Don’t Look Now

 Regia – Nicholas Roeg (1973)

È scomparso venerdì, Nicholas Roeg, ed è stata una bella mazzata per chiunque ami il cinema. Uno dei più sottovalutati, eppure importanti, autori britannici se ne va, e con lui un pezzetto del mio cuore. Roeg, nel corso della sua lunga carriera, prima da operatore e direttore della fotografia e poi da regista, ha preso parte a una cinquantina di film e ha lasciato un segno molto più profondo di quanto si creda, molto più profondo di quello lasciato da certi individui celebrati in lungo e in largo. Ma io assocerò per sempre il suo nome a Don’t Look Now, considerato da più parti come uno dei migliori, se non il migliore, horror britannico mai realizzato.
Ed è difficile dare torto a chi crede una cosa del genere, almeno per quanto mi riguarda: sono fissata con gli horror inglesi e, nonostante io non sia un tipo nostalgico e riconosca il valore del cinema contemporaneo, ho sempre pensato che il modo di fare film negli anni ’70, quel continuo sperimentare sul linguaggio, sia un qualcosa di unico e irripetibile.
Ecco, Don’t Look Now è un film unico e irripetibile, uno studio sul lutto travestito da gotico soprannaturale, con un’ambientazione tanto sinistra quanto affascinante e uno stile che sperimenta dall’inizio alla fine. Per una come me, non c’è niente di meglio.

Don’t Look Now è tratto da un racconto di Daphne du Maurier, altra scrittrice che qui da noi tendiamo a ignorare, o quasi. Invece sarebbe da recuperare in blocco, anche perché è stata letteralmente saccheggiata dal cinema: Hitchcock ha adattato tre suoi romanzi, tanto per fare un esempio.
In questo caso, si tratta di una short story, contenuta in una raccolta del 1971, Not After Midnight. Potete trovare il racconto, in italiano, nell’antologia intitolata Non Voltarti edita da Il Saggiatore.
Com’è logico, Roeg e gli sceneggiatori si prendono parecchie libertà rispetto al testo originale, la più importante delle quali è cambiare la causa della morte della figlia della coppia protagonista, meningite nel libro, annegamento nel film.
Questo serve innanzitutto a Roeg per stabilire un tema ricorrente, ovvero quello dell’acqua, che ben si sposa con l’ambientazione veneziana, ma anche per caricare di un senso di colpa straziante i due genitori, in particolar modo il padre John (Donald Sutherland).
La coppia, inoltre, non si trova a Venezia per vacanza, come nel racconto, ma perché John deve eseguire un restauro su una chiesa. E anche qui è importante sottolineare quanto le scelte non siano frutto del caso, ma di precise ragioni stilistiche e di racconto, che poi sono la stessa cosa, specialmente quando si parla di uno come Roeg.

Perché, in fin dei conti, la trama di Don’t Look Now è di una semplicità imbarazzante: una coppia in una città straniera cerca di superare il lutto che l’ha colpita; i protagonist vengono avvicinati da due sorelle un po’ bislacche di cui una, non vedente, afferma di essere una medium e di sentire lo spirito della bambina annegata. John è scettico, ma sua moglie Laura (Julie Christie) è molto più disposta a credere, come del resto è anche più disposta a manifestare e vivere il suo dolore apertamente. Eppure la nostra prospettiva è quella di John e non abbiamo alcuna intenzione di dar retta alle anziane sorelle; sappiamo che si tratta di una truffa; vogliamo che si tratti di una truffa.
E da qui parte il depistaggio di Roeg, confonde il tutto, frammenta la storia in una miriade di anticipazioni e flashback, scompone la narrativa, piazza indizi a ogni fotogramma e alla fine, colpisce con una violenza inaudita.

Oltre che ad analizzare un lutto in grado di dividere anche la più affiatata delle coppie (e John e Laura lo sono), Don’t Look Now, proprio giocando su questa graduale separazione, rende malleabile e molto fragile la percezione dell’identità, propria e altrui e, come abbiamo già detto, lo fa attraverso particolari accorgimenti stilistici: specchi e vetri, spesso rotti, onnipresenti, fotografia rovinati, ritratti poco somiglianti, frantumi di futuro scambiati per presente, immagini che rimandano al passato interpretate nel modo più sbagliato e tragico possibile.
Errori di comunicazione, errori di valutazione del reale che non è mai quello che sembra, errori nell’avvicinarsi all’altro, nonostante crediamo di conoscerlo da sempre, errori nel giudicare. John, nonostante sia lui quello con una sorta di “dono” della chiaroveggenza, sbaglia quasi ogni singola mossa nel film.
Il comunicare, sia che si tratti dei propri sentimenti sia che si tratti di cose molto più prosaiche come organizzare una partenza, è quasi sempre appannaggio di Laura e, in generale, delle donne del film: le due sorelle di cui una comunica coi defunti; la direttrice della scuola del figlio maschio della coppia che strappa la cornetta di mano al marito incapace di parlare; e ancora Laura risulta sempre molto più partecipe e comunicativa di tutti gli uomini intorno a lei.

