The Nightingale

Regia – Jennifer Kent (2018)

Da quello che avevo letto in giro, mi aspettavo un film completamente diverso: sporco, rabbioso, quasi una riedizione dell’exploitation anni ’70, e invece mi sono trovata di fronte a un’opera di un’austerità monacale, priva di colonna sonora non diegetica, girata poi in un 4:3 voluto fortemente dalla regista e dal direttore della fotografia per evitare l’effetto cartolina del magnifico paesaggio australiano, e di conseguenza spogliare in partenza The Nightingale da qualunque tentazione estetizzante. Due ore e mezza che raccontano le fondamenta di una nazione e, perché no, di una civiltà, quella occidentale, nata dalla e prosperata sulla sistematica oppressione del più debole. L’opera seconda di Kent è così radicale da sfidare qualunque aspettative possiate farvi su di essa. E davvero, Kent, dopo The Babadook (ancora horror del decennio senza rivali) avrebbe potuto fare ciò che voleva; invece ha aspettato, è rimasta in silenzio per cinque anni e poi ha diretto questo capolavoro che non ha alcuna intenzione di compiacere il pubblico, neppure quella fetta di pubblico che aveva amato il suo esordio, dimostrando così di essere un’autrice dalla visione unica, priva di qualsivoglia compromesso, libera e pura. Un dono di Dio.

Ora, io vi devo avvisare, anche se molti di voi forse lo sanno già, che se deciderete di sedervi di fronte a questo film dovrete essere pronti a sopportare un carico di violenze e atrocità difficile da sopportare. Ve lo dico perché non si tratta, come dicevo prima, di mera exploitation o della violenza da intrattenimento cui siamo abituati col cinema di genere, e sono certa che la sensibilità di qualcuno potrebbe uscirne ferita nel profondo. Sono quindi costretta, in un certo senso, a fare degli spoiler: The Nightingale è un film da maneggiare con cura estrema e, nel caso in cui tematiche come la violenza sulle donne, la violenza razziale e sui minori dovessero causarvi dei problemi, statene lontani. Nessuno vi biasimerà per questo. Per una volta tanto, comprendo persino chi è uscito dalla sala o si è sentito male durante le proiezioni ai festival. Proprio perché Kent non si compiace mai della violenza, proprio perché gli atti orribili di cui si fa testimone con il suo film sono trattati con un’umanità e una pietas rare, potrebbero farvi male sul serio.
Siate quindi molto consapevoli di quello che andate a vedere. Non sto scherzando.

The Nightingale è ambientato in Tasmania nel 1825 e narra della detenuta irlandese Clare, che lì sta scontando la sua pena; la giovane donna è al servizio di una guarnigione di soldati inglesi, è sposata con un suo conterraneo, ha una figlia di pochi mesi e sta aspettando che l’ufficiale a capo della guarnigione le consegni un documento che attesti la fine del suo periodo di detenzione. Quando ciò non avviene, il marito di Clare confronta l’ufficiale, e tutto finisce in tragedia: Clare perde tutto, marito e figlia, mentre il soldato parte con un piccolo gruppo di uomini verso nord per prendere comando di un’altra postazione. Clare decide di seguirlo per vendicarsi e si porta dietro una guida aborigena, Billy.
A leggere la trama, senza avere altre informazioni, parrebbe un classico rape & revenge: ci aspettiamo che Clare raggiunga i suoi aguzzini e li faccia fuori uno a uno, uscendo dall’esperienza più forte e indomita che mai. E se questo canovaccio va benissimo, ed è andato benissimo, per tanti prodotti di genere più o meno interessanti, Kent non è tipo da tali semplificazioni o scorciatoie, perché a lei non interessa la vendetta individuale di Clare, e anzi, sul fallimento dello stesso concetto di vendetta, niente altro se non il perpetuarsi di un ciclo di violenze senza fine, ha da dire tutto il male possibile.
The Nightingale parla, in realtà, di tutt’altro.

