Pillole novembrine

Con una foto che è un’adeguata rappresentazione dello stato d’animo della sottoscritta nelle ultime settimane, nonché della situazione meteo in quel di Roma, riprendiamo la rubrica delle pillole, che tanto vi sembra piacere. E diciamo la verità: non c’è moltissimo horror in giro, in questo momento; il 2018, fin’ora, ha regalato roba eccelsa, ma in misura numericamente inferiore rispetto agli altri anni e credo che a breve succederà qualcosa di inaudito per questo blog, in quanto sarò costretta a dichiarare miglior horror dell’anno una serie tv.
Ciò non vuol dire che non ci siano film da vedere, vuol dire che nessuno di essi mi ha colpita a tal punto da volerci scrivere un articolo vero e proprio sopra. Ma le nostre pilloline esistono proprio per questo motivo e oggi sono anche più ricche del solito,

Cominciamo dalla cara, vecchia Inghilterra con il mio nuovo eroe, il regista britannico Charlie Steeds, giovanissimo, con in programma ben tre film in uscita tra la fine dell’anno e l’inizio del 2019, tutti rigorosamente horror, tutti ultragore, tutti girati con sei lire e mezza e con un gruppo di attori fissi.
Ho appreso dell’esistenza di Steeds su Twitter, quando la sua musa Kate Davies-Speak ha postato il trailer di Escape from Cannibal Farmed è stato subito amore: trattasi di una variazione sul tema di Non Aprite quella Porta, ma ambientato nella campagna inglese, e con qualche sorpresa piazzata ad arte dal regista lungo il confortevole sentiero del survival horror coi cannibali. Niente di nuovo, per carità, ed è evidente che si tratti di un semi-esordio a basso budget. Eppure, c’è tanta di quella voglia di fare horror, tanto di quel desiderio di spaccare tutto, tanta di quell’anarchia, che non si può fare a meno di volergli bene. E comunque gli attori inglesi hanno sempre un qualcosa in più rispetto ai loro colleghi d’oltreoceano.
Vedetelo a vostro rischio a pericolo, ma tenete comunque d’occhio il ragazzo, che ha già fatto enormi passi in avanti con il successivo The House of Violent Desire (ne parleremo, quando trovo il tempo) e potrebbe diventare il prossimo inglese bastardo da portarci nel cuore.

Usciamo per un istante (ma ci torneremo) nell’ambito super indie e andiamoci tutti a sedere sulle ginocchia di Jason Blum, passando per Netflix, e parliamo di Cam: non saprei se definirlo un horror, una sorta di techno-thriller o un film di fantascienza sull’orlo della distopia, ma è di sicuro un’opera (un esordio, poi) molto interessante, che affronta il tema del nostro rapporto con la tecnologia da un punto di vista inusuale, quello della cam girl Lola (Madeline Brewer), in perenne competizione con le sue colleghe per raggiungere la vetta della classifica delle ragazze più cliccate, e di conseguenza più pagate, che si vede rubare la propria identità online da una esatta copia di se stessa, capace però di dar vita a spettacoli più spinti, arrivando in fretta a essere una delle favorite dai clienti del portale per cui Lola lavora.
Il regista e co-sceneggiatore  Daniel Goldhaber è poco più che un ragazzino, eppure tiene molto bene in piedi la storia di una crisi di identità digitale, che sfocia nell’horror soltanto negli ultimi minuti, retta anche dall’ottima interpretazione della sua protagonista.
Insomma, non fatevi ingannare dalla produzione Netflix, e non fate i soliti rompipalle con il marchio Blumhouse, perché Cam funziona a più livelli e sono convinta lo troveremo in parecchie classifiche di fine anno.

Eccoci di ritorno nell’ambito indie a basso budget, ma con grandi ambizioni: non so se vi ricordate di YellowBrickRoad e di Andy Mitton, uno dei due registi di quel piccolo capolavoro, che ha continuato la sua carriera in solitaria con l’ottimo We Go On. Questa volta, Mitton non fa passare sei anni tra un film e l’altro, ma torna subito dietro la MdP con The Witch in the Window, un’altra micro-storia famigliare che, se manca dell’originalità di We Go On, con quella ricerca dell’aldilà condotta da madre e figlio, non difetta di certo in intensità. Racconta di un ragazzino costretto dalla madre, dopo un’imprecisata bravata, ad andare a vivere col padre in una grande casa in campagna che l’uomo sta ristrutturando, nella speranza di riuscire a rivenderla.
Pare tuttavia che una strega abitasse e sia morta tra quelle mura, una donna in grado di mandare il cervello altrui in pappa, e condannata a una solitudine perenne.
Mitton è molto bravo a costruire un’atmosfera sinistra senza nulla: due attori e una casa vuota, nessun trucchetto dozzinale, nessun jump scare, soltanto suggestione e vaghissime allusioni a una presenza che, tuttavia, si fa sempre più minacciosa. Il film ci mette parecchio a carburare e, anche quando lo fa, lascia sempre l’orrore in secondo piano rispetto ai personaggi e a un rapporto tra padre figlio difficile da ricostruire.
Potrebbe sorprendervi come annoiarvi a morte. A me ha lasciato un’ottima impressione e, anche se We Go On era di un’altra categoria, fa sempre piacere che ci siano registi come Mitton in circolazione.

