The Little Stranger

 Regia – Lenny Abrahamson (2018)

Passato del tutto inosservato, caduto nel dimenticatoio quasi subito, The Little Stranger non si merita un destino simile e non solo perché, sulla carta, aveva tutti gli elementi per ricevere un minimo di attenzione (regista con all’attivo un film di successo, cast importante, tratto da un romanzo abbastanza conosciuto), ma perché è un’ottima, per quanto atipica, ghost story, come non se ne fanno più, verrebbe da dire, e come più non se ne faranno, dato che il pubblico sembra non gradire affatto, preferendo rivolgere la propria attenzione ad altri tipi di fantasmi, non così sfuggenti e ambigui, fantasmi più comprensibili, che non lasciano domande prive di risposta.
Se The Little Stranger parla sicuramente di una casa infestata, diventa difficile stabilire con esattezza da cosa sia infestata. Ed è forse questo ad aver respinto gli spettatori, l’assenza di una spiegazione chiara, univoca. Chi invece ha avuto la fortuna di leggere il romanzo di Sarah Waters (L’Ospite, in italiano) e di vedere il film dopo, sa che il libro ha tratti di ambiguità ancora più accentuati, mentre il film, almeno negli ultimi secondi, fornisce un’interpretazione degli eventi abbastanza netta.
Ma non è sufficiente, a quanto pare: ci vuole il demone, lo spiegone, lo spettro dell’antenato incazzato, il poltergeist di turno, altrimenti la gente non capisce.

The Little Stranger è, innanzitutto, la storia di una casa e della famiglia che la abita; in seconda battuta, è la storia di un osservatore, di un “piccolo estraneo”, che per quella casa e quella famiglia nutre una fascinazione mista a invidia sin dai tempi dell’infanzia.
L’epoca è l’immediato secondo dopoguerra, il luogo dove si svolge la storia è l’Inghilterra rurale, il Warwickshire, per essere precisi, la casa è Hundreds Hall e ad abitarla è l’antica e, un tempo, molto ricca famiglia Ayres, ora in decadenza; l’osservatore è invece un medico di campagna, il dottor Faraday (Domhall Gleeson), chiamato ad Hundreds per curare il mal di pancia dell’unica cameriera ancora al servizio degli Ayres. Ma la storia di Faraday e di Hundreds Hall ha radici antiche: la mamma del dottore era stata una balia proprio nella tenuta degli Ayres e una volta, da bambino, Faraday stesso era riuscito a entrare in quel paradiso di ricchezza altrimenti inaccessibile.

Solo che molte cose sono cambiate: Hundreds Hall è in rovina, la padrona di casa, la signora Ayres (Charlotte Rampling) è rimasta vedova e vive con i suoi due figli, Roddie, rimasto sfigurato e zoppo durante la guerra, e Caroline (Ruth Wilson), tornata da poco a casa per prendersi cura di madre e fratello. Molte stanze della Hall sono chiuse, coperte di ragnatele, divorate da muffa e sporcizia e l’antico splendore che così tanto aveva colpito Faraday ragazzino è soltanto un ricordo.
Ma c’è di più: la giovane cameriera appena assunta ha paura di quella casa e non è l’unica, perché anche Roddie dice di sentirsi minacciato da una presenza decisa a far del male a lui e alla sua famiglia.
Faraday, da uomo razionale, ha una spiegazione per tutto, ma la follia e il terrore contagiano uno a uno tutti gli Ayres, quasi la casa si stesse vendicando su di loro a causa del suo stesso abbandono, perché gli Ayres non sono stati capaci di prendersene cura, di rispettarne la bellezza.

The Little Stranger può essere tante cose: un racconto gotico su una casa che vive di vita propria e divora i suoi abitanti, la storia di un piccolo arrampicatore sociale che cerca in Hundreds, pur in piena decadenza, un prestigio mai posseduto, nonostante il suo titolo di medico del villaggio; la storia di un amore non ricambiato (quello tra Faraday e Caroline e, soprattutto, tra Faraday e Hundreds); un viaggio in un momento storico di transizione, che vedeva le vecchie famiglie nobiliari scomparire sotto i colpi di cambiamenti sociali enormi; o forse è soltanto la vicenda, tristissima, di una vendetta consumata con trent’anni di ritardo, ai danni chi è nel frattempo diventato troppo fragile per difendersi.