Tutto sta lì a dire che John e Laura vivono in due universi separati, anche in due linee temporali differenti, se vogliamo e non è sufficiente l’amore che ancora li lega a salvare entrambi. Non a caso, nel corso del film, i due si perderanno in continuazione, con John sempre alla ricerca di Laura, nella labirintica architettura di Venezia che, in questo senso, non potrebbe costituire un’ambientazione migliore.
Perdersi in una città sconosciuta, di cui non si parla (se non pochissimo) la lingua, smarrimento accentuato dalla scelta di non sottotitolare i numerosi dialoghi in italiano, lasciando così lo spettatore anglofono all’interno di una bolla di perenne incomprensione; alla fine, Don’t Look Now è un gran girare a vuoto del suo protagonista in uno spazio alieno, un percorrere e ripercorrere gli stessi vicoli e gli stessi ponti per tornare sempre al punto di partenza, quella pozza d’acqua dove la bambina è annegata.

È soprattutto il montaggio di Don’t Look Now, a opera di Graeme Clifford, a restituire questo senso di spaesamento, impossibilità di comunicare, rincorrersi a vuoto in un ambiente ostile, non capire se si stia vivendo il presente, si stia avendo una visione del passato o una premonizione del futuro. E il montaggio non lineare, negli anni ’70, era una faccenda da prendere molto sul serio: non era la prima volta che Roeg spezzettava la narrazione di un suo film: in Performance e Walkabout si possono già trovare degli elementi molto simili a quelli poi presenti in Don’t Look Now. Ma è qui che il montaggio trova una corrispondenza precisa con la storia e con i sentimenti da essa ispirati, con lo stato d’animo dei protagonisti, è qui che il montaggio non detta solo il ritmo delle inquadrature, non si limita a essere poco lineare perché sì (Nolan, sto parlando con te, lo sai benissimo che tu a Roeg gli devi tutto), ma rappresenta il cuore della vicenda, il suo centro emotivo.
I continui ritorni alla sequenza della morte della bambina, alternati ai primi piani sugli occhi della sorella non vedente, e poi ancora sui dettagli delle statue, sui torbidi specchi d’acqua veneziani, sui oscure premonizioni che ancora non abbiamo idea essere tali, non sono solo un qualcosa di splendido da vedere, sono una parte fondamentale del tessuto narrativo del film. In altre parole, o una storia come Don’t Look Now la racconti in questo modo o non la racconti e basta.

E ci sarebbe un mezzo oceano di altre cose da dire, su questo film, partendo dall’uso dei colori (che Roeg mutua in parte da Corman e da La Maschera della Morte Rossa per cui aveva curato la fotografia), passando per quella famosissima scena di sesso che all’epoca fece scandalo ed è una delle più vere e intense mai portate sullo schermo, o ancora sottolineando il tema della caduta, dell’acqua come veicolo di morte, la sotto trama con allegato serial killer che funge da ulteriore depistaggio, fino ad arrivare al finale, su cui si è parlato fino allo sfinimento e che non mi pare il caso di star qui ad analizzare, perché magari qualcuno di voi il film non l’ha visto e ci deve arrivare da solo fin lì, non devo accompagnarlo io.
Però qui siamo già oltre le 1300 parole e mi dicono che, per la soglia d’attenzione media di internet, sono davvero troppe. Quindi, per salutare il signor Roeg, non mi resta che spingervi a rispolverare la sua filmografia, perché venerdì ci ha lasciati un gigante del grande schermo ed è sempre bello ricordare i giganti con le opere che li hanno resi immortali.

8 commenti

  1. valeria · ·

    mamma mia che bello questo tributo. quando ho saputo ci sono rimasta malissimo, anche perché ovviamente la notizia è passata letteralmente sotto silenzio qui da noi. sul film in sé non posso aggiungere davvero nient’altro a quello che hai scritto, se non che è uno dei miei film del cuore (e il primo che mi abbia fatto capire quanto possa risultare inquietante venezia xD) e speravo davvero che prima o poi ne parlassi qui sul blog. l’occasione è sicuramente triste, ma sono stata accontentata 🙂

    1. Sì, da noi è proprio passato inosservato, anche perché è stato seguito due giorni dopo dalla morte di Bertolucci e il povero Roeg è stato completamente eclissato.
      Fortuna che qui non ci dimentichiamo certi personaggi.
      Grazie ❤

  2. Cristian Maritano · ·

    Adoro infinitamente, gran bella recensione!

  3. Splendida recensione di un film memorabile..amo molto anche l’uomo che cadde sulla terra.

    1. Sì, anche quello è un film magnifico 🙂

  4. Giuseppe · ·

    Si fotta la soglia d’attenzione media di internet, che noi siamo oltre quella media e Roeg questa tua degna recensione di un grandissimo titolo se la meritava per esteso ❤ Peccato che, a differenza di Bertolucci, in tv per lui non ci sia stata nessuna serata dedicata: Don’t Look Now sarebbe stato il film ideale per ricordarlo (forse più de L'uomo che cadde sulla terra, per quanto ami parecchio quel film) 🙂
    P.S. Ricordo che Sutherland aveva delle perplessità riguardo a una rappresentazione cupa e per niente salvifica dei poteri ESP, anche se poi alla fine si attenne comunque al copione…

    1. In effetti è una visione cupissima dei cosiddetti poteri ESP, quella che traspare dal film di Roeg. Però è anche cupa perché chi possiede tali poteri e non li capisce o non vuole accettarli, finisce per subirli…

  5. splendido film, lo vidi anni fa quando mia madre era ancora in vita, e l’ha voluto vedere anche lei quando gliene ho parlato bene, non ci crederai ma le è piaciuto 🙂

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