Prima di tutto, è la storia di un rapporto difficilissimo tra due vittime che, all’inizio non si capiscono e si temono reciprocamente: Clare è la prima a trattare la sua guida come un essere situato appena un gradino sopra le bestie, mentre Billy non ha alcuna intenzione di fidarsi di lei. E non si può dare torto a entrambi; la prima ha appena subito da un gruppo di uomini quanto di peggio una donna può subire, mentre il secondo ha tutte le ragioni del mondo per disprezzare i bianchi che sono piombati sulla sua terra e hanno massacrato la sua gente e annientato le sue tradizioni in nome della “civilizzazione” (termine usato più volte dai soldati inglesi).
Ma poi accade qualcosa, in maniera molto graduale, senza attimi di agnizione improvvisa, ma attraverso il raccontarsi e il comprendersi: entrambi si riconoscono come oppressi, e da questa alleanza tra ultimi e indifesi nasce forse il solo barlume di speranza in un film pieno di dolore.
Billy non è infatti la spalla di Clare, è il personaggio chiave di tutta la vicenda, quello tramite cui Clare apprende l’essenza della sua condizione. Billy e Clare sono fratelli, entrambi sradicati, entrambi sfruttati e ridotti a meri oggetti nelle mani dei colonialisti, e in questo western sepolcrale, rappresentano tutto ciò che viene violato, degradato e spogliato della dignità di essere umano da un potere maschile che si appropria di ogni cosa semplicemente perché può farlo.

Di fronte a questo privilegio sistematico, la sete di vendetta di Clare può fare molto poco, così come poco può fare la rabbia di Billy per la condizione in cui vive il suo popolo. È, ribadiamolo, un circolo vizioso da cui non si può uscire vincitori, se non spezzandolo. La relazione tra Billy e Clare può essere vista come un modo per spezzare il cerchio, o soltanto come un tentativo di cercare un po’ di conforto e calore in un mondo che, prima o poi, ti presenterà il conto.
Perché, purtroppo, gli equilibri di potere rimangono inalterati, nonostante la vendetta e, sembra volerci dire Kent, sono tutt’oggi rimasti inalterati. The Nightingale è infatti un film in costume che parla di noi, che ci mostra senza pudore le macerie e gli ossari su cui è stato edificato il nostro sistema di vita attuale.
Ho letto e visto recensioni australiane del film (questa ragazza dovete seguirla, perché è bravissima) e spesso ho sentito che è difficile comprendere ogni sfumatura di The Nightingale se non si conosce e non si è vissuta la storia dell’Australia. Credo sia in parte vero, e tuttavia colonialismo e oppressione fanno parte del nostro DNA, e non è poi così complicato afferrare il tema principale di The Nightingale, anche se non ci piace sentircelo dire. Non è soltanto la “nascita di una nazione”, è la nascita di una civiltà.

È cinema politico nell’accezione più nobile e profonda del termine, ed è così essenziale e scarno da essere a prova di idiota.
Kent, a partire dal formato di cui abbiamo già discusso in apertura, passando per la recitazione estremamente naturalistica (sia Aisling Franciosi che Baykali Ganambarr sono esordienti e sono spaventosi), fino ad arrivare a una messa in scena spogliata da ogni orpello, che rinnega la bellezza stessa del paesaggio e si lascia andare al lirismo solo nelle ultime inquadrature, trasforma il suo stile rispetto a The Babadook, che era un film dell’orrore puro, con tutti i barocchismi e i guizzi del caso. Qui, invece, opta per due caratteristiche fondamentali: rigore e vicinanza ai personaggi; la macchina da presa è ferma, quasi sempre fissa, vengono prediletti i primi piani o i campi lunghi sviluppati (per forza, direte voi) in altezza, con tanta aria in testa agli attori; l’assenza di musica aumenta questa impressione di film denudato, ridotto all’osso in ogni suo aspetto. Eppure riesce a essere lo stesso elegantissimo, pur rinunciando a tutte le scappatoie e ai ricatti emotivi cui una vicenda del genere si presterebbe volentieri.

Per questo se ne esce sbalorditi e frastornati, non soltanto per le batoste ricevute da un paio di sequenze che metterebbero a dura prova anche il più scafato consumatore di horror. L’unico precedente cinematografico recente a cui riesco ad accostarlo è Il Figlio di Saul, e se l’avete visto, sapete più o meno a cosa mi riferisco a cosa state andando incontro.
Si sente, più di tutto, l’urgenza di raccontare questa storia, e di raccontarla in questo modo, la necessità profonda di dare una voce a chi non ce l’ha mai avuta, di fare propria una narrazione da sempre appannaggio esclusivo degli oppressori. E se alla fine del film sarete sconvolti, arrabbiati, offesi, oltraggiati, allora vorrà dire che Kent ha fatto bene il suo lavoro.
Io ve lo dico: insieme a Parasite, è il film dell’anno.

