Ciclo Zia Tibia 2018: Maniac Cop

 Regia – William Lustig (1988)

Quando due eroi del calibro di Larry Cohen e Willian Lustig decidono di collaborare, non può che venir fuori qualcosa di importante. E infatti Maniac Cop è un piccolo cult di serie B, uno degli ultimi film a poter essere definito exploitation, prima che il termine, con l’arrivo degli anni ’90, perdesse di senso e un certo tipo di horror attraversasse una crisi epocale.
In Italia (che ve lo dico a fare) Maniac Cop ha avuto una storia distributiva bislacca e sfortunatissima: da noi è uscito prima il seguito, con il titolo di Maniac Cop, e poi il film di cui parliamo oggi, chiamato Poliziotto Sadico, che se becco chi ha avuto l’idea, lo prendo a giornalate sul muso.
Ma noi non ci preoccupiamo di queste idiozie e procediamo a parlare di tutta la saga nell’ordine giusto.


Come spesso succede quando si tratta di exploitation, e quando c’è di mezzo Larry Cohen, tutto è partito dal titolo. Cohen aveva apprezzato l’esordio nel cinema non porno di Lustig, Maniac, e lo aveva contattato proponendogli un titolo simile e aggiungendo soltanto la parola cop. Non c’era una sceneggiatura e non c’era neanche una trama, ma Lustig accettò volentieri, un po’ perché era a corto di soldi, un po’ perché chi rifiuterebbe di lavorare con Cohen?
E così, mentre Cohen scriveva in fretta e furia un copione, Lustig iniziava a contattare gli attori. E non attori qualunque, ma Bruce Campbell e Tom Atkins.
Mancava solo il poliziotto maniaco del titolo, un ruolo che necessitava di una fisicità molto particolare. Lustig aveva visto Robert Z’Dar in The Nightstalker, un horror di un paio di anni prima: quella montagna di muscoli dai lineamenti irregolari e dalla mascella spropositata, era la persona giusta. Ed eccovi servito Matt Cordell, poliziotto tornato dall’aldilà per vendicarsi dei torti subiti, che si fa prendere un po’ troppo la mano e inizia a massacrare a destra e a manca.

Con una frase di lancio geniale (Hai il diritto di rimanere in silenzio… per sempre), Maniac Cop esce in distribuzione limitata e incassa lo stesso tantissimo, facendo nascere una saga di tre film, tutti scritti da Cohen e diretti da Lustig, che poi non avrebbe più fatto altro. C’è un remake in ballo da anni, prodotto da Refn, ma è tutto fermo e non si sa se si farà mai. Purtroppo, Z’Dar è morto nel 2015 e, davvero, non riesco a immaginare un altro attore nei panni di Cordell, anche se, in questo primo film, si vede in faccia sì e no tre volte. Ma è la sua presenza minacciosa che conta. Piccola curiosità: Z’Dar accettò il ruolo, a patto che il suo volto non sfigurato apparisse almeno in un’inquadratura. E così Lustig mise una foto di lui su un giornale, che si intravede in una sequenza del film.
Maniac Cop è ambientato a New York, nonostante abbiano girato in loco soltanto tre giorni (escluse delle riprese rubate, qualche settimana prima che iniziasse la lavorazione del film, durante una parata per la Festa di San Patrizio) sui 21 totali.


Si tratta di un horror urbano, profondamente radicato nell’ambiente cittadino, una tipologia di horror minoritaria, dato che siamo abituati ad associare il genere alla provincia, ma molto interessante. Lustig è poi a suo agio nell’inquadrare gli spazi più fatiscenti e marci delle grandi città; basta pensare al suo Maniac, che si svolgeva sempre a New York, ed era stato tutto girato senza permessi, con uno stile da guerriglia cinematografica.
Maniac Cop è più pulito rispetto a Maniac, si vede che alla spalle c’è una produzione, per quanto indipendente, e anche lo stile di Lustig è meno aggressivo; può permettersi di studiarsi le inquadrature e di valorizzare ogni centesimo a disposizione.

