Cinema degli Abissi: The Reef

 Regia – Andrew Traucki (2010)

L’attesa per The Meg sta cominciando a diventare febbrile; il conto alla rovescia mi dice che mancano solo sette giorni e poi lo squalone preistorico nuoterà nelle nostre sale, ma l’astinenza da film marittimi mi ha spinto a rivedermi questo The Reef, secondo film del regista australiano Traucki, uno a cui piace molto mettere i suoi personaggi a diretto contatto con le bellezze della natura: coccodrilli, squali, grandi felini, ancora coccodrilli. Insomma, se io fossi il ministro del turismo australiano, gli impedirei di fare film. O forse sarei semplicemente rassegnata, perché Traucki non è che l’ultimo di una lunghissima lista di registi, tutti molto legati alla loro terra, ma in grado di dipingerla come la sede privilegiata degli incubi peggiori mai concepiti da mente umana. L’Australia è quel posto dove qualunque cosa cercherà di ucciderti.
Ma Traucki, anche rispetto a un collega illustre come McLean, porta la faccenda al livello successivo: ogni suo film è basato non sul classico conflitto uomo contro natura, ma sulla totale sconfitta dell’uomo di fronte a una natura che, badiamo, non è per forza di cose ostile; si limita a esistere.

In Black Water, suo esordio del 2007, il coccodrillo protagonista sembrava ancora avere una volontà distruttiva che lo rendeva molto simile a una mostruosità kaiju, non a un semplice coccodrillo nel cui territorio si ritrovavano a inciampare tre umani. Il realismo della vicenda era sempre prioritario ed era anche ciò che differenziava lo stile da Traucki da quello di un regista di serie B qualunque: in un film come Black Water ci si poteva identificare, perché le situazioni non raggiungevano mai quell’esasperazione tipica di altre pellicole su bestiacce assassine e affini, come per esempio il quasi contemporaneo Rogue, sempre australiano, sempre su un coccodrillo (e diretto da McLean). Ciò non vuol dire sminuire Rogue, che personalmente adoro, vuol dire solo sottolineare la differenza tra un approccio da monster movie e uno, al contrario, minimalista.

E tuttavia, il coccodrillo di Black Water si comportava non già da puro accidente, ma da leviatano che aveva puntato delle prede, proprio quelle, animato quindi da una precisa capacità di scegliere.
Lo squalo (o gli squali) bianchi di The Reef si limitano a farsi i cazzi loro, fino a che gli umani non scivolano, quasi da soli, nelle loro fauci, a causa di un incidente: la barca a vela su cui i protagonisti viaggiavano si rovescia e loro, un gruppo di cinque amici, devono decidere se aspettare su quel guscio di vetroresina, che sicuramente affonderà, i soccorsi, oppure tentare di raggiungere a nuoto l’isolotto più vicino, a circa 10 miglia (16 km).
Uno solo del gruppo sceglie di restare sulla barca capovolta, mentre gli altri quattro, con addosso la muta per proteggersi dal freddo e con una tavola da surf tagliata in due come unico supporto, si preparano a compiere un’impresa che è quasi disperata, in acque dove la presenza di squali è all’ordine del giorno.
Ecco, è importante sottolineare questo: l’oceano è la casa degli squali e l’uomo è un ospite, neanche troppo desiderato, il più delle volte. Mentre nuotiamo, goffi e insicuri, i nostri movimenti vengono recepiti dalle creature che abitano sotto di noi. Capita che a sentirci, a volte, sia un grande squalo bianco.

The Reef è ispirato a una storia vera. Ma ispirato molto alla lontana: nel 1983, tre persone se la videro molto brutta con uno squalo tigre, dopo che la loro barca era stata rovesciata da un’onda. Ci fu un solo sopravvissuto.
Nel film di Traucki, i protagonisti sono cinque e lo squalo è di un’altra specie, ma sembra davvero di assistere a una serie di eventi reali.
Il film è stato girato in 5 settimane nel Queensland e non deve essere stato semplice, perché gli attori sono a mollo nell’oceano per almeno un’ora su 94 minuti.
Le riprese degli squali, che sono sempre veri e solo in rarissimi casi, in incontri molto ravvicinati con gli attori, frutto di effetti speciali, sono invece state effettuate separatamente. Il materiale è poi stato messo insieme grazie a un accuratissimo lavoro di montaggio, che crea una perfetta illusione. Non c’è mai un momento in cui la nostra sospensione dell’incredulità sia messa a rischio.
Questo grazie alla scelta di Traucki di far vedere gli squali il meno possibile, perché The Reef non è tanto un classico film sugli squali, quanto un film sull’oceano come contenitore di ogni sorta di terrori.