23 commenti

  1. Ho amato Babadook, quindi e’ obbligo guardare anche questo.
    Poi le tue recensioni mettono voglia di guardare anche i sassi.
    Purtroppo non riesco a trovare i sottotitoli in italiano 😦

    1. Perché purtroppo ancora non ci sono 😦

      1. 😦

  2. enricotruffi · ·

    Possibilità di uscita nei cinema italioti rasentano lo zero, vero? Se così fosse me lo vedo in maniera illecita e amen. Comunque non è proprio un horror (anche se in parte lo è), però… sarei curioso di sentirti lo stesso su Parasite.

    1. Io credo che, con questo film, sia davvero impossibile un’uscita in sala da noi. Magari, tra qualche mese, potrebbe approdare su Netflix o Amazon, ma al cinema ce lo dobbiamo scordare.
      Quanto a Parasite, è davvero difficile. Dovrei innanzitutto rivederlo, perché l’ho visto addirittura a maggio scorso grazie a Cannes a Roma, e poi dovrei studiarlo 😀

      1. su Amazon (non Italia) e’ presente, purtroppo senza sub ita 😦

  3. Questo film è qualcosa che attendo da tantissimo tempo e non vedo l’ora di vederlo. La tua stupenda recensione non ha fatto altro che convincermi ancor di più della bravura della Kent.
    Devo dire una cosa, per certi versi The nightingale, per come è stato presentato e per come ne hanno parlato, mi sembrava avesse molte cose in comune con Brimstone. Leggendo la tua recensione però capisco come in realtà le due pellicole siano molto diverse l’una dall’altra.
    Grazie mille per questo articolo!

  4. Non credo che lo vedrò, per i motivi che citi,ma resto sempre un po’ così all’idea della nostra civiltà fondata sull’oppressione.
    Mi domando cosa dicessero degli egizi gli abitanti della terra di Punt, o cosa le tribù che ebbero a che fare con Shaka Zulu pensassero degli Zulu appunto, e mi ricordo Life of Brian, “cos’hanno fatto per noi i Romani, a parte le strade, gli acquedotti…”
    Fatico a trovare una civiltà, nei nostri 200.000 anni di storia, che non abbia prima o poi oppresso qualcuno.
    È un terreno difficilissimo da navigare, e personalmente ho sempre odiato la dicotomia bicchiere mezzo pieno/bicchiere mezzo vuoto.
    I crimini ci sono, e sono indiscutibili, e sono spaventosi. Noi non avremmo dovuto, perché ci facevamo portatori di un messaggio che era l’antitesi dell’oppressione. Ma alla fine anche i Cinesi e gli Indiani sottoscrivevano filosofie simili, e c’è certamente stato chi li ha considerati oppressori, prima o poi.
    Tutto questo esula ovviamente dalla tuo recensione, e probabilmente dai fini ultimi di questo film.
    Però ecco, “abbiamo anche fatto cose buone”.
    Spaventoso, vero?

    1. Diciamo che il colonialismo, da una prospettiva storica, non è neanche una settimana fa, ma è l’altro ieri, quindi forse è arrivato il momento di discuterne, di assumersi delle responsabilità come civiltà nei confronti delle nostre vittime. Perché non si tratta di avere anche fatto cose buone. Se le abbiamo fatte, le abbiamo fatte nonostante le vittime, non anche per quelle. Non so se mi sono spiegata.

      1. Blissard · ·

        @Mana: l’oppressione è un concetto trasversale, non implica necessariamente rigido manicheismo sociale, persino Marx lo sapeva: un oppresso può benissimo essere un oppressore in un altro ambito, e anzi la stessa oppressione si sostanzia maggiormente in questa trasversalità.
        @Lucia: aspettavo con impazienza il tuo commento e la pazienza è stata ripagata, bellissima recensione; la questione dell’oppressione è la più evidente del film, tanto che i difetti che ho rilevato dipendono spesso dagli elementi che rimarcano la sua natura di “film a tesi”, cosa che l’ha reso – lui sì – un po’ manicheo e semplicista, con villains così stereotipati e rocciosamente monodimensionali da risultare poco credibili. Visivamente è una meraviglia, e Il motivo per cui ho ammirato tantissimo la Kent è per avere destrutturato il revenge movie nei suoi presupposti (non dico di più per non dovere ricorrere a spoilers), cosa che nessunissimo in tempi recenti ha neanche provato a fare.