Ma, a parte la regia di Lustig, molto solida e funzionale, è la scrittura di Cohen a far meritare al film la fama di cult. La tipica miscela di dramma, ironia, riflessioni mai scontate che trovano spazio anche all’interno di un contesto di serie B, personaggi interessanti e ricchi di sfumature, eroi con molti lati oscuri e cattivi difficili da odiare, presente anche in opere più sue come Baby Killer, rende Maniac Cop qualcosa di differente da un classico slasher con assassino sfigurato e invincibile.
Cordell ha le sue ragioni per essere arrabbiato con le autorità cittadine, che lo hanno mandato in galera e incontro a una morte sicura; ma Maniac Cop non si limita a giocare sul conflitto tra poliziotti da strada e burocrati: Cordell, in vita, era stato uno dal grilletto facile, capace di uccidere anche persone innocenti, un poliziotto brutale, protetto dalle autorità fino a quando si sfogava su spacciatori e prostitute. È quando va a indagare sulla mafia che il sindaco e i dirigenti della polizia di New York decidono di incastrarlo per aver violato i diritti umani.

Non che io voglia caricare di significati un “semplice” film di serie B come questo, però credo sia giusto sottolineare la capacità di Cohen di non essere mai semplicistico: può parlare di neonati assassini, di serpenti alati o di poliziotti zombi e riuscirà sempre a metterci la zampata che trasforma una storia lineare in un meccanismo dotato di una certa percentuale di sofisticazione.
Perché, vedete, qui si ride e si scherza con Zia Tibia e i filmacci, ma a parte casi irrecuperabili e vere sozzerie certificate, si è sempre cercato di avere un approccio critico serio anche a film che sul serio non sono mai stati presi. Molti non se lo meritano neanche, questo tipo di approccio, ma Maniac Cop sì, anche se non è il migliore della trilogia, palma che spetta al secondo capitolo (di cui ci occuperemo la settimana prossima) e anche se non ha la potenza destabilizzante di Maniac o la dolorosa profondità di It’s Alive.

E quindi, cos’ha di speciale Maniac Cop, a parte le sottigliezze di scrittura che abbiamo già evidenziato? Prima di tutto, per quanto sia etichettato come horror, è in realtà più simile a un thriller investigativo, con un uomo innocente che deve scagionare se stesso dall’accusa di una serie di omicidi commessi da un poliziotto; ha quindi un ritmo differente da quello di un film dell’orrore, più seduto e riflessivo. Lo spazio concesso alle indagini è superiore a quello concesso agli omicidi, il che lo distingue dall’essere uno slasher come ce n’erano tanti all’epoca. Anzi, funziona proprio al contrario, con la storia, ben raccontata al centro, e le varie morti come contorno. Ecco, se gli va trovato un difetto, Maniac Cop non offre molto nella dinamica degli omicidi, tutti privi di inventiva, spesso fuori campo, quasi del tutto privi del fattore gore. Ma per questo ci sarà tempo di rifarsi con i film successivi. Scelta invece da sposare in toto è quella di non mostrare mai Cordell fino all’ultima scena, in cui si rivela il trucco, azzeccatissimo, del poliziotto tornato dal regno dei morti.
Per tutto il film, Cordell è un’ombra imponente che incombe sulle sue vittime e fa davvero paura.
Ci sono un paio di sequenze molto ben orchestrate: l’irruzione di Cordell nella stazione di polizia (con una morte che non ti aspetti proprio e che, la prima volta che la vedi, ti lascia di stucco) e l’inseguimento finale.
Insomma, da qualunque punto di vista lo si guardi, è un gran bel pezzo di B movie. E il film successivo è anche meglio di così.
Lunga vita a Matt Cordell!

Un commento

  1. Giuseppe · ·

    Riguardo agli omicidi direi che qui si era in fase di rodaggio, forse ancora indecisi sulla strada da prendere: mostrare (e quindi non potersi più sottrarre alla creatività) o lasciare intuire con i fuori campo? Con i successivi seguiti sappiamo qual è stata la scelta 😉
    A quel paio di sequenze che giustamente hai ricordato io aggiungerei anche l’esecuzione di Cordell sotto le docce, orchestrata in un modo tale da farti quasi sentire di persona ogni colpo che gli viene inferto…
    P.S. Oggi come oggi ho paura che un remake, ammesso e non concesso che si riesca a trovare un valido sostituto all’indimenticato Robert Z’Dar, finirebbe comunque per seguire la strada aperta da Rob Zombie con i suoi Halloween: rendere semplicemente umano, per quanto pericoloso psicopatico, un personaggio che negli originali non lo è affatto… e che funziona egregiamente proprio nella misura in cui non lo è (umano).

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