Prima ancora che lo squalo appaia, la sola vista delle gambe dei protagonisti che fluttuano nel nulla blu del mare aperto, fa contorcere lo stomaco.
“Siamo in mezzo all’Oceano, qui sotto è piano di cose che non possiamo vedere” dice uno dei naufraghi alla moglie, convinta di aver avvistato uno squalo.
Un movimento qualsiasi, che rompe la superficie dell’acqua può creare il panico, e il panico ti spinge ad agitarti, a muoverti e, di conseguenza, a essere un bersaglio facile.
Non so se a voi è mai capitato di nuotare da soli, al largo, e di fermarvi a pensare a cosa ci fosse qualche decina di metri più in basso. The Reef si basa interamente su questa suggestione: il non sapere, il non poter vedere se non a breve distanza dal nostro naso, il distinguere a stento una forma che nuota nella nostra direzione, il trovarsi in un territorio ostile, dove siamo deboli, inadatti e fragili, un luogo dove non possiamo sopravvivere se non per un lasso temporale molto ristretto.

E lo squalo, predatore marino per eccellenza, è solo l’incarnazione perfetta della paura dell’ignoto, un ignoto sterminato che ci circonda, sempre uguale a se stesso, una distesa azzurra da attraversare, in cui è facile perdere l’orientamento. Solo acqua e cielo, per chilometri e chilometri, nessun posto dove scappare o dove nascondersi, neanche uno scoglio su cui sedersi per tirare su le gambe e non lasciarle così esposte alle fauci della morte bianca.
Sono convinta che, a un livello puramente cinematografico, Black Water sia un film migliore, ma solo perché Traucki poteva disporre di maggiore libertà di movimento. Le restrizioni di The Reef sono implacabili e attenersi a esse costa qualcosa in termini di monotonia e ritmo.
Ma la pura angoscia di trovarsi alla mercé delle forze della natura trasmessa da The Reef è unica, come del resto il suo realismo spietato.

Piccola postilla atta a evitare equivoci: so benissimo che gli squali non sono assassini (sono tra i miei animali preferiti e chi mi segue su Facebook sa che la mia timeline è occupata per il 90% da foto di squali), ma al cinema funzionano come niente altro, se ben gestiti, per generare un terrore cieco e primordiale; sono gli unici animali capaci di risvegliare in noi la paura irrazionale di essere mangiati.
È vero che Hollywood e affini non hanno mai fatto una gran pubblicità a questi magnifici animali, e tuttavia io spero sempre di avere a che fare con dei lettori razionali che sanno distinguere realtà e immaginazione. Se volete fare qualcosa di bello per gli squali, andate qui o qui.

5 commenti

  1. valeria · ·

    se dovessi fare una classifica dei miei 5 film preferiti con gli squali, questo ci entrerebbe di sicuro, insieme ovviamente a “jaws” (ma che lo dico a fare?) e “in the deep”.
    “the reef” mi ha messo addosso una discreta strizza, e il processo di immedesimazione é stato talmente forte che ad ogni rumore/movimento dell’acqua facevo un salto sul divano. é un film a mio parere molto sottovalutato, che meriterebbe un po’ di attenzione in più, quindi sono ben contenta di questa tua (ottima, come sempre) recensione, che speriamo invogli qualcuno a vederlo 😀

    1. Io, la prima volta che ho visto il film, ho passato tutta la sequenza in cui il protagonista scende nella cabina della barca rovesciata a recuperare oggetti utili con le mani davanti agli occhi per la fifa 😀

  2. The Butcher · ·

    Questo film mi manca. Anch’io adoro gli squali e appena posso vedo film su di essi (anche se la magior parte non sono niente di che). Jaws rimane sempre sul podio.
    Comuqnue anch’io non vedo l’ora di vedere The Meg!

    1. Questo come antipasto aspettando The Meg è ottimo!

  3. Giuseppe · ·

    Oltre che sull’effettiva paura degli squali qui si gioca non poco sulla talassofobia, direi 😉

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