Tigers Are not Afraid

 Regia – Issa López (2017)

Scusate se mercoledì abbiamo saltato un post: sono giornate complicate, in cui davvero non mi riesce di star dietro a tutto e, purtroppo questa settimana il blog ne ha fatto le spese. Spero non si ripeterà più.
C’è anche da dire che i bei film scarseggiano un po’ e, mentre tutti aspettiamo l’arrivo di Hereditary per smuovere un po’ le acque, ecco che ci pensa del Toro a consigliarmi Tigers Are not Afraid (in originale Vuelven, ma una volta tanto preferisco il titolo internazionale), definito dal regista fresco di Oscar come il miglior film dell’anno passato.
Non ci è andato poi così lontano: non sono convinta che Tigers Are not Afraid sia il miglior film del 2017, ma è di sicuro un signor film, e si capisce per quale motivo del Toro lo abbia apprezzato così tanto: condivide con Issa López la stessa tendenza presentare il soprannaturale come parte integrante della realtà, un qualcosa il più delle volte invisibile (o sarebbe meglio dire, invisibile alla maggior parte delle persone) che si muove a un livello più profondo, appena sotto i nostri occhi ciechi.
Come del Toro, anche López individua nei bambini i più adatti alla percezione di questo mondo altro, al di sotto e dentro il reale, quasi un’immagine speculare di ciò che siamo abituati a considerare vero.
Ma, se nel cinema di del Toro la componente fiabesca ha un ruolo predominante, ecco che López spinge invece sul tasto dell’orrore puro: com’è marcia e sordida la realtà in cui sono costretti a vivere i suoi giovani protagonisti, così il soprannaturale assume un aspetto niente affatto poetico o rassicurante, se non in rari sprazzi, e diventa lo spettro delle violenze quotidiane.

Issa López è una regista messicana con all’attivo soprattutto commedie (e pure un musical); è anche sceneggiatrice e produttrice e questa è la sua prima incursione, in carriera, in territori contigui all’horror. Tigers Are not Afraid racconta di un gruppo di cinque ragazzini orfani che vivono per strada, alle prese con la banda di criminali responsabile di aver fatto sparire i loro genitori e, in alcuni casi, anche i fratelli.
La protagonista, Estrella, un giorno torna a casa da scuola (chiusa dopo una sparatoria in mezzo alla strada) e non trova più sua madre; si unisce così agli altri bambini e cerca di sopravvivere in una città fantasma dove l’unica presenza adulta è costituita dalla gang di delinquenti e da un paio di poliziotti troppo spaventati per fare alcunché.
In questa condizione di assoluto abbandono, si inserisce l’elemento soprannaturale, costituito dal fantasma della madre di Estrella, una sorta di guida e di spauracchio allo stesso tempo per la bambina, fonte di terrore ma anche di protezione.

Non voglio dire di più sulla trama del film, perché vorrei che anche voi lo vedeste senza saperne troppo, come ho fatto io. Non perché ci siano dei grandi colpi di scena (non è quel tipo di film), ma perché mi piacerebbe sperimentaste anche voi la sensazione di sprofondare in una storia che è come un banco di sabbie mobili, talmente ben scritta da ipnotizzarvi e così dura e crudele che vi ci vorrà un po’ per asciugarvi le lacrime e riprendervi, dopo i titoli di coda.
Inserire il soprannaturale in una vicenda di bambini alle prese con una realtà tra le più spietate si possano immaginare non è una cosa facilissima, perché il rischio è quello di stemperare questa realtà nella cosiddetta meraviglia infantile, di edulcorarla. Tiger Are not Afraid il rischio lo prende di petto e sceglie la strada di un realismo quasi da documentario anche nel mettere in scena le apparizioni di un fantasma o degli elementi che sono tipici della favola, come i tre desideri che Estrella può esprimere, per esempio.

Non c’è spazio per la poesia dell’infanzia, nel film: i bambini protagonisti sono costretti a fare i conti con un mondo che è solo violenza, morte e sopraffazione e López non lascia scampo ai voli della fantasia, non permette un solo istante di allontanare lo sguardo dallo squallore per rivolgerlo a un universo alternativo costruito dall’immaginazione. I nostri occhi saranno sempre ben piantati nella sporcizia, negli edifici diroccati in cui si rifugiano i protagonisti, nel deserto emotivo in cui i bambini devono crescere.
Il soprannaturale è violento e vendicativo ed Estrella è strumento di vendetta, una giovanissima pedina che deve prendere sulle sue spalle tutto il peso di una lunga scia di morti e agire al loro posto, pagandone un prezzo altissimo.
Il Male, sia terreno che ultraterreno, è una presenza costante e minacciosa ed Estrella ne è perseguitata sin dalle prime sequenze del film: le sta attaccato addosso, la segue ovunque vada, pretende da lei un qualcosa di troppo grande per una bambina così piccola, è il grido disperato di centinaia di vittime senza più voce, se non quella terrorizzata di un’orfana.

E tuttavia, nel raccontare una storia dalle sfumature così cupe, Issa López mostra una sensibilità straordinaria, perché evita ogni forma di pornografia del dolore e ci consegna dei ritratti di bambini che difficilmente vedremmo in un film statunitense, insieme a una concezione del racconto fiabesco macabra e mai consolatoria, dalla natura ambigua, che non ti permette mai di capire fino in fondo se Estrella stia cercando di venire a patti con la scomparsa della madre e con l’orrore che la circonda costruendosi una realtà alternativa o se, al contrario, i fantasmi e le creature che la infestano siano delle presenze estranee alla sua volontà.
Che poi, erano gli stessi dubbi de Il Labirinto del Fauno: anche lì c’era una bambina alle prese con un contesto orribile e una fiaba a fungere da chiave interpretativa, narrata da Ofelia a se stessa per trovare un senso a un mondo che ne è privo.

Ma il realismo, anche quando affronta la Storia, non è materia di del Toro, mentre lo è di Issa López: alla fine, è un fatto di stile, di scelta di linguaggio, più teso verso un fantasy dai risvolti barocchi, quello di del Toro, più affine all’horror quello della sua collega e connazionale. In entrambi i casi, si tratta di usare il concetto del raccontare storie non come semplice escapismo, ma come leva su cui innestare una reazione al male e alla sofferenza; la favola e l’immaginazione che assumono il ruolo di armi per combattere l’oppressione, bombe potentissime per sovvertire quello che ti dicono sempre essere l’ordine naturale delle cose.
E, per riuscire in un’impresa simile, devi avere il coraggio di una tigre.
Vi avverto: Tigers Are not Afraid vi spezzerà il cuore, perché è un film che non vi risparmia niente e passa dalla tenerezza alla brutalità in un battito di ciglia. Ma è un’opera capace di parlare alla parte più profonda di noi, al nucleo della nostra stessa umanità, quella che negli ultimi tempi sembra essersi smarrita chissà dove e che pellicole come questa servono a risvegliare.

2 commenti

  1. valeria · ·

    post stupendo. mi metto subito alla ricerca! 😀

    1. Grazie! E vedrai che non te ne pentirai!

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