera a cui non manca nulla, né la bellezza delle sue soluzioni stilistiche, né un senso che le riesce ad amalgamare.
Si potrebbe aprire un capitolo lunghissimo e un po’ fastidioso su quanto la critica americana abbia sempre meno strumenti per comprendere certi film. Gretel & Hansel è stato da più parti considerato un tentativo di emulare il cinema della A24 senza raggiungere gli stessi risultati. Ma questo solo perché ormai si è deciso che tutto ciò che la A24 tocca è automaticamente oro, e tutti quelli che si approcciano al genere, in questo caso l’horror, con una raffinatezza superiore alla Blumhouse, devono per fora farlo alla maniera di.
Ora, queste sono panzane, e Perkins non emula proprio niente. Gretel & Hansel è un’ottimo film con una sua identità e porta la firma di un regista giovane, ma già con un’impronta distintiva. In altre parole, un film di Perkins lo riconosci subito, non ti puoi sbagliare.

C’è poi la questione delle infanzie rovinate dal cambio del titolo, anzi, dall’aver messo il nome di Gretel prima di quello di Hansel. Signora mia, queste femministe ci rovinano anche le fiabe che leggevamo avidamente (credici) quando eravamo bambini. Come se non avessero mai, nella storia dell’umanità, manipolato le favole e uso e consumo del pubblico, come se una roba tipo la Disney non fosse mai esistita.
Perché edulcorare e smorzare i toni è bene, dare più risalto alla protagonista femminile è male.
Ora, a me questo tipo di polemica, oltre a farmi imbestialire, interessa il giusto; mi interessa, al contrario, il perché Perkins abbia sentito l’esigenza di raccontare di nuovo la storia dei due fratellini e della strega cannibale operando questo piccolo, ma significativo spostamento di attenzione da un personaggio all’altro.
Se mi leggete da un po’, lo sapete cosa penso di Angela Carter, Neil Jordan e della loro rielaborazione delle fiabe: dalla raccolta di racconti di Carter, Jordan ha tratto il miglior film di licantropi della storia del cinema, ovvero In Compagnia dei Lupi, e credo che Perkins quel film (e quella raccolta) se lo sia studiato fotogramma per fotogramma prima di realizzare il suo Gretel & Hansel.

In entrambi i casi, una cautionary tale diventa una storia sul passaggio all’età adulta di due giovani donne e, di conseguenza, narra dell’acquisizione di un potere e della liberazione da un giogo; Perkins cambia non soltanto il titolo, ma anche l’età di Gretel, qui un’adolescente Sophia Lillis, sbattuta fuori casa senza troppe cerimonie dalla mamma insieme al fratello minore Hansel. I due non hanno un posto dove andare, vagano per i boschi e, dopo un’abbuffata di funghi allucinogeni, si imbattono in una casa con una tavola imbandita di ogni tipo di leccornia. Padrona della casa è un’anziana donna (Alice Krige) che li invita a restare da lei e a svolgere qualche lavoretto, in cambio di vitto e alloggio. Gretel sospetta subito che qualcosa non va: non si sa da dove arrivi il cibo, dato che la donna non alleva bestiame e non coltiva un orto, tanto per cominciare. Ma rimane lo stesso, non tanto, come il fratellino, per riempirsi la pancia, ma perché quella che sappiamo benissimo essere una strega, ha qualcosa da insegnarle.

Gli sviluppi della storia li conoscete, dopotutto, non devo essere io a raccontarveli: Perkins si attiene allo svolgimento della fiaba e ne lascia invariati i punti fondamentali, ovvero quelli relativi alle discutibili abitudini alimentari della strega e ai suoi progetti per Hansel come portata principale. Ciò che al contrario modifica è il rapporto tra questa e Gretel, un rapporto che rappresenta il cuore narrativo del film e conferisce a Gretel un ruolo un po’ differente da quello di sguattera con la funzione di nutrire e ingrassare il fratello in gabbia che aveva nella fiaba originale. Ma non è mio compito spiegarlo, anche perché forse potrebbe rappresentare l’unico vero spoiler in una vicenda che dovreste conoscere a memoria.
È sempre e comunque una fiaba e, come ogni fiaba che si rispetti, ha un’ambientazione ambigua e anacronistica, non si svolge in alcun luogo in particolare, lascia molti punti oscuri che sta a voi illuminare, è netta nei contrasti, stilizzata nei dialoghi. È persino un Pg13 (eh sì, l’orribile Pg13), e quindi non è particolarmente violenta, anche se ci sono un paio di scene che non consiglierei a un dodicenne, ma Perkins non ovvia all’inconveniente, che poi inconveniente non è, ma scelta precisa, abbondando in spaventi o jump scare. Al contrario costruisce, fotogramma dopo fotogramma, un’atmosfera cupa e carica di mistero.