Andando a scavare in produzioni sempre più povere, è il turno di uno stranissimo horror-sf canadese che credo sarà costato più o meno quanto una cena tra amici in pizzeria. Floraopera d’esordio di Sasha Louis Vukovic, è davvero un film girato in condizioni ai limiti della sussistenza e sì, gli attori sono quasi tutti imbarazzanti, la povertà è evidente a ogni singolo fotogramma, ma è così bizzarro e affascinante che, alla fine, gli si perdona quasi tutto. Ambientato negli anni ’20, racconta di una spedizione di giovani botanici universitari in una foresta. Quando gli studiosi arrivano sul posto, si accorgono che il loro professore è sparito nel nulla. E non solo: qualunque forma di vita animale sembra essere stata annientata, mentre quella vegetale è lussureggiante. Qualcosa sta avvelenando l’aria; forse è il polline, forse una organismo senziente. I nostri cercano di studiare il fenomeno e, allo stesso tempo, di attraversare la foresta per arrivare a una stazione ferroviaria a una settimana di cammino da dove si trovano.
Come mi capita spesso per questo tipo di film, vi avviso di guardarlo a vostro rischio e pericolo: la carenza di mezzi e, in alcuni casi, il dilettantismo, potrebbero allontanare più di uno spettatore. Ma l’idea alla base di Flora è abbastanza forte da sostenere da sola tutti i suoi difetti.

E veniamo ora al divertissement del mese, ovvero Monster Party, per la regia di Chris von Hoffman, già autore nel 2016 del simpatico Drifter. Devo confessare di aver iniziato a vedere il film solo per la presenza di una rediviva Robin Tunney, attrice che adoro e con una carriera non troppo fortunata. Qui interpreta una ricca signora con villa a Malibù intenta a organizzare un party per una non del tutto chiara (non all’inizio) ricorrenza. Un gruppo di ladruncoli si infiltra alla festa in qualità di camerieri con l’obiettivo di ripulire la cassaforte presente in casa. Peccato sia l’errore peggiore della vita di questi tre piccoli delinquenti, perché la festicciola è in realtà una riunione di efferati serial killer “curati” dalla loro dipendenza come se fossero dei tossicodipendenti e, cura o non cura, basta davvero poco per ricadere nelle vecchie abitudini.
Violento e splatter quanto basta, Monster Party ha i ritmi di una commedia al sangue con quel tanto di metafora politica grossolana e spicciola che però non ti fa sentire un perfetto idiota. Sorprende soprattutto per la successione delle morti e per un paio di capovolgimenti di campo alquanto interessanti.
Bravissima la Tunney nel ruolo di ex assassina, ora casalinga redenta, che ci tiene particolarmente a salvare le apparenze.
Per una serata spensierata a base di seghe elettriche, accettate in faccia e turpitudini varie, va più che bene. Potrebbe essere uno dei piccoli cult dell’anno.

E con questo abbiamo finito. Qui non la smette di piovere, le voragini hanno iniziato a formarsi sul manto stradale romano, io non tocco la bici da giorni e sto anche senza patente. Per fortuna, esistono i film dell’orrore. Che Satana ce li conservi così in eterno. Buona settimana.

 

 

10 commenti

  1. Blissard · ·

    Cam l’ho visto ieri sera, non mi ha convinto troppo, da un certo punto in poi sembra accartocciarsi su se stesso, eppure è innegabile che possegga spunti interessanti.
    Gli altri non li ho visti, anche se all’inizio pensavo che il primo film che citi fosse The Farm (https://www.imdb.com/title/tt7959500/), che ho visto anche recentemente e che ho trovato incongruamente elegante, a tratti assai sgradevole, involuto narrativamente ma accattivante visivamente: come si capisce, non sono riuscito a farmene un’idea ben precisa 😛

    1. Cam tende a un po’ a ripetersi verso la seconda metà, ma ha, secondo me, un finale molto ben gestito. Parlo del confronto tra le due “Lole”.
      Ecco, no, questo The Farm mi manca ancora 😀

  2. Cam l’ho adorato, sono felicissimo quando vedo film a basso budget ma con delle belle idee. La Blumhouse non si smentisce mai 😍

    1. La Blumhouse non si tocca ❤

  3. Il Trailer di Cannibal farm mi ha risvegliato quella voglia di splatter anni ’80 che sembrava scomparso. Una meraviglia!

    1. Ed è proprio quel tipo di film, Fratellone.

  4. Cristian Maritano · ·

    Bei suggerimenti!

  5. Giuseppe · ·

    Tutte pillole interessanti: mi incuriosiscono in particolare quelle in bilico fra horror e science-fiction come Cam e Flora (con quel suo minaccioso predominio vegetale su tutto il resto che, nonostante tutti i limiti di messa in scena, sembra molto intrigante)

  6. Ehi! Tra millemila film non passar oltre senza una visione -cut shoot kill- 😉
    Salut!

    1. È in lista. Appena ho un attimo di tempo mi do ai recuperi di tutto!

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