Regia – Laura Alvea, Jose F. Ortuño (2018)
Questa volta ve la faccio facile che più facile non si può: Ánimas lo trovate comodamente su Netflix, quindi potete vederlo senza sbattervi troppo a reperirlo. Sono buona, vero?
No, in realtà mi faceva piacere chiudere il mese dedicato alle donne nell’horror con un film europeo, dove, a differenza che negli Stati Uniti, le registe che si dedicano al genere sono davvero delle mosche bianche. E infatti sono dovuta andarmi a prendere una co-regia, che mi sta benissimo, per carità, se i risultati sono questi.
Arriva dalla Spagna Ánimas, dove non hanno mai smesso di fare cinema dell’orrore, e dove ancora una volta è la Filmax e portare all’estero le cose migliori. Il duo di registi è alla sua opera seconda e non sono affatto digiuni di fantastico; Ánimas è un film visivamente molto affascinante, basato su un’estetica che all’inizio può lasciare perplessi o addirittura respingere, ma è in realtà molto coerente con la narrazione. Ci mette un po’ a ingranare, ma quando si capisce il meccanismo (e si capisce molto presto, se si è un minimo attenti), la sua struttura diventa chiara, e il suo indugiare in luci e colori psichedelici acquista un senso ben preciso.
Alex e Abraham sono amici sin da bambini e sono inseparabili; lui ha un padre violento e una madre ridotta in stato quasi catatonico; lei un serio problema di autolesionismo e l’incapacità di distinguere tra realtà e allucinazioni. Quando Abraham conosce una ragazza e comincia a frequentarla, Alex si sente esclusa e le sue allucinazioni aumentano e diventano aggressive, fino a rendere fragilissimo il suo stato mentale.
Lo abbiamo detto tante volte: il punto di vista è uno degli elementi più importanti in un racconto. Anche la storia più risaputa, scontata e già vista un milione di volte può assumere delle sfumature nuove se si sceglie un punto di vista originale.
Ánimas si basa su un “colpo di scena” che è impossibile definire sorprendente, ma non è quello il fulcro del film, anche perché i due registi ci tengono parecchio a dare allo spettatore tutti gli indizi possibili per arrivarci da solo, dimostrando che il loro intento non è stupire con un qualche tipo di twist, ma comporre una sinfonia stilistica e narrativa, un quadro formato da una serie di tasselli a incastro.
Può essere frustrante vedere il film: ci si trova catapultati in un paesaggio mentale alieno, dove non esiste alcuna cesura tra cosa è reale e cosa non lo è, dove, proprio in virtù della scelta di utilizzare un punto di vista quantomeno anomalo, ci si aggira privi di punti di riferimento. Può essere frustrante anche leggere questo post, dato che Ánimas è una di quelle opere di cui meno si sa è meglio è, e rivelare dettagli potrebbe essere controproducente. Non per prosaiche questioni di spoiler, ma perché, come ogni labirinto che si rispetti, è più interessante affrontarlo senza conoscerne in anticipo l’uscita, è più bello lasciarsi stregare dal ritmo claudicante impresso dai due registi al loro film e magari perdersi anche in quelle luci verdognole, nei caldi gialli degli esterni, nelle infinite diramazioni di un edificio che è sia fisico sia frutto della pura immaginazione dei protagonisti.
Per cui, vi invito a non proseguire oltre nella lettura e ad andare su Netflix per dare un’occasione al film.
Cos’è un meccanismo di difesa? Cosa siamo disposti a fare per gestire le cose che ci fanno soffrire? Quali muri alziamo nei confronti del mondo e in che modo riusciamo a plasmare la realtà che ci circonda per renderla più sopportabile?
Sono questi gli interrogativi posti da Ánimas, che parte con i più classici tratti dell’horror soprannaturale con infestazione e poi se ne va da un’altra parte. O forse no, perché alla fine il film è la storia di un fantasma o di un’entità infestante, è solo poco ortodosso il luogo dell’infestazione, e la sua prospettiva, che è quella dello spettro, se così vogliamo chiamarlo.