Per quanto riguarda l’estetica, siamo in pieno territorio Perkins: macchina fissa, tanta aria in testa, composizione meticolosa e pittorica di ogni inquadratura. Nel caso particolare di questo film, il formato scelto, escluso il prologo in 2:35, è quello “quadrato” che in tanto horror recente sta tornando in auge e che aiuta questa costante spinta verso l’alto della messa in scena di Perkins, con il risultato che gli esterni danno una sensazione di estrema apertura, mentre gli interni sono chiusi e claustrofobici. È un effetto molto particolare, ottenuto riempiendo la parte bassa del quadro e svuotando quasi completamente quella superiore, così che pare quasi i personaggi si ritrovino a fluttuare.
Il ritmo è lento, letargico, quello di un sogno, o meglio, di un racconto orale tramandato di generazione in generazione. I colori sono caldi, profumano d’autunno, e l’uso della luce è quanto di più anti naturalistico possibile.

Se proprio, costretta con le spalle al muro, devo trovare un difetto a questa gemma, è nell’uso della voce fuori campo di Gretel, che sembra quasi essere stato inserito all’ultimo, per paura che il film risultasse troppo criptico per il pubblico generico degli horror e per gli adolescenti a cui è rivolto. Non è un difetto grave, tuttavia, perché ci vuole già abbastanza coraggio a presentare un film confezionato e scritto in questo modo, dopo anni e anni di fiabe rivedute e corrette, anche in chiave dark, ma svuotate dalle loro metafore più ingombranti e scabrose.
Credo che Gretel & Hansel sia l’unico erede diretto possibile di In Compagnia dei Lupi, e l’unico film contemporaneo ad aver appreso la lezione di Angela Carter e della sua Camera di Sangue. E queste non sono cose che dire mai alla leggera.

12 commenti

  1. dinogargano · ·

    Brava , come al solito .
    In compagnia dei lupi è nella mia top ten assoluta da quando uscì e lo vidi al cinema , e guai a chi me lo tocca …. buona giornata.

  2. da vedere, assolutamente
    lo hai visto in streaming o al cinema prima della quarantena?

  3. valeria · ·

    adoro entrambi i precedenti lavori di perkins, quindi attendevo questo con ansia. ora che poi me lo hai accostato a quel gioiello di “in compagnia dei lupi”, so cosa guardare stasera 😀

    1. Infatti, io penso proprio che ti piacerà!

  4. Blissard · ·

    Non mi è dispiaciuto, ma ho trovato assaissimo irritante la voce off, soprattutto nell’ultima parte nella quale spiega tautologicamente ciò che il già tautologico (e anticlimatico) finale mostra chiaramente. E in questa occasione è a mio parere vieppiù fastidioso perchè esplicare la prospettiva “emancipatoria” femminile, urlarla a gran voce in modo che sia chiara a tutti, significa quasi svilirla. Perkins secondo me ha le stimmate dell’artista ma non quelle del grande narratore per immagini, e nei suoi film si affida troppo alle suggestioni visive e alla benevolenza dello spettatore.

    1. Ma guarda, io sono convintissima che quella voce off sia stata un inserimento del produttore. È così tipico che mi ci gioco ogni mio singolo avere. Anche perché Perkins non si è mai preoccupato di spiegare le cose che accadono nei suoi film. Quello è un evidente compromesso stipulato con la produzione.

  5. Vabbeh, se metti in campo la Carter non posso che desiderare questo film come l’aria.

    1. Lei è sempre nei miei pensieri!

  6. Ho visto di suo Sono la bella creatura che vive in questa casa e mi piacque molto, soprattutto per le suggestioni da cui era attraversato. Da questo non mi aspettavo granché, forse perché pensavo alle pacchianate precedenti ispirate alla stessa fiaba. Però, invece, sembra che sia molto interessante. Lo recupererò al più presto, tra le tante cose da recuperare.

  7. Giuseppe · ·

    Avevo apprezzato assai Sono la bella creatura che vive in questa casa, ragion per cui credo succederà lo stesso con questo suo ultimo film. Vederti poi definirlo (so bene che non parli alla leggera, no) l’unico erede diretto di In Compagnia dei Lupi, nonché contemporaneo “allievo” modello di Angela Carter e della sua Camera di Sangue, è un qualcosa che mi fa salire ulteriormente la scimmia…

    1. Questo è davvero superiore ai precedenti. È proprio un folk horror e penso ti piacerà tantissimo.

  8. Hai già visto Eli? È piaciuto solo a me? )

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