        1. Sui cattivi monodimensionali, io mi sento di dare ragione a Kent, perché così come i due protagonisti rappresentano gli oppressi, l’antagonista principale rappresenta e si porta sulle spalle il concetto di oppressione, e quindi deve essere così, non deve avere sfumature, altrimenti si cadrebbe facilmente nel giustificare il loro modo di agire. Anche se poi non è completamente così: l’ufficiale è, anche lui, uno vessato dai superiori, che vorrebbe solo andarsene da lì, e scarica la sua rabbia sui più deboli. Il concetto di oppressione trasversale si vede molto bene nelle dinamiche tra i tre “cattivi” principali, per esempio. Piuttosto, se il film ha un difetto è che, forse, nella parte centrale, i due girano un po’ a vuoto, ma sono davvero minuzie, secondo me.

  5. Tu scrivi – e racconti, che son due cose diverse – molto bene, e questo già lo sapevo. Sarà poi il film, sarà la Kent che già idolatro senza ancora aver potuto vedere la sua opera seconda (ma è imperativo che lo faccia), ma qui ti sei addirittura superata. Scusa il “barocchismo”, ecco, ma ne esco con il ❤ gonfio d'amore (e di orrore, che altro?).

    1. Ma grazie! È soprattutto perché ci tengo tanto a questo film, e a Jennifer Kent che idolatro come te, e allora cerco di dare il meglio, perché credo sia davvero importante che The Nightingale venga visto. Ed è anche un peccato che qui da noi, a mio parere, sarà difficilissimo che trovi una distribuzione adeguata, o anche solo una distribuzione di qualunque tipo ;(

      1. Eh, infatti.
        “Faremo come faremo”, ma faremo.
        Inderogabile.

  6. Babadook l’ho visto quattro volte e lo rivedrei altre quattrocento volte, già questo dovrebbe bastare per correre a vedere questo film. Se poi mi dice che c’è la violenza più inaudita e che è anche funzionale al “discorso” e non solo pura estetica e divertimento (che ben vengano tra l’altro), allora mi sa che devo affrettarmi proprio.

  7. Giuseppe · ·

    Jennifer Kent dovrebbe leggere questa tua recensione 😉❤
    Peccato che i motivi per i quali il film dovrebbe essere visto da noi difficilmente troveranno il supporto di qualche distributore disposto a rischiare… 😟

    1. Guarda, se siamo fortunati, ma molto fortunati, il film potrebbe arrivare su Prime, ma solo perché è già sulla piattaforma in altri paesi. Però al cinema scordiamocelo tutti.

  8. Segnalo che sono disponibili i sottotitoli in italiano per la versione AMZN,
    non so se posso mettere il link

  9. Visto.
    Con sofferenza, ma mi ha veramente stregato, dopo The Babadook (che ho amato) un’altra perla di Jennifer Kent, una regista da tenere d’occhio.
    Certo non e’ un film per tutti, se siete sensibili e odiate la violenza, allora lasciate perdere, perche’ qui l’orrore esiste veramente, non siamo nel territorio degli zombi, vampiri e altri personaggi di fantasia, siamo con la realta’.
    L’inferno e’ sulla terrra, letteralmente.
    10 +

    1. Eh sì, è un film durissimo. Ti lascia proprio traumatizzato, anche se pensi di essere pronto.

      1. Forse e’ il primo film che mi ha veramente scioccato, e ne ho visto di horror, ma questo pur non essendo compreso nella categoria li batte tutti, alcune sequenze sono veramente forti, avevo quasi deciso di mollare ma ho continuato, per fortuna.
        Dubito che uscira’ nelle sale italiane, e se si sara’ massacrato dalla censura,
        prodotto dalla IFC FIilms, una casa di produzione che sta sfornando molte opere interessanti, oltre questo, quelli che ho visionato, Rust Creek, The Wind.
        grazie Lucia per le tue preziose recensioni 🙂

        Buon incubi a tutti quelli che lo vedranno

  10. Visione a tratti davvero insostenibile ma necessaria, sincera, attuale e di altissimo livello. Bravissimi Aisling Franciosi e Baykali Ganambarr, Anche per me film dell’anno insieme a Parasite (e al capolavoro The Irishman).

  11. Niente da fare per me, annusando l’aria, già dalla canzone. Continuando, ho dovuto staccare.
    Immagino di perdermi un gran film. Però ho potuto leggere liberamente qui, gran bella recensione.

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