Se dovessi fare un elenco di film sulle personalità dissociate o doppie o multiple, starei qui fino a domattina. Partendo da Psycho, passando per Fight Club, fino ad arrivare a Split e al recentissimo Daniel Isn’t real, l’elenco è lunghissimo, ma una cosa che la maggior parte di questi film hanno in comune è che il punto di vista è sempre esterno (come nel caso di Psycho e anche di Split) o della personalità, chiamiamola così, “principale”, dove l’altro io è percepito come un ospite, per lo più sgradito, o un parassita da cui liberarsi e di cui non si è consapevoli.
In Ánimas, la prospettiva è quella di Alex, l’amica immaginaria, l’entità creata da Abraham per gestire solitudine e dolore, che non ha, come nel caso di un’altra vicenda di sdoppiamenti molto famosa, ovvero La Metà Oscura, assunto vita propria, ma si è creata una sua realtà, tutta interna alla mente del suo amico. È lì che Alex esiste, agisce e pensa, una fotografia distorta e virata al verde dei posti dove si svolge la vita “reale” di Abraham: il palazzo dove il ragazzo vive, la scuola che frequenta, lo studio della sua psicoanalista.
Alex è autonoma, ma reclusa in quel particolare paesaggio che inizia a sgretolarsi nel momento in cui Abraham, grazie alla terapia, riesce a interagire con una sua coetanea.
Per Alex è un’apocalisse vera e propria: sua madre sparisce, la sua casa non ha più i mobili e sul pavimento e sui muri iniziano a crescere i rampicanti; tutto ciò che conosceva o pensava di conoscere, gradualmente svanisce.
Non è quindi molto rilevante che la scoperta della vera natura di Alex funzioni in quanto colpo di scena, non è rilevante che sia anche una svolta piuttosto banale, nel senso che il cinema ha affrontato la tematica tante volte e ormai ne siamo saturi; la stanchezza per il tema è del tutto spazzata via dalla forma del racconto scelta da due registi e sceneggiatori, dal modo in cui il mondo di Alex è messo in scena, da come ci fanno stare in ansia per qualcuno che non esiste, per come ci fanno mettere nei suoi panni e desiderare che viva almeno un altro giorno ancora, che Abraham non si liberi di lei, nonostante siamo consapevoli che sia inevitabile.
Non sarà nulla di nuovo, per carità, ma è narrato maledettamente bene ed è l’ennesimo tassello in una filmografia del fantastico spagnola da sempre più attenta ai personaggi e ai loro sentimenti che allo spavento in quanto tale. E credo che, a differenza di molti film, Ánimas migliori col tempo, e lo si veda più volentieri la seconda volta rispetto alla prima. O almeno, per me è stato così.
Lo metto nella lista dei film da vedere (ho interrotto la lettura quando richiesto). Mi interessa il fatto che sia un film “onesto”, che vengano forniti tutti gli elementi allo spettatore per comprendere la storia.
Sì, non cerca di turlupinare lo spettatore: tutti gli elementi sono lì, basta coglierli.
E non posso aggiungere altro 😉
L’onestà nello scrivere una storia è una cosa rara e sempre apprezzata.
Sai (è un po’ OT rispetto a WIHM, ma neanche tanto): è PARADOSSALE la quantità coniugata con la qualità (capirai, ormai fa dei bei film anche Begos, ci deve essere in giro una droga-horror potentissima) di roba che esce da un decennio o poco più. Con quello che in maniera manichea e ottusa si definirebbe “il male” (la Blumhouse, Netflix, i primi due esempi a caso) che ci danno tante gioie. Lo scrivi tu, chè non ti lasci sfuggire nulla, che al posto di una top 50 avresti voluto fare una top 100, del decennio appena trascorso. Chissà quante perle rimarranno per pochi.
Forse alla fine bisognerebbe disporre del Tempo dei noi stessi 20enni (si sa: la giornata di un 20enne dura 40/50 ore) per godersi tutto. Ma sto entrando nel discorso di Al Pacino in Any Given Sunday quindi me ne fuggo precipitosamente. Tocca godercela alla Lorenzo il magnifico, mi sa.