Qualunque cosa sia, è un film ipnotico e che genera una inquietudine sottile, che non ha interesse a spaventare nel senso canonico del termine, ma preferisce trasmettere un senso di minaccia vago, indefinito, come un presagio di sventura, un destino perfido che si stende sulle vite dei personaggi in forma di eventi inspiegabili e fuori dal loro controllo. Persino chi di questi eventi è responsabile non può dominarli, li subisce e ne viene, alla fine, sconfitto, perdendo tutto.
Gli Ayres sono chiaramente haunted, ma anche il dottor Faraday lo è. Forse il suo personaggio perde le connotazioni di narratore inaffidabile che aveva nel romanzo, ma mantiene in tratti di invidia sociale, di rancore mai del tutto sopito, creatura che vive di luce riflessa, stregato dalla famiglia della Hall e dai fantasmi che la circondano. Al contrario, la signora Ayres, Caroline e Roddie hanno una statura tragica, cui Faraday non può aspirare.
E che cos’è Faraday? Un semplice spettatore di un dramma consumatosi davanti ai suoi occhi impotenti? Un abile manipolatore della vita altrui? Non è del tutto dato di saperlo, perché il punto di vista è il suo, è l’eroe della storia. E tutti siamo gli eroi della nostra storia, soprattutto se non ci rendiamo conto di essere i cattivi, di esserlo sempre stati.

Non saprei se definire The Little Stranger un horror: formalmente, può gareggiare senza sfigurare troppo con grandi film gotici del passato, come The Innocents o The Haunting, mentre Hundreds Hall, grazie al suo aspetto da nobildonna in rovina, con le vestigia di un glorioso passato ricoperte di polvere, è un’ambientazione dal fascino sinistro, decadente e disperato.
Abrahamson, che così poco mi aveva convinto in Room, sembra trovarsi a suo agio con atmosfere e tematiche del gotico, sembra aver trovato una collocazione naturale per il suo stile classico e compassato; riempie gli occhi di immagini ad alto tasso di suggestione, isola i suoi personaggi nelle fredde e abbandonate stanze della casa e, restando in questo molto fedele al romanzo, evita sempre di mostrare il soprannaturale in maniera diretta: gli eventi sono riportati da terze persone o filtrati attraverso uno sguardo non obiettivo, così da mantenere, fino all’ultimo istante, tutti le strade aperte. Follia? Tara ereditaria? Orchestrazione esterna? O una forza inconscia e inconsapevole all’opera?
Non lo sapremo mai, non è neanche importante saperlo. Ciò che conta è assistere a questo lento e inesorabile disfacimento, questa lenta discesa nelle sabbie mobili di Hundreds Hall che, quando ti ha fatto entrare, non ti lascia più andare via.

8 commenti

  1. valeria · ·

    avevo letto il romanzo qualche anno fa e ne ricordavo molto bene sia la sensazione di angoscia ineluttabile che quel finale pazzesco. il film mi è parso assai fedele al libro sia in termini di trasposizione che di angoscia pura: non c’è una scena in cui non si respiri aria di marcio. mi fa una gran rabbia vedere quanto sia stato ignorato al botteghino (non so neanche se sia uscito da noi in italia, ad essere sincera), per non parlare delle critiche che ho letto in giro: “film senza senso, non fa paura, non succede niente, non ho capito il finale” ecc, ecc. io ne sono rimasta interamente soddisfatta e sono proprio contenta che tu ne abbia parlato 😀 speriamo che anche ad altri venga voglia di vederlo!

    1. In Italia pare sia fuggevolmente passato questa primavera, ma io non me lo ricordo proprio. Mi sarebbe piaciuto vederlo in sala, perché le immagini sono tutte bellissime.
      😦

  2. L’ignoranza del pubblico medio è davvero qualcosa di desolante.

    Apro una parentesi: io temo che fra tutte le cause di questa rinnovata ignoranza ci sia il cosiddetto “sdoganamento” della altrettanto cosiddetta “cultura pop”… che per molta gente si è rivelato solo il poter apprezzare senza “vergogna” certi film, certi libri, certe canzoni che un tempo erano ritenute buone solo per i cretini, e che in effetti LO SONO!… mentre oggi sono state elette a forza al ruolo di “cultura” insieme ai film veramente interessanti.
    Sembra una cosa estrema da dire, sembro i nostri nonni quando sui giornali facevano le crociate contro Diabolik che aveva la colpa di traviare i giovani… eppure mi sembra che tutto sommato le cose siano davvero così. Nobilitare l’immondizia non la rende migliore di quanto sia; rende soltanto chi si nutre di immondizia LEGITTIMATO a continuare a farlo, e di conseguenza a snobbare, criticare, odiare, smerdare qualsiasi cosa superi anche di una sola spanna le stupidaggini che egli è solito vedere.
    Ora che tutto è cultura, ora che tutto è “trash” e quindi fico, il cinema di genere e i suoi estimatori ci hanno guadagnato solo in parte (penso a un Del Toro che vince l’Oscar… chi mai lo avrebbe immaginato?), mentre il pubblico medio basso ne ha approfittato per guadagnarsi l’immenso vantaggio di potersi vantare della propria merda, e di poterne rimanere incollato senza dubbi, senza crescita, senza pensare che forse c’è qualcosa d’altro in giro. Perchè diciamoci la verità: tra i tanti cultori di sotto-generi e di pellicole “assurde” non ci sono solo intellettuali illuminati, ma anche tanta marmaglia che non sa riconoscere la notte dal giorno, e apprezza le peggiori assurdità convinta di capirci qualcosa.

    Forse sbaglio del tutto, questa è solamente una mia teoria… ma non posso che sentirmi che così, soprattutto quando leggo le stupidaggini di certi fan Talebani dei film di supereroi, oltretutto talmente convinti delle proprie idee da non accettare alcun tipo di confronto. Anche io da giovane aspiravo a essere “riconosciuto e accettato”, speravo che le cose che guardavo o ascoltavo io fossero considerate valide anche dalle altre persone… Oggi invece ripristinerei i servi della gleba.

    1. Questo discorso mi suona vagamente familiare 🙂
      Io credo che si sdogani con entusiasmo l’immondizia perché l’immondizia è facile, non richiede impegno né per essere fruita né per essere creata. È la quintessenza del “prodotto” usa e gettra.
      E a tutti, aggiungo, piace sentirsi dire che la propria ignoranza in realtà è tutto ciò che serve per conoscereil mondo.
      Quanto al desiderio giovanile di vedere le proprie passioni ed i propri interessi accettati e riconosciuti, come diceva quel tale, “Attenti a ciò che desiderate, i vostri desideri potrebbero avverarsi.”
      Non passa giorno che io non ci pensi.

    2. È il discorso, che con Davide abbiamo fatto tante volte, dei cosiddetti “nerd che hanno vinto”.
      Io, per esempio, mal sopporto l’esaltazione a prescindere dei B movie italiani che si facevano a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, solo “perché lo ha detto Tarantino” (tanto per fare un esempio): il 90% di quella roba era spazzatura realizzata in fretta per capitalizzare su titoli stranieri più importanti e famosi ed è anche invecchiata malissimo.
      Il culto del trash, che ha anche perso il suo reale significato (citofonare a John Waters), sta dando spazio alle cose peggiori, tra rutti e festeggiamenti.
      Il problema è che non c’è nessuno che voglia impegnarsi più di due secondi nel guardare o leggere qualcosa.
      Tutto è semplificato ai minimi termini e, non appena arriva qualcosa di leggermente più complesso, viene rigettata.

  3. Giuseppe · ·

    Trattandosi di casa infestata in modo non canonico (e purtroppo quindi sì, oggi di meno facile presa per un pubblico disabituato a riflettere), oltre a The Innocents e The Haunting, mi spingerei fino a metà anni ’70 per ricordare un altro grande titolo al cui confronto The Little Stranger potrebbe benissimo non sfigurare: Burnt Offerings… 😉

  4. Film che ho visto questa sera, grazie alla tua recensione. Film raffinato ed elegante nella messinscena, senza mai scadere nel lezioso. Mi è piaciuto davvero molto!

  5. Visto ora: davvero ottimo.

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